Non aprite quella porta - L'inizio
The Texas Chainsaw Massacre - The Beginning
Regia
Jonathan Liebesman
Sceneggiatura
Sheldon Turner
Fotografia
Lukas Ettlin
Montaggio
Jonathan Chibnall
Scenografia
Marco Rubeo
Costumi
Mari-An Ceo
Musica
Steve Jablonsky
Produzione
Platinum Dunes,
Next Entertainment
Interpreti
Jordana Brewster, Diora Baird, Taylor Handley, Matt Bomer, Lee Tergesen, R. Lee Ermey, Andrew Bryniarsky, Terrence Evans
Anno
2006
Genere
horror
Nazione
USA
Durata
100'
Distribuzione
Eagle Pictures
Uscita
7-12-06

Un meraviglioso R. Lee Ermey giganteggia su quest’ennesimo lavoro tratto dalla saga di The Texas Chainsaw Massacre, meglio conosciuto in Italia come Non aprite quella porta.
Lo sceriffo Hoyt, infatti, è un personaggio capace di ridare all’horror quella fortissima nota ironico/sarcastica che il genere, troppo rispettoso e involuto sul proprio, glorioso, passato, aveva perso da qualche tempo.
Il punto su cui fa leva tutta la sceneggiatura è proprio questa cifra scanzonata che, pur senza il fortissimo riferimento socio-politico, ridà smalto ad un filone narrativo, quello che si ispira alle macabre gesta del famigerato Ed Gein, che altrimenti avrebbe avuto ben poco da dire.
Se Tobe Hooper, qui in veste di produttore, nel film del ’74, aveva realizzato un antesignano di The Blair Witch Project, ingannando emotivamente il pubblico con la pretesa di mettere in scena una sorta di puro e verosimile resoconto di fatti veramente accaduti, il film di Liebsman, alla sua opera seconda dopo Darkness Falls, parte dalla semplice pretesa di fare botteghino con un nome (Hooper), un titolo (The Texas chainsaw massacre/Non aprite quella porta) e un personaggio (Leatherface) già ampiamente collaudati e spremuti.
Eppure, grazie ad uno script ispirato (redatto dalla coppia Turner/Schow, con quest’ultimo già coinvolto nella scrittura del terzo capitolo della saga) e ad un protagonista che fa sua genialmente una parte che avrebbe potuto aver molto poco da dire, il prequel di una delle serie più spremute dal cinema horror si rivela un interessante e divertente tassello in più, e non la solita occasione persa.
Certo, il film è schiavo delle sue premesse.
Le prime vittime della perversa famiglia texana non possono, infatti, uscire indenni dal tragico incontro, per non rischiare di rendere incoerente tutto quel che vi è stato dopo, e che è stato raccontato nei capitoli precedenti
Così la traccia seguita è quella dell’originale, tra giovani spensierati in cerca di evasione, sterpaglie desertiche e case abbandonate. Vengono tralasciati i riferimenti più impegnativi del film di Hooper: scompare la figura del disabile, viene eliminato l’impatto iniziale con un’inquietante sub-cultura deviata, contorta e autolesionista, il nucleo familiare, pur nella sua orrida sgangheratezza, si fa più delineabile, meno policentrico e sfumato.
Il tutto viene in qualche modo sopperito da una saturazione di effetti al limite dello splatter, incardinati in un binomio di regia/fotografia quasi classico per certi versi. La ricchezza dell’immagine e il riuscito animo sarcastico sono nelle corde di questo nuovo horror del nostro secolo, che ha in gran parte abbandonato la sua funzione di critica e di denuncia, probabilmente anche perché ne ha assolto in gran parte gli scopi.
Il film però riesce a trovare una sua discreta specificità, e a tirarsi fuori dal diffusissimo anonimato degli horror recenti.
[pietro salvatori]



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