Come le è venuta l'idea di Martyrs?
All’inizio l'impulso è arrivato da Manuel Alduy di Canal+. Cercava dei progetti per la sua collezione di film di genere, e mi fece sapere, attraverso il mio produttore, Richard Grandpierre, che il mio lavoro gli piaceva. Con Richard, abbiamo colto l'opportunità di lanciare un progetto in un lasso di tempo abbastanza breve, mentre ne sviluppavamo un altro più difficile da finanziare. Ho scritto la sceneggiatura in fretta e furia, quasi difilato, non ci ho messo più di quattro mesi. Sapevo anche che una sceneggiatura come questa, sviluppata su un binario bene preciso, mi avrebbe lasciato un grande margine di manovra, e che non avrei dovuto preoccuparmi dei diktat televisivi.
Era una vera libertà. Canal+ è rimasto l'ultimo canale in Francia ad autorizzare questi progetti, è un’attività preziosa.
Inoltre, ho l’immensa fortuna di essere sostenuto da un produttore che crede alle mie ossessioni, che mi segue... Non so come faccia, ma Richard Grandpierre riesce a fare esistere i progetti più insoliti... Perché, sinceramente, che Martyrs sia stato montato, è un piccolo miracolo...

E la storia, da dove nasce?
L’immagine di partenza, era questa "figura della vendetta", l'intrusione improvvisa di questa ragazza che, arma alla mano, viene a sconvolgere la vita di una famiglia come tutte le altre.
Partendo da questa semplice idea, mi sono posto le domande di base "Perché lo fa?", "Che cosa è successo?", Si sbaglia?", e la storia si è scritta quasi da sola. In fondo, scrivendola, io non ne sapevo molto più dello spettatore che guarda il film e capisce poco a poco il livello del mistero. E’ stato un processo molto intuitivo...

Perché fare un film tanto violento? Vuole turbare il pubblico? Esorcizzare la paura della morte e del dolore?
Innanzi tutto, mi sembrava il mezzo più onesto e più integro di raccontare questa storia. Martyrs parla di persone che si fanno male. Chi ha sofferto si vendica e a sua volta fa soffrire gli altri. I supposti boia diventano vittime ed al contrario, non si sa più dove comincia il male, non si sa più chi è il "martire"... Mi piaceva l'idea di fare un film inquietante, di fronte al quale lo spettatore perde
i propri riferimenti morali e non sa più chi sostenere e con chi identificarsi. Non mi interessa turbare, ma occorreva veramente che ci fosse una sensazione fisica, organica, del dolore inflitto, altrimenti si sarebbe persa ogni idea della gravità di questa violenza, ciò l'avrebbe resa "gadget" e avrebbe reso il film un oggetto abbastanza ambiguo... Io non volevo allontanarmi dai miei personaggi.
Volevo che ogni colpo fosse veramente doloroso, non per qualche discorso morale sulla rappresentazione di questa violenza, ma perché è l'argomento stesso del film: in fondo, in fondo alla violenza, c'è qualche cosa? C'è un senso nel trascorrere il nostro tempo a soffrire ed a fare soffrire l'altro? Che cosa bisogna farne di questo dolore universale che sembra mosso da un principio di movimento continuo che si genera da solo, c'è un fine per tutto questo? Credo che in fondo, è la domanda che si pongono tutti i film horror che ho apprezzato: il motivo per cui la condizione umana è fondamentalmente tanto atroce... Il trucco dell’horror, in quanto genere, è di prendere la morte come punto di partenza e non come punto di arrivo, diversamente dalla tragedia, per esempio.
Essere è deteriorarsi, la finitudine è là, al principio, bisogna comunque conviverci. Sono forse delle cose trite, dei cliché, ma non smettono di farmi interrogare, di commuovermi e di generare altri progetti...E poi, la nefandezza del film viene dall’umore che avevo quando l'ho fatto. Le circostanze della mia vita erano tali che mi sentivo abbastanza solo. Sentivo, un sentimento diffuso che mi faceva alquanto soffrire, che la nostra epoca era una tra le più brutali mai vissute. Ma si trattava di una brutalità molto particolare perché al tempo stesso è nascosta, civilizzata e contenuta nel sistema stesso che ci fa vivere insieme; è tenuta nascosta da ciò che solitamente si chiama la "nostra Civiltà", ma è là, onnipresente, e mi colpisce nel profondo. La violenza sorda, quasi invisibile delle nostre società urbane occidentali, mi sembra molto dura da sopportare. La competizione è rude, i perdenti sono legionari e l'angoscia individuale è al suo parossismo... Quanto tempo può durare? Che cosa faremo dei perdenti? Ci sono cineasti che devono sobbarcarsi queste domande, mi sembra.
Abbiamo bisogno di film che rimandino questo orrore contemporaneo, che ne facciano la materia che amoreggia con la tentazione del nulla, che si assumano l’onere di essere portatori di cattive notizie... È un progetto che non mi sembra né privo di nobiltà, né privo di necessità. Se tutti i film, in nome del pragmatismo economico, non si occupano di altro che di vivere d’aria, rimandando alla società un'immagine liscia e convenuta di lei stessa, mi sembra che questa sia un'idea di cinema che sbaraglia il campo... Un'idea di cinema che mi è molto cara... Un produttore non può passare la vita ad accarezzare il pubblico nel verso del pelo... Non può esserci solo questo, se no, è da spararsi...
Provo a farlo, al mio livello, nel quadro di un film di genere con suspense, perché è il mio genere, perché così si apre il progetto, anche all’estero, ma avrei potuto farlo benissimo con un film sperimentale girato in dv senza sceneggiatura. Sarebbe stato altrettanto scuro, altrettanto triste, altrettanto mortifero...

Si spinge molto nella nefandezza...
Non è colpa mia se questa non è un’epoca da mettersi con il culo per terra! E poi, il genere lo permette. Posso essere più barocco, più espressivo che, diciamo, nel quadro di una cronaca di realismo sociale, per esempio... Trovo ottimo che un film di paura, un film horror o fantastico, lo chiami come vuole, ritrovi un carattere offensivo, che mi permette di esprimere sommessamente delle cose molto personali, protetto come sono dai codici e dagli archetipi di cui parlavo precedentemente...

Girare un film tanto duro come Martyrs la mette in uno stato particolare?
Non proprio, perché la gioia di fare domina tutto. Voglio dire, è il mio secondo film, vivo ancora nello stupore della fortuna di fare questo mestiere. E poi, è vero che il film ci ha fatto passare dei momenti particolari, abbastanza scomodi. La mia energia era abbastanza negativa, riuscivo ad essere noioso e tirannico. Non è facile chiedere ad un'attrice di piangere sul serio tutto il giorno, di
esigere che si faccia male. Per farlo c’è bisogno di una certa abnegazione, perché nella vita, ho comunque abbastanza inibizioni... La ripresa era abbastanza grezza. La cosa più difficile sul set è stata combinare i numerosi effetti speciali, fatti secondo il buon vecchio metodo artigianale, senza perdere l'energia del gioco. Abbiamo girato molto con lunghi piani-sequenza, senza fermare la cinepresa, perché ogni volta che si interrompeva correvo il rischio di perdere qualche cosa di Morjana o di Mylène che non sarebbe tornato. Era abbastanza stressante. Grazie a Dio, Benoît Lestang, il creatore degli effetti speciali, era là col suo talento e le sue soluzioni a tirarmi spesso fuori dalla merda... E le mie attrici anche, sono state dei veri soldati. Si credeva in quello che si faceva e nessuno si è lamentato. Anche i produttori mi hanno aiutato lasciandomi in pace, non provando mai ad edulcorare i discorsi, e sostenendo il più possibile la realizzazione del film. Ci sono stati momenti divertenti, altri molto duri, improbi, ma nessuno ha detto che era facile fare un film.

Esattamente, è più facile o più difficile realizzare un secondo film?
E’ più difficile il primo, per me non c’è alcun dubbio.
Ho sempre trovato fumosa la teoria della "difficoltà del secondo film." Mi sembra la riflessione di privilegiati che hanno dimenticato l'angoscia del giovane che sbarca a Parigi e che vuole fare cinema senza conoscere assolutamente nessuno. Prima di avere l’eccezionale fortuna di realizzare il primo lungometraggio, sei in uno stato di inquietudine e di frustrazione permanente, sai che statisticamente sono molto poche le probabilità di superare la prova. Sai che è pieno di persone con molto più talento di te a voler fare la stessa cosa e hai quella vocina nell’angolo remoto del cervello, la voce della ragione, che non smette di allarmarti sul fatto che la tua scelta è molto incerta e che non bisogna sognare troppo. Dopo il primo film, sei già del mestiere, in ogni caso agli occhi degli altri, la tua rubrica si riempie, si avviano nuove relazioni e si creano nuove reti, niente è più come prima.

Come ha affrontato le riprese di Martyrs?
In maniera opposta al mio film precedente. Ho rifiutato ogni sorta di story-board, ogni preparazione eccessiva che avrebbe bloccato una volta per tutte la mia idea di film. Avevo un’idea generale molto precisa del film, ne conoscevo l’umore, la respirazione, ma la creazione scena per scena è rimasta molto aperta. Volevo lasciare intervenire il reale, obbligarmi alle scelte dell’ultimo minuto, navigare a vista alla mercé di ciò che era possibile ed impossibile fare. In generale si fa sempre così, ma in questo caso ho spinto molto in avanti questo principio. Volevo fare un film viscerale, un film in cui la storia si svolge come se tutto accadesse in diretta, lì per lì, un film che non si "dedica al farsi vedere." Volevo liberarmi dell'ossessione della forma, della bella immagine. Per questo abbiamo girato molto con la cinepresa a mano, improvvisando il più possibile, con degli impianti luce abbastanza semplici che permettevano agli attori di andare dove sembrava bene a loro.
Toccava a noi seguire, incollarci a loro, anticiparli. Il caos, l'approssimazione, l'incidente non era mai lontano... Ho avuto paura con questo film, perché, per natura, ho l'ossessione del controllo. Ma ho imparato davvero molto.

Perché ha girato in Canada?
Per ragioni pragmatiche di co-produzione. Una volta sul posto, l’abbiamo integrato al progetto artistico. La luce del Quebec è proprio
singolare, porta al film un'emozione in più. Il cielo ha delle tinte di grigio che non ho visto altrove, anche i bianchi sono particolari. Questo mi riportava alle sensazioni che avevo conosciuto guardando i film di genere canadesi fatti negli anni 70-80. David Cronenberg certamente, ma anche altri realizzatori meno noti come William Fruet o George Mihalka. Hanno fatto dei film di serie B che amo in modo nostalgico e che rendono questo paese mitologico. Il Canada mi permetteva anche di creare uno spazio-tempo leggermente distanziato, di far uscire il film da un contesto esclusivamente attuale. È anche per questo che Martyrs si apre e si chiude su un vecchio film in superotto. Amavo l'idea che il film raccontasse la storia di due ragazze che erano state un giorno su questa terra e che a dimostrazione della loro esistenza rimanevano solamente alcuni metri di pellicola sciupata, unica prova tangibile della loro esistenza. Tutto ciò fa perfettamente da contrappunto alla violenza del film e, sul serio, la sola ragione per cui l’ho realizzato è raccontare la malinconia.

Molti realizzatori di film fantastici francesi non possono trattenersi dall’elencare riferimenti, consapevolmente o no. Cosa ne pensa?
È un rimprovero che mi è stato fatto spesso all'uscita del primo film. I fan del genere adorano criticare i realizzatori, soprattutto se sono francesi e cinefili come loro, sulle influenze, le citazioni, addirittura i plagi... Tuttavia non si infastidiscono mai i cineasti cosiddetti "di autore" quando le loro ispirazioni sono tanto evidenti. Non ho mai ben capito perché... Probabilmente perché il genere fantastico ha i suoi codici, le sue ricette, perché c'è un tipo di Bibbia tacita del genere e che i suoi apostoli, i fan, si sentono investiti di una missione, un riflesso dei Custodi del Tempio! Dico ciò con molta naturalezza, in quanto innamorato dei film degli altri, in fondo sono un po’ così anch’io... E’ divertente e ti obbliga a rifletterci quando fai un film: partire su alcuni codici arci-triti e provare a deviarli, provare a sorprendere, a prendere al rovescio un pubblico sempre più educato alle immagini, al tempo stesso decisamente sazio e molto esperto. Martyrs gioca costantemente con gli archetipi del genere, affinché ogni volta che lo spettatore crede di capire in quale ambito si trova, è tirato bruscamente verso una direzione inattesa. Bisogna semplicemente farlo senza disonestà, senza fare lo scaltro, senza distanza, e senza post-modernismo, perché questo veramente è ciò che detesto.
È un film di vendetta? Non esattamente. Un film di mostri? Forse. E’ un film fantastico? O un thriller? Eccetera....E’ un gioco col pubblico; la suspense che ne risulta, mi sembra, permette di accettare meglio la violenza, perché la si vuole conoscere. È un gioco di equilibrio delicato, di innesto, spero che funzioni.

Molte attrici hanno rifiutato di lavorare in questo film, perché?
Perché è violento, perché è assimilato ad un genere dubbio, perché il progetto non è sentito come “ricompensa”... È difficile combattere i pregiudizi. Ho avuto spesso l'impressione di proporre un film pornografico... Francamente, l’ambiente del cinema è estremamente conservatore, molto conformistico. Il carrierismo prudente è una regola largamente seguita, come in qualsiasi altra
impresa, e sembra assolutamente normale, mentre in fondo, nell’arte, è una cosa orribile!

Perché ha scelto Mylène e Morjana alla fine?
Per Mylène, è stato pressoché automatico. Ha un vero e proprio gusto per i progetti “borderline”, ha quella energia di giovane donna che ambisce a soppiantare le anziane, a provocare. Sapevo che avrebbe accettato di spingersi in universi un po’ al limite... E poi, ha una cinegenia straordinaria, un carisma formidabile. Quando entra in un locale, la temperatura cambia, le persone cambiano atteggiamento. Se non lo senti non puoi fare il regista... E poi ha un’energia naturale che tende al “nero”. Ha qualcosa di pericoloso, oscuro, è piena di appassionanti contraddizioni... Sul set, quando entrava nel personaggio incazzandosi come una bestia per le necessità sceniche mi faceva davvero paura, mi piaceva ma allo stesso tempo temevo che accadesse qualche incidente. Non si sentiva
volare una mosca, faceva paura perfino ai tecnici che comunque erano preoccupati per lei, si aveva veramente una sensazione di catastrofe imminente, era straordinario, non lo dimenticherò mai.
Per Morjana, non abbiamo fatto tutto in un attimo. A seguito della rinuncia tardiva di un'attrice, sono dovuto ripartire con il casting. Ho visto molte attrici, non trovavo quella giusta.
E poi un'amica mi ha consigliato di vedere il film MAROCK in cui Morjana recitava nel ruolo della protagonista. Ed è ciò che ho fatto. L'ho trovata intrigante, di una stranezza singolare, molto differente dalle attrici "parigine". Sentivo che giocava d'istinto. L’ho incontrata e, in cinque minuti, ho deciso che era quella giusta. Non le ho nemmeno fatto fare provini. Ero sicuro. Speravo solo che
non fuggisse dopo avere letto la sceneggiatura! Invece lei ha avuto la reazione contraria. Voleva muoversi subito, era pronta, se ne fregava completamente dell’immagine ed allo stesso tempo non appariva isterica... È diventata una mia alleata. Nella vita, la trovo sconvolgente, un personaggio che non si può ridurre a qualcosa di semplice. E’ "esotica", nel senso letterale del termine. Vale a dire differente, diversa. E poi, è luminosa, e questo era essenziale per me, perché il suo personaggio è evidentemente quello di una santa...

Il film è molto veloce, gli sviluppi sono costanti...
La suspense, è la costante del film. Martyrs è un film totalmente narrativo. Si rimane con il dubbio, ci si interroga fino alla fine. Spero che gli spettatori ci mettano letteralmente 1 ora e mezza a scoprire tutto...

Quale sarebbero, per lei, le reazioni ideali del pubblico di MARTYRS?
Amerei che si commuovesse... Non sono pazzo, so bene che alcuni non potranno andare oltre un certo livello di violenza, so bene che negheranno di andare là dove il film cerca di portarli... Sono così, non posso farci niente, fa parte del progetto. Capisco molto bene che lo si possa trovare insopportabile. Naturalmente mi aspetto delle reazioni estreme, talvolta tanto violente verso di me almeno quanto lo è il film verso il pubblico. Forse è vero che è un film malato. Una malattia giunta al suo stadio terminale... Una parte del pubblico me ne vorrà forse... Trovo questa prospettiva molto interessante..

Quale è stata la sua prima reazione leggendo la sceneggiatura?
Fin dalla prima lettura di MARTYRS, mi ha colpito l'intensità della storia. Ho trovato che la sceneggiatura avesse consistenza, materia. Era convincente, sconcertante, angosciante, e toccante al tempo stesso. Non riuscivo a smettere di leggere, le scene sono forti e la scrittura molto visiva. Mi ha completamente assorbita, la suspense è continua. Ho voltato l'ultima pagina della sceneggiatura e ho sentito che dovevo fare parte di questa storia, dovevo fare questo film!

Come definirebbe il personaggio di Anna? Avete dei punti in comune?
Anna, è una specie di santa dei nostri giorni. È un personaggio forte, calmo e ponderato. Vive per gli altri, la sua generosità e la sua devozione sono infinite. C'è una complessità in questo personaggio che non è necessariamente evidente all’inizio, l’estrema bontà la rende quasi astratta, ma allo stesso tempo, esiste, è palpabile e profondamente umana. Il suo personaggio è motivato dalla coscienza di essere là per qualche cosa, per fare del bene. Lo fa sinceramente e senza concessioni. Lo si vede dal rapporto che ha con Lucie, e l'energia che mette nel film per "riparare i danni", un'energia concentrata e razionale, senza nessuna isteria.
Non trovo punti in comune tra Anna e me, ho dovuto costruire il personaggio cercando di comprendere ciò che la anima e la fa agire. Ma riflettendoci più da vicino, forse ho, come Anna, questo aspetto forte ed intraprendente.

Come si è preparata fisicamente e psicologicamente per il ruolo?
Psicologicamente, mi sono preparata in maniera abbastanza selvaggia, non ho nessuna idea del modo in cui ci si prepara per un ruolo. Avevo la mia idea del personaggio fin dall’inizio, dalla prima lettura della sceneggiatura e poco a poco, Anna è diventata sempre più definita nella mia testa. Un po’ prima dell'inizio delle riprese, ero Anna, riflettevo ed agivo come lei...Beh, senza esagerare, alle 9 di sera tornavo ad essere me stessa!
La preparazione fisica è stata più strutturata. Avevo un’allenatrice, Gaëlle Cohen, con cui abbiamo iniziato a lavorare tre mesi prima delle riprese, quasi tutti i giorni. Bisognava ripetere tutti i movimenti del film in cui cadevo ed essere in perfetta forma fisica per farcela sul set. Ho anche dovuto perdere peso. Per tutto il film ho avuto la riprova che il lavoro con Gaëlle era indispensabile, anche moralmente.

Come l’ha diretta Pascal?
Abbiamo parlato molto con Pascal e Mylène, serviva soprattutto per conoscersi ed imparare a lavorare insieme. Pascal non ha fatto lo psicologo con me, ero libera ed autonoma nella costruzione del personaggio. Però è stato molto presente e ha trascorso molto tempo coi suoi attori.

Qual è stato il momento più duro delle riprese?
I primi giorni! Ero preoccupata. Perché fin dall’inizio, fin dalla prima scena, bisognava essere molto bravi con le emozioni. Dovevo piangere, urlare, dare tutto subito, sempre. Entrare immediatamente nel ritmo del film che non ha tempi morti... Più tardi, vedendo i primi pezzi montati mi sono resa conto di quanto il film fosse veloce.

Ci sono stati momenti durante le riprese in cui era veramente terrorizzata?
Onestamente, ero terrorizzata, soprattutto dall'idea di non riuscire ad esprimermi al meglio.

Anche il trucco è molto elaborato in Martyrs e lei ha passato molto tempo con Benoît Lestang. Com’è? Come sono queste lunghe sedute di trucco?
Sono momenti in cui ci si distende, si allenta la tensione, ci si riprende. Il buono umore e la serenità di Benoît mi hanno fatto respirare un po’ nel corso delle riprese. Il suo lavoro è impressionante. Quando mi guardavo non vedevo il “maquillage” sul mio viso, ma il personaggio.

Mi parli dell’incidente?
Tutti gli interni della casa sono stati costruiti in studio. Lo spazio non era molto grande, c'erano parecchi livelli, a volte non si distingueva bene il vero dal falso. Il "motore" è partito e io sono passata su una piattaforma che non era stata messa in sicurezza. Sono caduta per tre metri. Non mi sono resa conto subito della portata della caduta. Lì per lì ho voluto rialzarmi per continuare a girare.... Tutti mi guardavano pallidi e terrorizzati in volto, era molto divertente. Andare all'ospedale di Montreal è stato meno divertente, mi hanno detto che avevo tre ossa rotte e che dovevo restare 6 settimane a letto. Pascal era con me. Ci siamo guardati, sapevamo di essere un po’ nella merda... E’ stato strano, soprattutto dopo aver passato settimane a simulare il dolore, i colpi, la violenza... Era come un ritorno del reale. Abbiamo dovuto sospendere le riprese.

Quale è stata la sua reazione la prima volta che ha visto Martyrs?
Ero molto contenta di vedere che il film era fedele alla sceneggiatura, ma con qualche cosa in più. Si è immersi in un universo molto particolare, sconvolgente, e sincero. Martyrs porta in sé una malinconia che mi ha enormemente commossa. Il risultato non lascia indifferenti, è un film di atmosfera, la forza delle immagini e dei contenuti mi ha molto segnata.

Sapendo che Martyrs è molto violento, lo farà vedere ai suoi cari?
Martyrs va oltre la semplice rappresentazione della violenza fisica. Ci sono scene che bisogna decifrare. C’è una violenza fatta su immagine dei rapporti umani e delle norme che regolano la società. Sì, tutti possono vedere Martyrs, non esiterò un solo secondo a mostrarlo..
Come ha reagito leggendo la sceneggiatura di Martyrs?
Era molto ben costruito, iperscritto, talmente ben fatto da farmi immaginare il film. Leggendolo era già cinematografico. E poi, era qualcosa di nuovo e singolare. Mi sono detta: "Se non faccio questo film, non avrò l'opportunità di farne un altro così prima di molto molto tempo... ." È per questo che volevo sostenere il ruolo di Lucie. La sceneggiatura di Martyrs spiccava rispetto a quelle in cui mi
venivano offerti dei ruoli “da gattina” che non avrebbero portato niente di speciale alla storia. Il personaggio di Lucie era veramente all’opposto di tutto ciò che mi si proponeva. Ed io ho adorato l'idea che Pascal potesse vedermi così. In un ruolo tanto duro.

Quando ha ricevuto la sceneggiatura di Martyrs, conosceva già Pascal Laugier?
Avevo sentito parlare di Pascal e sapevo che il suo primo film, “Saint Ange”, era stato controverso.
Ma quando l'ho visto, l’ho amato; è un film completamente differente da Martyrs, nella forma, ma intelligente e molto sottile nella sceneggiatura e nella regia. Mi ero fatta un'idea di lui. Poi me ne sono fatta un’altra quando l'ho incontrato per la prima volta. Mi sono imbattuta in un ragazzo che ha un universo molto particolare e che difende fino in fondo le sue idee. Sa spiegarti ciò che vuole, i suoi punti di vista sono molto chiari. Di botto ho avuto voglia di seguirlo.

Come avete lavorato insieme? Il personaggio che lei difende è comunque molto particolare...
Oggi, non posso trattenermi dal pensare a tutti i problemi che ha avuto Pascal: un budget limitato, un tempo di riprese molto stretto, molti effetti speciali da gestire, un miliardo di problemi da risolvere. Io, sul set, tendevo a ricercare un rapporto conflittuale con lui. Ma forse era la mia mancanza di esperienza a farmi reagire in questo modo. Del resto, non sapevo che avrei reagito così! Ma mi stimolava e mi rassicurava il fatto che tra noi c’è qualcosa di violento. E in questo modo si creava una tensione che si ritrova nelle immagini. E poi, prima delle riprese, Pascal mi ha fatto vedere POSSESSION di Zulawski, ed io sapevo che tra lui ed Adjani il rapporto era stato abbastanza esplosivo...

E i suoi rapporti con Morjana sul set?
Morjana è coraggiosa, tiene la paura per sé, trova un suo equilibrio in una forma di socievolezza con il resto della squadra. Io, sono del genere che si isola. Di chi deve trovare l'umore giusto in una forma di solitudine abbastanza violenta... Soprattutto in un film difficile da girare come Martyrs, dove l’ambiente è particolare, c’è molta pressione e, soprattutto, una grande fifa da parte mia di non indovinare il ruolo. Quindi ero molto chiusa ed abbastanza angosciata. E’ il mio modo di essere.

Ha superato facilmente la malinconia del “fine riprese”
Sì. Ma c'era una tale intensità, una tale energia, che sentivo che stava accadendo "qualcosa." Non è una cosa da niente l’aver fatto un film del genere!

Come ha preparato il ruolo di Lucie?
Lucie è un personaggio un po’ primitivo che reagisce d'istinto e non riflette sulle conseguenze dei suoi atti prima di commetterli, ho pensato che dovevo arrivare così sul set e girare in modo quasi istintivo. Ma Pascal mi faceva fare cose molto difficili fin dalle otto della mattina, dovevo isolarmi nella stanza accanto per trovare questo mio lato un po’ isterico. Riuscivo a mantenere questo stato per un po’ di tempo, si girava senza tregua. Mi sono sciupata. Ho preso decine di colpi, senza mezze misure. Una mattina, mi ricordo che non riuscivo nemmeno ad alzarmi.

Come dirige i suoi attori Pascal?
È un regista molto esigente. Non molla mai. E poi non ho ancora abbastanza esperienza per fare paragoni significativi, tanto più in quanto gli altri due film che ho fatto prima erano realizzati da produzioni asiatiche. Erano più nel “non detto”, non mi parlavano affatto. Era molto diverso. Non erano mai molto “diretti” in ciò che bisognava fare e poi c'era la barriera della lingua. Pascal, lui,
parla. Lui ha delle sensazioni che esprime chiaramente.

Come vedeva lui il legame tra Lucie e Anna?
È un elemento chiave della storia di cui abbiamo parlato molto con Morjana e Pascal. Bisognava dosare le informazioni, perché il loro legame è fatto di cose non dette, di cose tanto intense quanto fragili...
Alla fine, è stata aggiunta una scena, quasi all'ultimo minuto, dove Morjana mi bacia sulla bocca. Non era nella sceneggiatura e non ero molto sicura di avere voglia di girarla. Pascal era convinto che avrebbe illuminato l'energia del personaggio di Anna. Che avrebbe fatto accettare allo spettatore il fatto che facesse cose tanto estreme per Lucie. È vero che alla fine, la scena funziona molto bene. Dice molte cose sulla natura del loro legame, senza essere pesante.

Qual è stato per lei il momento più difficile delle riprese?
Quando fracasso il cranio della madre a colpi di martello! Ho avuto un grosso attacco di ansia prima delle riprese... Come qualcosa che avessi paura di fare... E’ continuato durante le riprese della scena che è durata ore e ore. Prima ho colpito l'attrice con un martello di spugna, poi un manichino con un vero martello, infine davanti ad un fondale verde... Andavo a ricercare l'emozione in fondo a me, mentre tutto intorno era molto artigianale. E’ stata dura. Quando sei isterica piangi per ore, arriva un momento in cui non hai più lacrime. Eppure bisogna continuare a cercare le risorse in sé stessi...

Fino a che punto il personaggio di Lucie ha delle similitudini con lei?
Ci sono molte lei in me! C'è un lato pericoloso e "borderline" di Lucie che mi ricorda la mia adolescenza. Del resto il film mi ha permesso di sapere se ero capace di giocare coi miei demoni.
Certe sere mi sono ritrovata a piangere nella mia camera come una merda. Ma era anche colpa della fatica, è stato molto faticoso fisicamente...

Ci sono stati dei momenti in cui ha provato dell’odio nei confronti del regista per quello che le chiedeva di tirar fuori?
No, perché avevo proprio voglia di fare lo stesso film che lui voleva. Avevo voglia di dare tutto!
Non è necessariamente sempre così perché i registi non ti coinvolgono tutti allo stesso modo.

Come sono andate le sedute di trucco con Benoît Lestang?
Meno male che Benoît è simpatico. Le sedute di trucco erano lunghe, ma passavano in fretta grazie
al suo umorismo. Siamo stati fortunati ad averlo con noi. Perché la credibilità del film passa anche
in quello che fa lui. E siccome Benoît e Pascal sono amici da molto, c'era una tale complicità che le
riprese benché complicate erano fluide.

Le piacciono i film horror?
Onestamente non ne ho visti molti. Perché io amo condividere i film, e fra le persone che frequento non ce ne sono molte che amano film horror. Ma io non considero Martyrs proprio come un film horror. Prima delle riprese, Pascal mi ha mostrato alcuni film degli anni 70 che ho trovato brillanti....
Dei pezzi di opere William Friedkin, anche HALLOWEEN. Voleva mostrarmi quanto fosse brava Jamie Lee Curtis e quanto fosse difficile essere giusti quando il film non si basa sul dialogo, sulla "battuta", ma su azioni semplici come camminare per strada, aprire una porta...Del resto trovo che in termini di "prestazione", gli attori e le attrici francesi dovrebbero provare a girarne di film così.
Però visto che è psicologicamente e fisicamente difficile, ti metti molto a nudo. È più difficile che girare una commedia dove tutto è semplice. Martyrs è veramente un'esperienza che mi ha arricchito.

Mi parli della sua preparazione prima delle riprese...
Ci incontravamo regolarmente in una palestra. Si faceva allenamento fisico con Gaëlle Cohen, cascatrice e direttrice dei combattimenti che nel film recita anche il ruolo di una donna molto perfida.... Per quanto riguarda le ripetizioni con Pascal, era emozione pura. Mi riprendeva senza isteria, né artifici. Mi chiedeva semplicemente di essere me stessa e di andare a cercare nel mio intimo, nella mia vita personale. Al tempo stesso era bello, semplice ed intenso. Immagino che leggesse in me qualcosa che non aveva trovato nelle altre attrici nel corso delle audizioni. Voleva vedere le mie debolezze per sfruttarle sullo schermo, fare in modo che io trovassi la maniera per
poter piangere tutto il giorno, ripresa dopo ripresa, era veramente una gara di resistenza...


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