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[fabio
melandri] |
Kim
Ki-duk (a destra) insieme ai protagonisti del
suo ultimo lavoro "Ferro 3 La casa vuota" |
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“Siamo
tutti case chiuse, in attesa che qualcuno rompa il lucchetto
e ci liberi.” Viaggio nel cinema di Kim Ki-duk,
il ‘cattivo ragazzo’ amato dai cinefili.
"I
miei film si basano sulla mia visione del mondo e su
ciò che mi circonda, e che interagisce con me.
La violenza che descrivo è uno degli aspetti
della realtà, una sua espressione. Di conseguenza
la violenza è un mezzo per descrivere la realtà
stessa." Come
all'inizio del 20° secolo Antonin Artaud sconvolse
il mondo con il suo teatro della crudeltà, così
l'astro nascente del cinema coreano il regista Kim Ki-duk
riempie i suoi film di omicidi, stupri, mutilazioni
e gesti estremi; il tutto non per una particolare
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forma
di sadismo ma per rappresentare un percorso in cui il dolore
è il vestito in cui l'umanità deve calarsi per
tornare al primordiale stadio di felicità. Elemento peculiare
della società coreana - la guerra non ancora dimenticata
con il Giappone, la scissione negli stati coreani del Nord e
del Sud vissuta ancora "come un'indigestione, che ci disturba
ma della quale non riusciamo a liberarci" - il dolore viene
vissuto, sopportato, alimentato dai personaggi con un senso
di rassegnata coscienza, di ineluttabilità, come fosse
un passaggio obbligato per poterlo finalmente trascendere e
costruirsi un proprio angolo di felicità; felicità,
a volte concessa talvolta negata, intesa in maniera assai diversa
dall'interpretazione occidentale.
Anomalo personaggio, arrivato al cinema quasi per caso dopo
aver lavorato in fabbrica, essersi arruolato in marina e aver
frequentato per due anni una istituzione religiosa per ipovedenti
con l'intenzione di darsi alla predicazione. Trasferitosi in
Europa per tre anni, ha viaggiato tra Francia ed Italia, appassionandosi
di pittura con i quadri di Toulouse Lautrec, Edvard Munch ed
Egon Schiele. Una formazione pittorica, pittore lui stesso,
che è fortemente presente nel suo cinema, nella rigorosità
della composizione dell'inquadratura, nella lividezza della
fotografia, nella grande capacità di sintesi tra emotività
europea-mediterranea ed autocontrollo orientale. Un cinema misurato
ed essenziale nei dialoghi, spesso e volentieri ridotti al minimo
"lI mutismo è un segnale che indica una ferita;
in questo modo riconosciamo un momento del passato che ha causato
un dolore. Se queste esperienze vengono dette con le parole,
si rischia di diventare banali. Il silenzio crea maggiore spessore.";
nei personaggi, pochi ma finemente descritti; nel sonoro con
un uso parco della musica a favore di tutti quei rumori - gli
elementi naturali - solitamente di sottofondo nella vita quotidiana
che qui invece acquistano valenza simbolica e narrativa.
Un cinema che parla di uomini ed agli uomini attraverso l'uso
dei quattro elementi della natura: l'acqua dei numerosi fiumi,
laghi e mari, simboli della vita; il fuoco delle passioni -
amore, odio, vendetta - che bruciano nei petti dei personaggi;
la terra del mondo sensibile, simbolo dell'ordine, della coscienza,
della realtà che si oppone all'aria del mondo soprasensibile,
della fantasia, dell'invisibile, delle "anime".
Un cinema di personaggi border-line, uomini e donne che vivono
agli estremi della società civile (gangster, prostitute,
monaci, vagabondi senza fissa dimora) dagli animi tormentati,
lacerazioni dello spirito che si ripercuotono sui corpi feriti,
mutilati, martoriati da lame di coltelli, aghi da pesca, fili
di ferro, vetri rotti, mazze da golf. Un cinema di corpi che
parlano e raccontano le storie senza far ricorso a fonemi, ripresi
mentre si stringono l'uno contro l'altro in violenti amplessi
e svolgono le loro funzioni basiche "Mi sembra che i film
europei parlino molto dell'amore fisico, ma lo fanno in maniera
intellettuale. Questo perché per voi europei esiste una
cesura tra l'intelletto e il corpo, e forse vi risulta difficile
comprendere davvero gli aspetti fisici del corpo; noi asiatici,
invece, concepiamo il corpo in una maniera meno intellettuale,
così, mentre per voi c'è una netta opposizione
tra fisico e mente, in Asia il corpo è un elemento più
fisico che intellettuale."
Un cinema che per essere appreso appieno e quindi apprezzato,
richiede un alto livello di attenzione da parte dello spettatore.
Questo deve cercare di entrare in simbiosi con il film, calibrando
il proprio respiro con il ritmo placido della narrazione ed
i lunghi silenzi dei personaggi; lasciandosi trasportare da
quelle emozioni che, con orientale pazienza, il regista costruisce
poco a poco e che come fiumi carsici scorrono nella profondità
dell'animo umano, per emergere all'improvviso e con veemenza
non appena le nostre difese psicologiche si allentano e cedono
i bastioni difensivi del nostro Io. Un cinema di confine e di
esplorazione dell'animo umano; un viaggio alla luce di un tiepido
fuoco che illumina la strada della conoscenza di se, del mondo,
degli altri.
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