Il cinema spezzato

[alessandro antonelli]

Lente d’ingandimento sul 3° Korea Film Festival

www.koreafilmfest.com

Come un vento caldo proveniente dal Mar Giallo, la terza edizione del Korea Film Festival si è insinuata negli occhi dei presenti, lasciando lacrime ed emozioni, sorprese e curiosità, contagiando con uno stile cinematografico ed una fetta di mondo, quella orientale, il nostro modo di interpretare le cose e gli avvenimenti quotidiani.

Tenutosi presso l’Auditorium Stensen a Firenze, spazio spesso adibito a rassegne o proiezioni non prettamente commerciali, dall’8 al 14 aprile scorso, ha positivamente registrato una enorme affluenza di pubblico e un seguito massiccio anche di stampa e critici.
A brillare in mezzo al programma delle serate fiorentine, la retrospettiva dell’astro nascente Kim Ki-duk (anche a Milano, Torino, Roma e Bologna), che si è reso noto al grande pubblico con il Premio Speciale della Giuria alla 61a Mostra del Cinema di Venezia per Ferro 3 – La casa vuota. In rassegna quasi tutti i film del regista sudcoreano, ben dieci, in lingua originale con sottotitoli. Solo Kim Ki-duk meriterebbe un capitolo a parte per la complessità dei suoi lungometraggi, soventemente impregnati del suo background paramilitare e delle sue esperienze di pittore e maestro di arti marziali. I suoi film arrivano allo stomaco, dove esplodono tra il dolore, la tristezza e la risata, dove nonostante l’intelligenza sia sempre presente, il cervello non arriva, perché non fa parte del club e nessuno l’ha invitato. Spiegare e pensare tutto sarebbe solo un errore madornale. Ingoiare e deglutire aloni di vita e violenza domestica invece, fa parte del meccanismo di catarsi dei suoi protagonisti, un po’ fantasmi, un po’ umani, ma mai stupidi e scontati esseri.

La rassegna ha inoltre provato a dare un taglio storico culturale all’entità Corea, con una conferenza sull’informazione e sulla conoscenza, una tavola rotonda per dibattere, insieme ad esperti e storici, la situazione filmica e non di una nazione spezzata militarmente e territorialmente da quasi sessant’anni, dopo guerre civili e lotte idealistiche. Cosa che influisce non poco sulla gestione degli affetti e delle decisioni riguardo ai processi creativi artistici. Un cinema a metà che non si piange addosso, ma che anzi fa del dolore l’arma di una propria rivincita intellettuale.

Non sono mancati altri elementi importanti, come la presenza di numerosi cortometraggi della Indiestory Production, appartenenti a registi emergenti e, sicuramente da non sottovalutare, la proiezione di Wonderful days di Kim Moon-saeng, primo kolossal d’animazione coreano, di genere fantascientifico sulla scia del famoso Akira, ambientato nel futuro durante la guerra per il controllo dell’energia.
Degni di nota alcuni opere di autori meno conosciuti sul fronte occidentale. Parliamo della pellicola in costume Untold Scandal di Lee Jae-yong, adattato all’epoca della dinastia Chosun e tratto dal celebre romanzo epistolare 'Les liasons dangereuses' di Choderlos de Laclos, e dell’originale Too Young To Die di Park Jin-pyo, storia vera di una coppia di anziani che si innamorano secondo la più classica delle leggi del cuore senza età. Chiude il cerchio Repatriation di Kim Dong-won che realizza un quasi documentario a sfondo politico basandosi sulla vita e le peripezie di due prigionieri comunisti filmati per anni.

Il Korea Film Festival nasce nel 2003 da un’idea di Riccardo Gelli e Eun Young Chang con lo scopo di far conoscere la cinematografia coreana, spesso messa in disparte tra Cina e Giappone. La manifestazione, sponsorizzata sin dagli esordi da KoreanAir, compagnia di volo nazionale, e da Samsung, colosso tecnologico coreano, sembra ben procedere verso la prossima quarta edizione. Tanti auguri.

Tra rievocazioni storiche, dibattiti, film e folclore, il festival è stato l’occasione per addentrarsi nel seducente universo orientale della Corea, nei suoi costumi e nel suo popolo.
C’è qualcosa dell’oriente che da sempre ci attrae, che a noi occidentali non riesce vedere, come gli atomi di una miscela millenaria per la felicità dell’anima. Giappone, Corea, Cina, ci tramandano i loro gusti visionari, il sapore della loro arte rinascimentale dal profondo della storia, un modo diverso di guardare i contorni delle cose. Ascoltiamo senza presunzione guardando le illusioni dell’altra parte del mondo. Non si parla di cibo, non si parla di religione.
Tutto questo è (solo) cinema.

| Kim Ki-duk Il Cattivo ragazzo |