Tratto dal
romanzo di Madeleine Bourdouxhe, l’ultimo film di Frédéric
Fonteyne racconta la storia di un amore tradito e di una donna tenacemente
aggrappata ad esso. In un paese di semplici operai si consuma la vicenda
di Elisa e Gilles, scandita dal lento ma costante scorrere delle stagioni,
con i suoi cambiamenti ed i suoi contrasti. Se non è concesso
dilungarsi più di tanto su una tematica che il mondo del cinema,
ma anche della letteratura, conosce molto bene, maggiore spazio può
essere invece dedicato alla sua rappresentazione, incentrata soprattutto
sulla forza delle immagini e sul linguaggio silenzioso degli oggetti.
La donna di Gilles è come un bellissimo
quadro in cui l’ordine e la compostezza degli elementi che lo
compongono, riprodotti con fedeltà e dovizia di particolari,
tradiscono in realtà il tremito della mano dell’artista,
la sua intima follia, il suo segreto.
Il regista è un attento osservatore, pronto a seguire lo sguardo
di Elisa ovunque esso si posi, dando voce ai silenzi, alle attese,
ai colori. Sono gli occhi di questa donna a mostrarci il volto di
un dolore e di un’angoscia repressi, costretti a non assumere
forma, respinti in un silenzio pesante affinché non vadano
a turbare la stabilità di un mondo fragile e precario. Un film
dove il tempo si dilata assecondando le reazioni del corpo, aspettando
l’incrinatura, tragica ma liberatoria, che sfaldi l’intera
sostanza. Ma questa incrinatura è destinata a restare intatta,
non c’è liberazione da un amore che non si controlla,
non c’è volontà di rinuncia ma solo di possesso,
di dominio, come un inspiegabile bisogno di riversare nell’altro
se stesso. Elisa e Gilles amano entrambi di un amore violento, illogico,
ma tremendamente umano. Fonteyne coglie, attraverso i molteplici primi
piani ed i lunghi intervalli di tempo che intercorrono tra l’azione
ed il suo effetto, gli aspetti quasi sacri di una devozione che conduce
Elisa alle soglie della follia. La scelta di affidarsi molto alle
immagini e poco alle parole, è stata dettata dall’esigenza
di dare una voce alle contrastanti sensazioni di caldo e freddo che
non solo appartengono al paesaggio, ma anche al corpo dell’uomo,
così sensibile al cambiamento. Da ciò scaturisce un
film intimo, attento al dettaglio, costruito sul susseguirsi di immagini
e sull’attesa degli eventi. Se questo è il punto di forza
del film, esso rappresenta forse un limite dal punto di vista dell’impatto
emotivo, proprio come un quadro che fa bella mostra di sé tra
le pareti di un prestigioso museo, senza riuscire tuttavia a scuotere
l’anima fin nel profondo. Fonteyne sceglie per il suo dipinto
una tonalità di colore pacata, adatta alla contemplazione ma
molto meno alla forte emozione. [giulia
rastelli]
Siamo
in campagna durante la prima metà del novecento. Elisa è
una donna incinta ed innamorata del proprio marito; lo accudisce e
lo sorregge in qualsiasi situazione, anche quando comincia a sospettare
lui abbia una relazione con sua sorella…
Fonteyne ci propone un film lento, retto quasi esclusivamente sulla
forza interiore di una donna che sente dentro di se il dovere di essere
forte, per lei stessa, per il marito, la sorella, anche quando le
situazioni sono deliranti. L'attenzione del regista non si sofferma
tanto su quelli che dovrebbero essere i momenti esplicativi del film
quanto su una serie di sguardi e silenzi che più di altro rendono
manifesto lo stato d’animo dei personaggi. Un affresco semplice
e chiaro di una situazione difficile da vivere e da capire dall'esterno.
Presentato all'ultima Mostra Internazionale
d'Arte Cinematografica di Venezia nella sezione "Orizonti".
[jacopo angiolini]