Il
titolo internazionale The Last House
in the Woods è una dichiarazione di intenti
da parte del giovane debuttante Gabriele Albanesi. Chi ama
il cinema horror non potrà non aver pensato al primo
film di Wes Craven (The Last House in
the Left – L’ultima casa a sinistra) per
altro remake in salsa emoglubinica di un piccolo film di Ingmar
Bergman La fontana della vergine,
di cui questo Il bosco fuori ricalca a grandi linee la trama.
Incipit: in un incidente stradale una coppia di genitori rimane
uccisa. Il figlio scappa cercando rifugio in una casa persa
in mezzo ad un bosco intorno ai castelli romani. Ai nostri
giorni Aurora (Daniela Virgilio) e Rino (Daniele Grassetti)
sono due giovani innamorati che una sera come tante decidono
di appartarsi con la propria auto in un luogo tranquillo.
Aggrediti da un gruppo di balordi, vengono soccorsi da un'altra
coppia che dopo aver messo in fuga i teppistelli, invitano
i due a seguirli nella loro casa persa nella campagne dei
Castelli Romani. I due accettano ben volentieri l'invito dei
coniugi, intenzionati anche a dimenticare al più presto
quei momenti di paura, senza sapere che dietro quell’invito
si prepara un’ esperienza ancora più terribile
e mortale…
Chi ha visto il film di Craven può facilmente immaginare
il proseguo per tutti gli altri basta dire che allo spettatore
non verranno negati momenti di grande impatto visivo e corpi
mutilati, deformati, disarticolati andranno a comporre un
quadro avanguardista in cui i colori scuri della notte saranno
ravvivati da fiumi dal rosso del sangue dei protagonisti,
e dal giallo del pus di sacche tumorali pronte ad esplodere
(nella sequenza più impressionante del film che ricorda
il Peter Jackson dei bei tempi, quelli di Bad
Taste per intenderci). Ma il film è una piccola
enciclopedia del cinema horror splatter in cui il regista
si diverte ad inserire tracce, indizi, riferimenti che lo
spettatore più accorto potrà divertirsi a decriptare.
La
casa, Non aprite quella
porta, Le colline hanno gli occhi,
La casa dalle finestre che ridono,
sono alcune delle citazioni presenti nel film che vengono
centrifugati e schizzati letteralmente in faccia allo spettatore.
Albanesi dimostra una buona perizia nell’uso della macchina
da presa con una regia nervosa, mobile che getta lo spettatore
al centro dell’azione, stemperando i momenti emotivamente
molto forti con la leggerezza di alcuni personaggi. Il tutto
però con una coerenza di messa in scena convincente.
Essendo un’opera prima girata con pochi mezzi, non tutto
fila alla perfezione. La sceneggiatura zoppica quando si tratta
di costruire la psicologia dei personaggi e le interazioni
tra di loro; alcuni dialoghi sono imbarazzanti e la recitazione
da parte dei due giovani protagonisti lascia alquanto perplessi.
Anche il finale è un po’ al di sotto delle attese
ma ad ogni modo sono peccati veniali che ci auguriamo possano
essere superati in futuro, sperando di poter assistere ad
una seconda prova di un ragazzo che ha dimostrato un grande
coraggio e spirito di iniziativa.
[fabio melandri]