Danielle
(Isabelle Huppert) ha 47 anni ed è madre, ma non ama
sua figlia. Da quando la portava in grembo, sentiva di non
amarla. Nel momento del parto rimane completamente indifferente
verso la piccola Sophie (Mèlanie Laurent). Con gli
anni la bambina è cresciuta, si è sposata ed
è diventata madre, ma il rapporto con la genitrice
non è migliorato affatto. Ora Danielle, dopo aver tentato
per tre volte il suicidio, è ricoverata in una clinica
privata dove è seguita da un’analista (Greta
Scacchi) che desidera capire cosa le sia accaduto e aiutarla
a superare il trauma. Per Danielle inizia un percorso fatto
di parole, ricordi, silenzi e ricostruzioni di vita vissuta
che portano però al medesimo risultato: la relazione
filiale non è come dovrebbe essere, non è “tipica”.
Eppure in questa assenza di amore, c’è un sentimento
materno nascosto, che si paleserà solo dopo un dramma
imprevisto.
Presentato alla Festa del cinema del 2007, L’amore
nascosto ha avuto problemi di distribuzione, al punto
da aver dovuto cambiare l’iniziale società (fallita
e acquistata da stranieri) con l’Archibald Enterprise
Film. Ecco spiegato il ritardo nell’uscita nelle sale
italiane. Il film magistralmente interpretato da Isabelle
Huppert (a cui è stato consegnato il Nastro d’argento
in occasione del ventennale del Premio che il SNGCI assegna
ogni anno ad una personalità di spicco del cinema europeo),
tratta un tema delicato come quello tra madre e figlia, parlandone
dal punto di vista dell’assenza dell’amore. Tratto
dal romanzo Madre e Ossa di Danièle
Girard (Baldini&Castoldi), ha colpito il regista Capone
e il produttore Cristaldi che hanno da subito immaginato la
“pianista” nel ruolo della madre.
Pellicola difficile, a tratti noiosa e con dei non sense nella
sceneggiatura. Alcune scene colpiscono però per la
perfetta immedesimazione con lo spaesamento psicologico della
madre (le immagini iniziali di Danielle nel letto; la donna
che vaga silenziosa per la clinica; la vastità dell’ultima
scena) e la musica di Lawrence 'Butch' Morris e Riccardo Fassi
amplifica il dramma personale della protagonista. Un film
tipicamente francese nonostante sia diretto da un italiano,
che ha in Isabelle Huppert il suo emblema, la sua Medea. [valentina
venturi]