Annapolis
id.
Regia
Justin Lin
Sceneggiatura
Dave Collard
Fotografia
Phil Abraham
Montaggio
Fred Raskin Atkinson
Musica
Brian Tyler
Interpreti
James Franco, Jordana Brewster, Tyrese Gibson, Katie Hein,
Brian Goodman, Wilmer Calderon, Chi Mcbride, Macka Foley
Anno
2006
Durata
108'
Nazione
USA
Genere
avventura
Distribuzione
Buena Vista

Sin da bambino Jake Huard aveva un sogno: entrare a far parte della prestigiosa Accademia Navale di Annapolis. Un giorno la sua domanda di ammissione viene accettata e il sogno diventa realtà. Ma la vita in Accademia è molto più dura di quanto pensasse. L’impatto con le sue regole ferree, la disciplina e la competizione degli altri allievi lo faranno più volte vacillare nel suo intento ma alla fine l’impegno e la forza di volontà gli permetteranno di superare ogni ostacolo e diventare Ufficiale della Marina americana.
Sorvolando sulla estrema somiglianza con un cult-movie del genere, Ufficiale e Gentiluomo, di cui sembra il non-accreditato (e fiacchissimo) remake (nel film ci sono il duro comandante di colore, con cui Jake alla fine disputerà un incontro di boxe!,e addirittura il compagno di stanza che tenta il suicidio!), Annapolis, secondo film di un regista taiwanese, Justin Lin, trapiantato a Los Angeles (il primo è l’inedito Better Luck Tomorrow e il prossimo, ahimé sì ce ne sarà un altro, è The Fast and the Furious: Tokyo Drift), sembra uno di quei film di propaganda che vengono proiettati nelle scuole per reclutare giovani innocenti (e ingenui) da spedire al fronte.
Ma andiamo per ordine: Jake lavora col padre in una fabbrica di navi e, guarda caso, l’Accademia Annapolis si erge proprio di fronte a questo (detestabile) luogo di lavoro. Jake non ha futuro. O meglio ce l’ha. Restare per sempre a saldare bulloni. E già qui è ben chiaro l’intento di Lin (o chi per lui) di indicare a chi è rivolto questo film. Non certo agli studenti di Harvard né tantomeno ai figli di senatori (o di liberi professionisti in genere). Per chi si chiedesse come mai i soldati che vanno in guerra non sono mai di estrazione alto-borghese ma sempre di umili origini si consiglia la visione del controverso documentario Farenheit 9/11 di un car’uomo di nome Michael Moore.
Poi Jake ha le fattezze semiperfette di James Franco, giovane promessa, maimantenuta, del cinema americano nonostante kolossal come Spiderman e Tristano e Isotta, credibile come nerd proletario della suburbia americana quasi quanto la Ferilli nei panni di Dalida (oh Dio a lei le hanno permesso di interpretare di recente proprio la grande cantante francese!). Ennesima marionetta pseudo-machista in cerca di riscatto dallo squallore familiare (identico tra l’altro a quello del personaggio di Richard Gere di Ufficiale e Gentiluomo) e in balìa di un trionfo di clichés da american dream.
A questo punto lo sceneggiatore Dave Collard, lo stesso di Out of time, non sa più cosa inventarsi. Veramente finora non si è inventato nulla. Tutto già tristemente visto e rivisto. Pensa bene allora di mettere qua e là qualche scaramuccia tra Jake e i suoi superiori, un misero flirt con l’unica ufficiale femmina dell’accademia, un altrettanto misero confronto col padre che non vuole (chissà perché?) che entri in accademia e l’inevitabile incontro di boxe con il “cattivo” di turno.
Due sono le scene che fanno accapponare la pelle: quella in cui Jake e Cole commentano la morte in guerra di un giovane di 23 anni sacrificatosi per il proprio Paese (Cole chiede a Jake: “Perché vuoi entrare in marina?” E Jake: “Perché voglio servire il mio Paese!”) e quella finale in cui Cole suggerisce a Jake di seguirlo nei marines (e il soldato che sta dentro ogni spettatore è finalmente pronto per l’Iraq!).
[marco catola]