Come vi è venuto
in mente questo soggetto?
Abbiamo pensato a questa storia da quattro anni. L’idea
è nata mentre usciva Italian Sud Est: avevamo
‘raccontato’ un Salento fantastico, allegorico,
grottesco. Ma sentivamo che mancava qualcosa: il lato
oscuro, rimosso a livello sociale, giornalistico, storico.
La comunità ha rimosso il fatto di essere stata
teatro della nascita di una mafia particolare, senza
radici, in una regione priva di retroterra mafioso,
una mafia post-moderna.
Una mafia post-moderna?
Sì, la Sacra Corona Unita è nata negli
anni 80, in concomitanza con l’assalto al territorio.
Per darsi un’identità ha mutuato i rituali
da altre mafie. La società era impreparata proprio
per la grande rapidità con cui si è manifestata.
Questo però non è il cuore del film, ma
solo il contesto in cui si muovono i personaggi.
Che cosa vi ha attratto
di questi personaggi?
Di Antonio Perrone ci ha colpito la parabola: era un
ragazzo come tanti altri. Sia lui, che Daniela, sua
moglie, venivano da famiglie benestanti. E insieme,
hanno cominciato con l’uso delle droghe, in questi
primi anni 80, anni dello sbando, di vuoto, da cui inizia
la loro parabola-discesa verso il baratro. E lui tragicamente
si trova a “interpretare” un personaggio,
fino a identificarsi in quello del boss mafioso. Ma
senza alcun clichet del mafioso (come la coppola o l’estrazione
contadina o l’ignoranza). Attraverso il suo libro
– diretto, senza vittimismi – si è
come squarciato un mondo finito nell’oblio, si
sono rivelati anni mai raccontati.
Se non è un boss
tipico, chi è il protagonista?
È un apostolo dello sballo e dell’edonismo,
in un periodo di sbando, di droghe e condivisione. Non
è un vero criminale, ma finisce per restare ingabbiato
in un personaggio da cui non sa più uscire. E
il fatto di esssere lontano dall’immaginario mafioso,
gli dà un profilo umano che lo avvicina a noi.
Ancora sulla Sacra Corona
Unita: come è nata e come è stata sconfitta?
La Puglia era un’isola felice, la California del
Sud. Poi il flusso di denari pubblici, l’abusivismo...
hanno creato un’enorme zona grigia dove il crimine
si è attestato. Ma la SCU degli anni 80 non esiste
più, sconfitta dall’azione della magistratura
e dai maxi processi degli anni 90.
Poi ne è risorta una diversa, per il rapporto
con i Balcani. E ora forse è ancora diversa.
Ma questo, lo ripetiamo, è il contesto, lo sfondo
sociale. A noi interessava la parabola umana di uno
che ha “incarnato” un personaggio, anche
con disperazione.
Avete conosciuto Antonio
Perrone?
Abbiamo potuto conoscerlo di persona solo tre mesi fa,
quando è uscito dal regime di totale isolamento
dal mondo esterno (il 41 bis): due incontri, di un’ora
ciascuno. Però in questi anni abbiamo avuto con
lui una lunga corrispondenza. Appena letto il suo libro,
attraverso l’editore Manni, siamo entrati in contatto
con la moglie Daniela, che ci è stata di grande
aiuto.
Che ruolo ha avuto la moglie
nell’elaborazione della sceneggiatura?
Daniela ha ricostruito parti delle vicende, quelle che
non aveva raccontato Antonio. Ma tutto è stato
filtrato attraverso i nostri occhi. Quello sullo schermo
è il “nostro” Antonio Perrone.
Come mai la scelta della
voce fuori campo che racconta e commenta?
È una voce di realtà, sono parole di Antonio
Perrone, tratte dal suo libro. La nostra anima di documentaristi,
il nostro modo di accostarci alle questioni ci ha permesso
di ricostruire la vicenda. La sceneggiatura non è
scritta a tavolino, ma nasce da tutto quello che avevamo
raccolto in questi quattro anni. E tuttavia è
un film, noi siamo il filtro. Perciò abbiamo
voluto restituire in un documentario, di prossima uscita,
tutto quello che il film non ha voluto avere.
Un documentario?
Sì, un documentario incentrato su Daniela, la
moglie di Perrone. Filmando lei, con la sua incredibile
e tormentata storia, per raccogliere i materiali sul
film, ci è venuta l’idea di farne un uso
a parte. Così ne è nato un documentario
che uscirà separatamente dal film e che offrirà
tutti i materiali documentari raccolti?.
Una domanda inevitabile:
come dividete il lavoro sul set?
Come viene! Di sicuro non una scena per uno! Scherzi
a parte, di solito uno dei due si dedica agli attori
e l’altro all’inquadratura, alle luci. E
viceversa, dipende dalla “distribuzione dell’ansia”.
Sul set sembra un gran casino, ma organizzato. Chi ci
vede si diverte. Il fatto è che lavoriamo insieme
da 13 anni e ci capiamo senza parlarci.