Buenos
Aires, 1977. Una "task force" che lavora per il
regime militare argentino, cattura Claudio Tamburrini, portiere
di una squadra di calcio di serie B e lo trasporta in un centro
di detenzione clandestino conosciuto come Mansìon Seré:
una vecchia abitazione nobiliare nel sobborgo di Moron a Buenos
Aires. In questa sorta di 'terra di nessuno' dove la gente
vive in attesa che il loro destino sia deciso, Claudio incontra
Guillermo. Dopo quattro mesi di prigionia e torture, i due
assieme ad altri compagni di stanza (Vasco e Gallego) trovano
l'agognata libertà lanciandosi nel vuoto da una finestra,
nel bel mezzo di una tempesta e completamente nudi. A quel
punto la loro vita può cominciare...
Tratto dal libro autobiografico Pase
Libre - La fuga de la Mansìon Seré scritto
da Claudio Tamburini, uno dei protagonisti della vicenda,
Cronaca di una fuga, presentato al Festival di Cannes del
2006 ha il pregio di uno stile asciutto, conciso, a tratti
documentaristico che pone il suo occhio sui corpi martoriati,
denudati, vilipesi dei ragazzi torturati per raccontare la
tortura psicologica inflitta ai prigionieri dai propri carcerieri
e quel sottile legame quasi ed a tratti cameratesco che si
crea tra di loro, come durante il brindisi di Natale o il
tifo per la squadra di calcio dell’Argentina, seppur
da interpretare in due opposte direzioni.
Girato come un film dell'orrore, l'esterno della casa di detenzione
e torture, la famigerata Mansìon Seré, ha sinistre
analogie con la casa-mattatoio di Non
aprite quella porta, ed i carcerieri sono gli stessi sadici
macellai della famiglia Hoyt. Riprese dal basso verso l'alto
per dare il senso della schiacciante situazione in cui si
ritrovano spesso inconsapevolmente i protagonisti - "Una
cosa siamo scuri, che siete colpevoli" vengono di continuo
accusati - ed ogni scudisciata, violenza loro perpetruata
fisicamente, si ripercuote nelle coscienze di chi guarda.
Un film che ha il pregio morale di ricordare cosa è
stato il regime dittatoriale argentino neanche troppo lontano
da noi, solo 30 anni sono passati, e ammonirci che situazioni
del genere ancora sopravvivono tanto nei paesi più
moderni e civilizzati (Stati Uniti e Cina) quanto in quelli
più arretrati (Afghanistan e compagnia) tanto da meritarsi
il giusto sostegno di Amnesty International e l'altrettanto
ingiusto divieto di 14 anni che impedirà ai giovani
studenti di vedere – conosciamo la potenza dell’impatto
delle immagini sul ricordo - quanto forse hanno solo sentito
parlare. Complimenti ai nostrani censori. [fabio
melandri]