30 Days of Night
Regia
David Slade
Sceneggiatura
Steve Niles, Stuart Beattie,
Brian Nelson
Fotografia
Jo Willems
Montaggio
Art Jones
Scenografia
Paul Denham Austerberry
Costumi
Jane Holland
Musica
Brian Reitzell
Interpreti
Josh Hartnett, Melissa George, Danny Huston, Ben Foster, Mark Boone Junior,
Mark Rendall, Amber Sainsbury, Manu Bennet, Megan Franich
Produzione
Ghost House Pictures, Dark Horse Entertainment
Anno
2007
Nazione
Nuova Zelanda, USA
Genere
horror
Durata
113'
Distribuzione
Medusa Film
Uscita
08-02-2008
Giudizio
Media

Barrow, Alaska, il paese più a Nord degli Stati Uniti d’America. Qui un mese l’anno il sole non albeggia mai, precipitando la popolazione in 30 giorni di buio perenne. Chi può, lascia la città, gli altri si preparano ad affrontare la notte. Ma quest’anno gli ignari abitanti si troveranno ad affrontare un ostacolo molto più impegnativo di una tormenta di neve o disturbi del sonno dovuti alla mancanza di luce. Qualcosa che per anni ha ‘lavorato’ per far credere agli umani di essere solo un brutto sogno, ma che sono più reali del vero. Creature della notte, che agiscono in branco, affamati di carne cruda e sangue. Hanno una sola regola: non lasciare testimoni del loro passaggio.
Ispirati alla tradizione vampiresca di Dracula e del suo cantore Bram Stoker, sono annunciati da un novello Renfield, il cui compito è isolare la città dal resto del mondo: cani da slitta sgozzati; telefonini satellitari date alla fiamme; corrente elettrica e telecomunicazioni interrotte. Tutto è pronto per scatenare l’inferno a Barrow…
30 giorni di buio è tratto dall’omonimo fumetto di Steve Niles e Ben Templesmith, composto di soli 3 episodi ma sufficienti per attirare l’attenzione di Hollywood e di Sam Raimi con la sua Ghost House Pictures.
L’estetica del film, non arrivando alle estremizzazioni barocche di Sin City, richiama e ricalca il fumetto: i colori più accesi desautorati lasciano il posto a neri inchiostro di seppia e bianchi argentati. Una monocromia che con il procedere del film si perde a favore del rosso emoglubinico che inizia ad invadere ogni angolo dello schermo. L’impianto narrativo è basico, semplice e prevedibile nel suo sviluppo ma assolutamente funzionale all’obiettivo preposto. 113 minuti di puro entertainment.
Un gruppo di superstiti capitanati dallo sceriffo Eben – interpretato da un mai così convincente Josh Hartnett – si ritrova assediato, imprigionato in luoghi a loro prima familiari ora mai così ostili, da un’orda di vampiri/licantropi, dall’aspetto glabro, pupille dilatate, denti cuneiformi ed irregolari come quelli degli squali e zanne al posto delle mani con cui squarciare gole e corpi. Iconografia che pesca negli albori del cinema vampiresco con un velato omaggio al Max Schreck del Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau (1922). “Volevo semplicemente alterare i volti dei vampiri affinché apparissero meno umani ma al tempo stesso assolutamente reali, - commenta il regista - Sono abbastanza umani da essere riconoscibili ma non sono come me e te!”
L’azione giocata sulla sindrome dell’assedio e su morti “telefonate” è guidata da personaggi funzionali, contraddittori, deboli nel fisico e nella psiche che li rende capaci a contempo di azioni tanto eroiche quanto vili, rendendoli “umani” e “verosimili”, il che per un film dell’orrore è un piccolo ma significativo passo in avanti.
Come lo stesso finale, crudele e spiazzante, è il segnale che qualcosa nel cinema americano si sta muovendo, sotterraneo, nell’ombra, ma sementi per una nuova idea di cinema sono state gettate. Ora tocca non rovinare il raccolto…
[fabio melandri]