L’industria cinematografica - il cinema americano lo insegna alla perfezione e quello francese ne ha capito, appreso ed applicata la lezione - si fonda su quello che viene definito genere, ovvero stilemi narrativi, personaggi, linguaggi codificati, riconoscibili al pubblico su cui fondare, innestare elementi altri capaci di elevarlo, modificarlo, innovarlo.
Il cinema italiano ha un po’ perso una tradizione su cui negli Anni Sessanta e Settanta aveva costruito quella che possiamo chiamare “industria cinematografica” con autori di oggi che si cimentavano in generi cinematografici quali il thriller, l’horror, il poliziottesco, lo spaghetti-western e via discorrendo. Oggi di questi sopravvive principalmente la commedia, o commedia all’italiana, vera carattere identificatorio del dna italico. Almeno nel cinema ufficiale. Ma dietro di questo, nel suo sottobosco ci sono giovani registi, capaci di giocare con il genere cinematografico, in particolare un genere considerato spesso e volentieri minore dalla critica ufficiale, ma capace invece di essere portatore sano di un’analisi della società contemporanea coraggiosa, indipendente e il più delle volte irriverente ed originale. Il genere è l’horror. Alcuni mesi fa è passato quasi inosservato il lungometraggio di un giovane autore Gabriele Albanesi con il suo Il bosco fuori. Oggi abbiamo avuto l’occasione di visionare due cortometraggi di un giovane regista Michele Pastrello, che dall’interno del genere horror, gioca con lo spettatore attraverso la macchina cinema, creando emozioni attraverso la potenza dell’immagine, capace di rigenerarsi attraverso il suo stesso consumo.
Dopo aver frequentato per un breve periodo Ipotesi Cinema, il laboratorio audiovisivo fondato da Ermanno Olmi (prossimo Leone d’Oro alla Carriera a Venezia 2008) ha realizzato nel 2005 il corto Nella mia mente vincitore del PesarHorrorFest. La storia di una ragazza, che al rientro da un appuntamento finito male, si ritrova sola in casa, dove attraverso piccoli dettagli ed segnali sempre più inquietanti, scopre un efferato accadimento. Se nell’horror la minaccia è sempre più inquietante se negata alla vista dello spettatore, Pastrello sembra aver appreso la lezione alla perfezione. Il punto di vista dello spettatore finisce per coincidere con quello della protagonista, apprendendo insieme a lei e vivendo la stessa ansia e terrore viscerale che nasce dall’inquietante visione/rappresentazione di ambienti ed oggetti quotidiani. La casa, ambiente da sempre rassicurante e sicuro, nella perfetta tradizione dell’horror anglosassone ma non solo (da Dario Argento al Pupi Avati di un tempo), si trasforma sotto i nostri occhi in ambiente sempre più ostile, una vera trappola per topi. Qui giocando attraverso profondità di campo distorte, movimenti di macchina accurati ed un montaggio teso ed emotivo, veniamo precipitati in una surrealtà che è fisica ma anche e soprattutto psicologica, salto che non avvertiamo assolutamente se non nel finale un po’ troppo, questo si, compiaciuto.
Nel secondo cortometraggio visionato, intitolato 32, la lezione della scuola di Olmi si fa sentire pesantemente. La filosofia di vita di Ipotesi Cinema e' strettamente legata all'osservazione e alla documentazione della realtà, presupposto fondamentale di quel saper guardare che e' il bagaglio indispensabile dell'autore cinematografico. Prendendo spunto dal cantiere del nuovo passante di Mestre (uno dei tratti autostradali a più alta intensità di traffico), una cicatrice da 53 km di asfalto nella campagna veneta, Pastrello costruisce un interessante quanto ardito parallelismo tra l’azione violenta dell’uomo sulla natura e quella dell’uomo in quanto individuo sulla natura femminile. Lo spettatore è precipitato subito nell’azione di una corsa sfrenata nella campagna di una giovane donna inseguita da un giovane uomo. Non sappiamo nulla di loro e non sappiamo i motivi di questa corsa sfrenata e drammatica, in cui l’azione portata avanti per linee orizzontali contrasta con le linee verticali che contraddistinguono lo scenario circostante, la natura con i suoi filari di alberi che immobili, impassibili ed impotenti osservano l’azione che si consuma ai suoi piedi. Dialoghi giustamente ridotti al minimo, tutte le informazioni ci vengono dalle immagini e le emozioni sono affidati alla macchina cinema che ancora una volta il giovane regista riesce a mettere in azione, come creatrice di significato.
I prodromi del talento sono presenti in queste opere che necessiterebbero di maggior asciuttezza nei dialoghi per Nella mia mente e nel ritmo (soprattutto nel lungo finale) per 32. La strada è stata appena intrapresa, il percorso lungo e tortuoso, ma la capacità di far parlare le immagini, di raccontare storie attraverso di queste è incontestabile. Occorrerebbe un produttore illuminato e coraggioso per offrire al giovane autore la possibilità di cimentarsi con un lungometraggio. Fossimo negli Stati Uniti d’America ci sarebbe un Roger Corman di turno, in Italia… chi c’è batta un colpo.

Nella mia mente
Regia
Michele Pastrello

Sceneggiatura
Michele Pastrello
Fotografia
Thomas Cicognani
Montaggio
Michele Pastrello
Musica
Petta Ketonen
Interpreti
Angela Picin, Tobia Cinetto, Marcella Braga
Italia, 2005, 26'
 
32
Regia
Michele Pastrello

Sceneggiatura
Michele Pastrello
Fotografia
Mirco Sgarzi
Montaggio
Michele Pastrello
Musica
God Is An Astronaut, Michele Pastrello
Interpreti
Eleonora, Bolla, Enrico Cazzaro, Davide Giacometti
Italia, 2008, 26'
 
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