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Anno
2012
Nazione
USA
Genere
commeda
Durata
97'
Uscita
21/09/2012
distribuzione
Warner Bros. Pictures Italia |
Regia |
Jay
Roach
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Sceneggiatura |
Chris Henchy, Shawn Harwell, Adam McKay |
Fotografia |
Jim
Denault |
Montaggio |
Craig
Alpert |
Scenografia |
Michael
Corenblith |
Costumi |
Daniel
Orlandi |
Musica |
Theodore Shapiro |
Produzione |
Everyman
Pictures |
Interpreti |
Will
Ferrell, Zach Galifianakis, Jason Sudeikis, Katherine
LaNasa, Dylan McDermott |
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“Il
teatrino della politica” è un'espressione che
riecheggia ormai ovunque, dai sedili degli autobus di periferia
su su fino alle perentorie parole degli opinionisti televisivi,
a significare l'artificio se non il vero e proprio inganno
che spesso sottintende la richiesta di voto nelle democrazie
del Ventunesimo Secolo.
Lo sa bene Cam Brady (Will Ferrell), che con i suoi slogan
e i suoi spot giungerebbe al quinto mandato al Congresso senza
avversario, se una gaffe clamorosa (una telefonata oscena
lasciata per sbaglio nella segreteria di una famiglia puritana)
non spingesse i suoi finanziatori a cercare un candidato più
credibile (Zach Galifianakis), in modo da portare a termine
il folle piano di vendere l'industria del North Carolina alla
Cina. Peccato che Marty Huggins, il prescelto, sia un modesto
responsabile di un ufficio del turismo di una città
senza attrazioni, con gusti discutibili nel vestire, famiglia
obesa al seguito e atteggiamenti da perdente, tali da richiedere
l'intervento del più spietato e efficace dei consiglieri
(Dylan McDermott) per trasformarlo nello sfidante ideale,
a costo di cambiare arredamento, pettinatura e razza dei cani
da compagnia.
Una volta partita la campagna, un uragano di insulti, scandali
sessuali, colpi bassissimi e tanta vuota ipocrisia saranno
gli ingredienti per arrivare al successo.
Politici che si sentono comici, comici che diventano politici
o che li bacchettano dall'alto: un film del genere sembra
avere tutto per fare breccia nel nostro Paese e in verità
la messa in scena di Jay Roach (Austin
Powers, Ti presento i Miei) garantisce una
messe di risate non indifferente. Agli autori è bastato
mutuare dalla politica quel tanto odiato cinismo che invece
nella commedia è garanzia di una comicità che
non guarda in faccia nessuno e non disdegna qualche azzeccata
discesa nella volgarità.
Ad un cast ben assortito guidato da un Will Ferrell ispiratissimo
(in America è famoso anche per un'imitazione di George
Bush, da noi è ingiustamente sottovalutato) si unisce
un'attenzione al dettaglio comico nella scenografia o nel
look che già è stato l'arma vincente della saga
familiare De Niro-Stiller. In questa satira sguaiata la democrazia
americana ne esce come un mondo di burattini manovrato da
pochi plutocrati e soprattutto capace di prendere per il naso
migliaia di elettori ogni volta grazie alle solite poche parole
magiche (libertà, Gesù, famiglia) e nonostante
le clamorose gaffe. Il tutto sarebbe molto triste, se non
ci fosse Ferrell a improvvisare il Padre Nostro per dimostrarsi
cristiano, se un'improvvisa confessione televisiva non spingesse
i più insospettabili ascoltatori a snocciolare inimmaginabili
segreti o se per qualche voto in più non ci si preoccupasse
neanche dell'incolumità del povero cagnolino di “The
Artist”.
Una sola, vera, grande leggerezza ci sembra il fatto che nel
finale si sia ritenuto opportuno trovare le ragioni di una
fiducia nelle istituzioni democratiche che cozza troppo con
gli sberleffi della restante ora e mezza di film. A qualche
cinefilo questo tema così insidioso da raccontare e
in effetti così poco affrontato (altro merito dei realizzatori)
riporterà alla mente “Il
Candidato” Robert Redford, che nel 1972
raccontava di come un idealista liberale perdeva fiducia nelle
istituzioni man mano che ne veniva a contatto. A distanza
di qualche decennio, non è sembrato giustamente opportuno
rivestire del seppur minimo anelito astratto i due protagonisti
di questo film, segno che col tempo le cose tendono a peggiorare,
soprattutto in politica.
[emiliano
duroni]
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