Crash - Contatto fisico
Crash
Regia
Paul Haggis
Sceneggiatura
Paul Haggis, Bobby Moresco
Fotografia
James Muro
Montaggio
Hughes Winborne
Musica
Mark Isham
Interpreti
Sandra Bullock, Don Cheadle, Matt Dillon, Brendan Fraser,
Thandie Newton, Ryan Phillippe, Jennifer Esposito, William Fichtner
Anno
2005
Durata
107'
Nazione
USA
Genere
drammatico
Distribuzione
Filmauro

“Hanno il cervello imbottito di ovatta. Sono brutti, parlano male, camminano male. Gli suoni la grande musica dei secoli ma loro non sentono. Per molti la morte è una formalità. C’è rimasto ben poco che possa morire”. (Charles Bukowski)

Quando arriva la sera e il rumore si fa meno intenso, a Los Angeles, la città degli angeli senz’ali, Cameron, regista televisivo, sul finire di una giornata strana scende dalla sua auto di lusso, fa qualche passo. Inizia a nevicare. Mentre il fuoco divora poco più in la un’auto colma di peccati e le fiamme collidono con il freddo, chiama la sua donna: "Ti amo". Il rancore è dietro le spalle ormai, la notte sarà il sipario che fa riflettere. Ma la mattina una nuova furia ci avvolgerà togliendoci la memoria.
Paul Haggis fa centro per la seconda volta consecutiva dopo l‘affascinante gancio messo a segno con la sceneggiatura di Million Dollar Baby di Clint Eastwood. Stavolta anche in veste di regista, dimostra tutte le sue capacità compositive intellettuali, di struttura narrativa e di sintesi. Un film intelligente perché non banale nonostante il rischio della quotidianità e dei suoi stereotipi, che si sorregge sulla scrittura e sull’intreccio senza effetti speciali o trame forzate. La comunità multietnica losangelina e le continue incomprensioni razziali sono lo sfondo a queste storie di lotta moderna, dove il “tutti contro tutti” sembra essere la regola primaria. Vite arrivate al limite di una sopportazione frenetica, di un insegnamento sbagliato, di una precaria soglia di tolleranza e di una società guasta dall’interno.
E’ l’incomprensione che ci frega, il non vedere oltre. Cinesi, neri, ispanici, bianchi, indonesiani, mediorientali, russi, italiani. Culture diverse, storie differenti, modi e costumi opposti. C’è solo da imparare ad essere curiosi e concepire il rispetto del prossimo senza offuscare o annientare anime diverse. Ryan è un ragazzo di colore, adora l’hockey, ascolta e scrive canzoni country. Un nero che segue filosofie bianche è riconosciuto bugiardo o folle. Quando invece i folli siamo noi, che incastriamo tutto in scatole con il cartellino appropriato perché ci fa comodo così, perché seguiamo il flusso delle stronzate che ci arrivano senza filtro, senza provare ad aprire l’encefalo ad angolo giro.
Le vite più o meno barcollanti d’individui comuni s’infrangono, come allude il titolo, l’una con l’altra. Non ci si sfiora, non si cerca il contatto. Quando però avviene è per tutti un impatto fortissimo. Se ne renderanno conto Matt Dillon, Sandra Bullock, Don Cheadle, Brandan Fraser, Michael Pena e gli altri, costretti a sbattere in pieno moto vettoriale su esistenze troppo vicine per essere viste.
Paul Haggis usa il pretesto delle razze per raccontare storie di persone, di uomini, di donne, delle loro paure all’inizio del nuovo millennio, quando sembra che tutto stia per soffocare, detonarsi per poi ricominciare. Si cambiano serrature alle porte di casa, inferriate alle finestre, allarmi di ultima generazione, armi da fuoco, guardie, cani, raggi laser, robot, Goldrake e Mazinga. Rinchiuderci ci da sicurezza. Allontanarci e odiare è più semplice di confrontarsi. Qualche dollaro speso e tutto è più semplice, il PIL aumenta, si pensa meno e si guarda la tv. Ricordo una frase di Kurt Cobain: "Insegnano alle donne a difendersi dalle violenze e dalle aggressioni dei maschi. Dovrebbero magari insegnare agli uomini a non farlo".
Il caos, l’odio, la vendetta, la violenza sono figlie di una sottocultura urbana, del consumismo di massa, del trionfo dell’estetica sul contenuto, della quantità sulla qualità. La comunicazione è sempre minore è più superficiale nonostante la tecnologia unisca il mondo casa dopo casa, lingua dopo lingua ("Ho cambiato la serratura ma deve cambiare la porta, è difettosa", "Non fare il furbo, fai tuo dovere, tu cambia serratura").
La regia è sobria ma intensa, i molti primi piani sostengono il pathos di tensione nei rapporti e le espressioni sono la chiave di lettura di molte scene. Carrelli, camera a mano, dolly, assi verticali dimostrano una notevole versatilità nell’uso della mdp. Inoltre le riprese attente su svariati dettagli od oggetti consacrano un mondo nel quale tutti siamo quello che abbiamo. Il seme dell’odio si propaga, i sensi di colpa ci divorano lo stomaco e Paul Haggis è qui abile nel sussurrare che il bene e il male convivono in ognuno di noi. Si alternano come il giorno e la notte sulle nostre facce, siamo eroi e assassini. Siamo giusti e sbagliati, consapevoli o inconsapevoli. Siamo solo uomini e la perfezione non ci appartiene.
Aprile 1992: la rivolta di Los Angeles per un pestaggio razzista su un automobilista di colore da parte di agenti bianchi lascia il segno. 4 giorni di lotta, la città a ferro e fuoco, rancore. Ancora oggi la ferita sembra aperta.
Novembre 2005: i quartieri poveri delle banlieue di Parigi insorgono per un evento simile, fomentando la rivolta di mediorientali e afro-europei. Ancora paura, ancora violenza. La storia c’insegna che gli eventi si ripetono. Chiudere gli occhi e tappare le orecchie non servirà. Questo non è un saggio di sociologia o di antropologia dei popoli, vuole essere ed è solo una recensione di un film, ma filmare la realtà è come viverla in prima persona, ci siamo dentro. In un meraviglioso videogames di Hideo Kojima, Metal Gear Solid 3, Jane, una donna paramedico consola Solid Snake dopo una delusione "Quando le cose si mettono male, a volte i film ti salvano la vita". Senza dubbio.
Ma se noi siamo già ammalati di acredine, corrosi nel vortice senza fine della rabbia e della voglia di redenzione, ammorbati da tossine d’intolleranza qualcuno può avere ancora una speranza. Ma è nostro dovere passare i consigli giusti. A chi ancora non è stato modificato, chi può ancora crescere con i sogni al collo e il buon senso sulle spalle, come un mantello magico e trasparente che blocca i proiettili dei grandi. Per questo, i bambini ci salveranno.
[alessandro antonelli]