127 ore
127 Hours
Regia
Danny Boyle
Sceneggiatura
Danny Boyle, Simon Beaufoy
Fotografia
Enrique Chediak,
Anthony Dod Mantle
Montaggio

Jon Harris

Scenografia
Suttirat Anne Larlarb, Les Boothe
Costumi
Suttirat Anne Larlarb
Musica
A.R. Rahman
Interpreti

James Franco, Amber Tamblyn, Kate Mara, Clémence Poésy, Treat Williams

Produzione
Fox 2000 Pictures, Regency Enterprises, New Regency Pictures,
Stuber Productions, Bedford Falls Productions
Anno
2010
Nazione
USA, UK
Genere
avventura
Durata

94'

Distribuzione
20th Century Fox
Uscita
25-02-2011
Giudizio
Media

E' più difficile sfuggire alle miserie di un sobborgo indiano, uscire dal diabolico vortice della dipendenza da eroina o liberarsi da un masso che blocca il nostro braccio all'interno di uno stretto e sperduto canyon? Guardando la sua ultima fatica, ci si rende conto di quanto tutta l'opera di Danny Boyle sia costellata di personaggi che cercano di trovare una via di fuga attraverso percorsi dolorosi alle situazioni in cui il destino li ha fatti trovare.
In questo caso, Aron Ralston (James Franco) è un ingegnere con la passione per l'avventura estrema che decide di partire da solo col suo zaino per una pedalata, arrampicata e quant'altro in un meraviglioso parco dello Utah. Dopo aver fatto un rischioso bagno insieme a due ragazze appena conosciute, prosegue da solo la sua avventura finchè, calandosi in un angusto passaggio, il suo braccio destro viene incastrato da un pesante masso. Il film inizia qui, in questa caverna, e ruota tutto intorno agli escamotage che Aron prova per liberarsi, alle confessioni che riserva ai suoi genitori su una videocamera digitale, alle allucinazioni, alla sete, al freddo, fino alla lacerante (in tutti i sensi) liberazione finale.
Dopo l'incetta di Oscar di “The Millionaire”, Boyle conferma come compagno di scrittura Simon Beaufoy nell'adattamento del libro autobiografico dello stesso Ralston, per uno script in cui l'azione è più che mai statica e forzatamente centrata sull'espressività del bravo James Franco. Ne scaturisce logicamente la claustrofobia che contraddistingueva uno dei casi cinematografici della stagione passata come “Buried”? Assolutamente no, perchè il regista non perde occasione per portare lo spettatore “fuori”, in alto verso i corvi, o verso il Gatorade dimenticato in macchina, o ancora dentro la più fragorosa allucinazione. D'altra parte l'intimità, quella spiritualità sui generis che accompagnava Emile Hirsch in quell'altro viaggio estremo e solitario dentro la natura che fu “Into the Wild” è altrettanto distante.
Qui c'è più che altro l'istinto di sopravvivenza di un uomo e la dolorosa scoperta di quanto gli altri siano necessari nella vita di ognuno e di come valga la pena spendere qualsiasi prezzo pur di avere di avere indietro la propria vita, tanto per non venire meno a quella morale un po' facile che spesso circonda chi ha avuto a che fare con gli Oscar di recente. Come sempre dunque, Boyle è bravissimo a parlare un linguaggio giovane e accattivante, fatto di montaggi frenetici, virtuosismi e musiche azzeccate, in cui tutto deve essere mostrato, a maggior ragione se ostico (chi non ricorda la discesa nel water di “Trainspotting”?), a tal punto che i dieci minuti della liberazione di Aron metteranno alla prova anche gli appassionati del gore.
[emiliano duroni]