Questa è la prima volta che sei anche autore del soggetto di un tuo film. Qual é stata “ispirazione di questa storia” e in che modo hai collaborato con un “compagno di squadra” come Fabio Bonifacci (l'autore della sceneggiatura, n.d.r.)?
L'idea era quella di raccontare la difficoltà oggi di trovare un giusto ruolo ed equilibrio nella vita; lo volevamo fare con ironia ma allo stesso tempo con realismo ed intensità, e la metafora della squadra di calcetto ci è sembrata divertente e assolutamente contemporanea.
Lavorare con Fabio è stato stimolante e molto produttivo: l'importanza della scrittura in un film, e ancora di più in una commedia, è assoluta, e ho sempre grande stima di chi sa scrivere e sceneggiare. Il confronto costante, poi, permette di correggere il tiro ad ogni passo e di trovare il giusto equilibrio per raccontare con più forza ciò che vuoi; in questo senso, io e Fabio ci siamo trovati sulla stessa lunghezza d'onda, ci stimolavamo a vicenda nei passaggi più complicati e, fortunatamente, anzi direi quasi magicamente, quando uno aveva meno idee, l'altro era più produttivo. E' stato il primo film corale per me e la sfida più grande è stata quella di riuscire a sviluppare parallelamente varie storie cercando comunque di dare spessore a ciascuno dei tanti protagonisti.

Questo film é una commedia matura e spontanea che racconta almeno tre generazioni e fa scattare l'identificazione con chi si riconosce nelle diverse “tipologie” di personaggi. Ti sei ispirato ad un genere particolare di commedia o addirittura a qualche autore o film del passato?
In realtà più che ad un film o ad un autore in particolare mi sono ispirato ad un modo di guardare la realtà; noi italiani abbiamo sempre avuto l'istinto per la commedia, l'innata voglia di sorridere sulle personali debolezze e sulle difficoltà, di affezionarci ai perdenti e salvarli. Il nostro cinema ne ha fatto una delle principali chiavi di spunto, e benché la realtà di oggi possa sembrare da un punto di vista narrativo meno affascinante e forse meno stimolante, rispetto a quelle del dopoguerra o del grande boom economico, tuttavia è proprio grazie a questo tipo di approccio che ho scoperto nuovi aspetti del mondo che ci circonda. Ora che il film è finito, infatti, mi rendo conto che ne emerge un’analisi davvero interessante: il problema non sembra di natura generazionale, perchè in realtà oggi sono tutti - giovani, anziani, quarantenni – in difficoltà. É come se la capacità di relazionarsi fra individui della nostra specie non fosse più in grado di adattarsi alla velocità dei cambiamenti sociali.

Hai scelto interpreti molto diversi tra loro per ruoli nei quali non si erano ancora cimentati o che non affrontavano da tempo. Come é stato dirigere un cast così eterogeneo?
E' stata la sorpresa più bella. La scelta del cast per me è sempre fondamentale, e qui si è trattato di un lavoro lungo e delicato, di cui sono stato generosamente ripagato: tutti gli attori hanno sposato in pieno la filosofia del film, mantenendo un tono sempre realistico, in modo tale che la comicità o l’intensità drammatica di alcune scene scaturisse sempre dalle situazioni, e mai da gag o forzature; il film ne esce così con una personalità a mio avviso molto originale. Claudio Bisio è stato sorprendente per professionalità e credibilità nel ruolo di Vittorio, sempre pronto ad arricchire il suo personaggio di sfumature preziose; Claudia Pandolfi e Filippo Nigro costituiscono una coppia fantastica, si sono profondamente immedesimati in ruoli molto delicati e credo anche insoliti per loro, mettendosi in gioco, con un risultato eccezionale; Angela Finocchiaro è come sempre straordinaria, e le scene con Claudio sono veramente divertenti e allo stesso tempo intense; Giuseppe Battiston è una figura poetica, che accompagna il film con le sue parole e con la sua forte presenza scenica. Tutti sono stati veramente bravi, Bosca, De Rosa, la Mastalli, la Rocco, e anche Max Mazzotta, che ha trasformato il "Venezia" da un personaggio di contorno ad un fenomenale spunto continuo di comicità, così come Pietro Sermonti che, assolutamente in controtendenza rispetto all’immagine che aveva offerto di sé nei suoi lavori precedenti, ha reso il "cattivo" Filippo assolutamente credibile e contemporaneo. Dirigere un cast così eterogeneo è stato molto stimolante e per me ha rappresentato una crescita professionale importante. Quello che più mi ha aiutato, poi, è stato il comune desiderio di creare una bella atmosfera, rilassata, collaborativa, costruttiva, in cui si sentiva che lo scopo finale era unico e condiviso.

Questo è il terzo film che fai con lo stesso team di collaboratori. Come vi siete preparati in questa occasione?
Come sempre, come fosse il primo film, con la stessa voglia, la stessa passione e lo stesso entusiasmo, ma forse con un po' di esperienza in più, che non guasta.

E' stato più difficile girare le partite di calcetto o raccontare le vicende sentimentali dei vari personaggi?
Diciamo che tecnicamente è stato più difficile e faticoso girare le partite, ma emotivamente raccontare le vicende amorose.
Io e il direttore della Fotografia, Manfredo Archinto, abbiamo voluto privilegiare l’emotività della narrazione, mettendo di volta in volta la macchina da presa al servizio degli stati d’animo di ciascun personaggio. Ad esempio, per sottolineare in modo efficace la tensione creatasi tra Lele e Silvia abbiamo utilizzato una macchina a mano molto imprecisa, nervosa, spesso volutamente sfuocata; in seguito, invece, nel momento in cui i due protagonisti trovano una soluzione ai loro problemi, anche la macchina da presa trova la sua dimensione e, attraverso carrelli e inquadrature fisse, restituisce al racconto una sensazione di maggiore equilibrio e serenità. Lo stesso lavoro è stato fatto anche su tutti gli altri personaggi, e devo dire che la sensazione finale è quella di aver creato molta più empatia nei confronti dei nostri "eroi quotidiani".

La musica è sempre molto importante nei tuoi film. Come hai lavorato con il compositore Giuliano Taviani e come é nata la collaborazione con Eros Ramazzotti?
Ho sentito alcuni brani di Giuliano poco prima dell'inizio delle riprese, e mi è sembrato subito giusto per descrivere sia il tono più leggero che quello emotivamente più intenso del film. Volevo un film ricco di commenti, in cui la musica continuasse a sottolineare i vari cambi e i differenti stati d'animo come in una concitata altalena di emozioni: Giuliano ha fatto un ottimo lavoro. Eros, invece, mi aveva fatto sentire in anteprima "Ci parliamo da grandi", un brano che trovo veramente stupendo: l'abbiamo provata e ci siamo subito resi conto che chiudeva il film in modo assolutamente perfetto, sembrava fatta apposta sia per il testo che per la musica. Quando Eros ha visto il film, in moviola, si è divertito ed emozionato: non c'è stato bisogno di dire nulla, alla fine della proiezione mi ha sorriso, voleva dire sì.

E allora, com'é l'amore al tempo del calcetto?
Come direbbe il "Mina", un garbuglio inestricabile!

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