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Bianco
e nero: doppia coppia |
[dichiarazioni
raccolte dall'uffici stampa Lucherini e Pignatelli]
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FABIO VOLO Innanzitutto
chi è il tuo personaggio?
Il mio personaggio si chiama Carlo ed è il marito
di Elena, interpretata da Ambra Angiolini. Carlo viene
da una famiglia modesta, in contrasto con la famiglia
borghese e un po’ razzista di sua moglie. Forse
è proprio il senso di colpa a far sì che
Elena spenda la sua vita in favore dell’Africa
e delle attività umanitarie. Io, al contrario,
non sono molto sensibile all’argomento, finché
un giorno, costretto a partecipare ad una riunione di
Amref (African Medical and Research Foundation), incontro
Nadine, una bellissima donna nera di cui mi innamoro.
Nascerà quindi una difficile storia d’amore
che toccherà sul vivo mia moglie e il marito
di Nadine, costringendoli a rivedere i propri sentimenti
sui bianchi e sui neri.
Qual è stata la prima impressione
leggendo la sceneggiatura?
Quello che mi è piaciuto di più è
il taglio da commedia, e la possibilità di trattare
con toni leggeri un tema difficile, rappresentato di
rado al cinema negli ultimi anni. Ricordo infatti pochissimi
film del genere anche in paesi come la Francia, dove
l’argomento è sicuramente più sentito
che nel nostro paese.
Su questo tema si possono fare
film di ogni genere. In che modo una commedia può
essere…?
La commedia ha la fortuna di poter trattare qualsiasi
argomento e di affrontarlo senza pregiudizio, con sguardo
leggero. Come in questo film, che non è divertente
perché ci sono le battute, ma perché le
situazioni, anche scomode, invece di essere nascoste
vengono tirate fuori.
Il tuo rapporto con Ambra Angiolini
Il mio rapporto con Ambra è bellissimo. Mi sono
trovato molto bene a lavorare con lei, anche dal punto
di vista umano. Abbiamo qualcosa che ci accomuna in
maniera profonda: il fatto di provenire entrambi dal
mondo della televisione, di suscitare una sorta di fastidio
perché non siamo degli “accademici”.
E con Aissa?
Con Aissa mi sono trovato molto bene; è simpatica
e brava. Ci sono state delle scene di nudo molto divertenti
dove, al contrario di lei che utilizzava “accrocchi”
per coprirsi le parti intime, io mi muovevo in estrema
libertà!
Eri mai stato picchiato così
tanto in un film?
Solo una volta, sul set di La Febbre di D’Alatri:
per schivare uno schiaffone sono caduto su alcuni tubi
di ferro e ho avuto una gamba viola per un mese! Di
solito nelle sceneggiature che mi propongono vengo sottoposto
ad un altro tipo di violenza: il matrimonio! Sono sempre
con la fede al dito!
Questa volta ti sono capitate
tutt’e due le cose…
Si me l’hanno fatte tutte e due: mi hanno picchiato
e mi hanno fatto sposare! Non so quale tra le due sia
peggio.
Cristina Comencini la conoscevi
già?
Personalmente no. Però conoscevo i suoi lavori.
Quando mi ha chiamato per parlare di questo film, avevo
già deciso di accettare ancora prima di leggere
la sceneggiatura. Mi sono molto piaciuti i suoi film
precedenti e ho aderito in modo assolutamente spontaneo
a questo progetto scritto e girato da lei. E’
stato un po’ come salire in macchina, sapendo
che guidava lei. Mi sono fidato. Poi ho letto la sceneggiatura
e mi è piaciuta molto, però un giro in
macchina con lei me lo sarei fatto comunque, anche senza
sapere dove mi avrebbe condotto. E’ stato un grande
onore essere chiamato da Cristina, un’occasione
per misurarmi ulteriormente come attore.
E come si svolge il lavoro con
lei?
Cristina è molto dinamica ed energica, tiene
il set con una grandissima grinta. E’ una persona
forte, mi è piaciuta subito. Abbiamo fatto la
lettura del copione e le prove. Ci ha chiesto spesso
il nostro parere sulle scene e ci ha lasciati abbastanza
liberi. Mi sono trovato così bene che ne farei
subito un altro!
Qual è stata la scena più
divertente da girare?
Ci sono le scene di nudo che imbarazzavano molto più
gli astanti di me, e questo mi faceva molto ridere!
Poi c’è senza dubbio la scena della festa
di nostra figlia Giovanna, in cui Ambra è preoccupatissima
che possa venir fuori il razzismo dei suoi genitori
e Franco Branciaroli, suo padre, tenta di corteggiare
Nadine. Si sviluppano una lunga serie di gaffes esilaranti.
E quella più difficile?
Personalmente faccio sempre fatica a interpretare le
scene dove sono innamorato o arrabbiato, che sono praticamente
la stessa cosa, cioè una sorta di perdita di
controllo. Dato che entrambe le cose mi capitano raramente
anche nella vita, è l’aspetto su cui sicuramente
devo lavorare di più.
Com’è stato il primo
giorno di set?
Iniziare un film per me significa vincere una serie
di paure, come quella di non essere in grado di capire
il ruolo. Ogni volta mi pare di essere alla prima esperienza.
Mi succede soltanto con il cinema. Quando faccio la
radio potrei sostenere cinque ore di diretta senza aver
preparato niente. Anche con la televisione non ho problemi.
Mentre il cinema mi emoziona di più. Forse perché
è una professione che non sento ancora pienamente
mia. La sto imparando a poco a poco.
E adesso che siamo alla fine cosa
ti porti via di questa esperienza?
Un’altra esperienza, un’altra storia raccontata…
altri capelli persi! Mi porto via un bel ricordo e la
certezza di aver raccontato una bella storia.
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AMBRA ANGIOLINI Ci parli del tuo personaggio?
Io sono Elena, la moglie di Carlo, una donna apparentemente
“a posto” che lavora per l’Amref. Elena
spende la sua vita per l’Africa e per gli altri,
evitando così di guardare dentro se stessa. Non
si accorge, infatti, di essere molto chiusa e di concedere
poco di sé all’esterno. Nel corso del film
dovrà prendere dolorosamente atto dei suoi errori
e del fatto che suo marito alla fine è meno razzista
di lei. Il tradimento sarà l’indice rivelatore
di tutte le imperfezioni della sua vita.
Com’è
stato l’incontro con Cristina Comencini?
Io e Cristina Comencini ci siamo incontrate poco dopo
l’uscita del film di Ferzan Ozpetek e ho immediatamente
riconosciuto una persona energica, asciutta e molto disponibile.
All’inizio sul lavoro non è stato semplice.
Cristina è una persona molto diretta, quando vuole
qualcosa sa come ottenerla e, dato che io ho lo stesso
atteggiamento nella vita, non riuscivo ad accettare che
venisse da un’altra donna. Adesso, invece, è
la sicurezza l’aspetto che più amo di lei.
Cristina è il filtro attraverso il quale capisco
se ho fatto un buon lavoro o no.
E
il rapporto con Fabio Volo?
Io e Fabio ci conosciamo da un po’ di tempo per
motivi professionali. Fabio possiede un’innata leggerezza
di vivere che mi incanta. Riesce ad essere simpatico senza
essere mai banale. Durante la lavorazione del film abbiamo
preso la buona abitudine di pranzare insieme e ci siamo
concessi lunghe e divertenti chiacchierate. Il tempo necessario
per avere tra le mani un buon film non lo trovo mai tempo
sprecato! Anche i famosi tempi morti mi servono per entrare
in contatto con la location, capire come muovermi e iniziare
a respirare l’aria del luogo. Quando entro in scena
è il momento di sfogare tutta l’attesa e
l’emozione accumulata in quei momenti.
Riguardo
al tema di questo film, pensi che è un tema particolarmente
attuale oggi?
Il problema dell’integrazione è ancora molto
attuale. Anche quelli che pensano di aver accettato la
diversità in realtà non lo fanno in maniera
profonda. Anch’io penso di essere una persona aperta
e tollerante, ma in effetti non vivo in un mondo dove
ci sono amici neri o amici gialli.. vivo nel mio mondo
e tollero il resto. Pure per questo è un film utile,
che fa riflettere sui luoghi comuni e sulle difficoltà
che ha il pensiero a passare attraverso il cuore.
Nel
film la tua famiglia è interpretata da Branciaroli,
Bonaiuto, Saponangelo. Come è stato recitare con
loro?
All’inizio ero un po’ spaventata dall’allure
dei miei familiari così noti e amati in ambito
teatrale e cinematografico. Temevo che avrebbero avuto
difficoltà a relazionarsi con una neofita come
me. Invece ho trovato una totale disponibilità
da parte di tutti. La Bonaiuto, interpretando Adua, è
stata per me l’essenza stessa del film, ha incarnato
alla perfezione l’immagine delle donne che io adoro
osservare: quelle che sguazzano nella formalità
ma inciampano spesso nei luoghi comuni più imbarazzanti.
E
come ti sei trovata con Eriq e Aissa?
Con Eriq e Aissa all’inizio c’era poca comunicazione
dovuta al problema della lingua. Poi abbiamo coniato un
nuovo tipo di linguaggio e ho iniziato a conoscerli. Aissa
ha sempre un atteggiamento solare e malinconico, mentre
Eriq è un uomo festoso e incredibilmente ironico.
Un set direi fortunato da questo punto di vista!
La
scena più divertente e quella più difficile
…
La scena più divertente del film per me è
in assoluto la prima; una scena di coppia, in cui io e
Carlo dovevamo parlare di cose nostre ma sempre con un
filo di tensione mal sopita. Io sparecchiavo e riapparecchiavo
freneticamente mentre Carlo mi seguiva rubandomi gli oggetti
dalle mani. Invece la scena più difficile è
stata quella in cui faccio la scenata a Carlo quando scopro
la sua relazione con Nadine; avevamo deciso di non fermarla
e di farla tutta di getto tirando fuori molto di noi,
facendo esplodere l’energia repressa e questo è
stato estremamente difficile.
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AISSA MAIGA Potresti
parlarci del tuo personaggio?
Il mio personaggio si chiama Nadine, è senegalese
e fa parte della borghesia africana. E’ cresciuta
in Senegal ma ha studiato in Belgio dove ha incontrato
suo marito Bertrand. Insieme hanno deciso di trasferirsi
in Italia. Nadine è figlia della cultura africana,
ma allo stesso tempo ha assorbito anche quella europea.
Qual
è il suo rapporto con la cultura occidentale?
Nadine è una donna curiosa, che ha voglia di andare
al di là dei confini e delle barriere. In Italia
non c’è ancora un mélange sviluppato
tra bianchi e neri come a Parigi; l’ho potuto appurare
sia dalla sceneggiatura sia dal mio soggiorno romano.
Quindi Nadine vive in questo Paese come una straniera,
frequenta unicamente la sua comunità di appartenenza
e per di più lavora presso l’Ambasciata senegalese
a Roma, cosa che non favorisce di certo gli incontri con
gli “autoctoni”. Vorrebbe andare al di là,
ma lo sguardo degli italiani non è facile da sostenere
– lo scrive anche nel suo diario - il fatto di essere
nera, la fa sembrare un fantasma esotico e niente più.
Nadine è vittima di certi stereotipi, ma vuole
superare delle barriere e prova dei sentimenti di attrazione
ma anche di paura, quindi emozioni ambivalenti, contraddittorie,
e questo per un’attrice è molto stimolante.
Qual
è stata la tua prima impressione quando hai letto
la sceneggiatura?
Molto buona. La cosa che mi ha più colpito è
stato l’umorismo delle situazione e dei dialoghi,
associati al messaggio importante che il film porta avanti.
Il tema delle coppie miste e dell’adulterio è
trattato con molta eleganza e intelligenza.
Un
soggetto simile in Italia è una novità,
in Francia invece?
Stranamente potrebbe essere un soggetto originale anche
in Francia. Ne discutevo con un amico attore originario
delle Antille: è davvero strano e divertente il
fatto che in Francia c’è tantissimo materiale
per girare un film in cui si incontrino persone proveniente
da un ceto agiato, con la stessa posizione sociale, ma
di etnie e culture differenti, e il tutto sarebbe giocato
sul piano della commedia sociale e romantica. Eppure in
Francia non è mai stata fatta una cosa del genere.
Conoscevi
Eriq? Avevate mai recitato insieme?
Conosco Eriq da moltissimo tempo, ci incontriamo spesso
a Parigi, abbiamo recitato insieme solo in un cortometraggio.
Per farla breve, avevamo molta voglia di lavorare insieme
ed è stato bellissimo poterlo fare qui.
E
cosa pensi di Fabio?
Beh, all’inizio non capivo una sola parola di quello
che diceva, poiché Fabio parla molto velocemente,
e fa un sacco di battute che giocano sugli equivoci e
con le parole. Fortunatamente parla anche inglese, così
abbiamo potuto comunicare e ho cominciato a conoscere
una persona molto divertente, viva. Non so in che modo
la nostra coppia appaia sullo schermo ma credo che traspaia
una certa sincerità - come ha anche detto Cristina.
Crediamo a questa coppia, al loro incontro fortuito, ai
loro problemi, alla passione che li travolge.
Com’è
stato il rapporto con le altri attrici, in particolare
con quelle dell’appartamento di Piazza Vittorio?
Mi è stato fatto un vero regalo sul set, ovvero
l’incontro con Awa Ly, che interpreta il ruolo di
mia sorella Véronique. Anche lei come è
me è senegalese ma ha vissuto in Francia, e oltre
a questo, è una ragazza straordinaria. E’
stato bellissimo conoscerla, credo che lei abbia delle
qualità grandissime a livello umano: è simpatica,
canta benissimo, per di più era la sua prima esperienza
come attrice ed è stata bravissima.
Conoscevi
già Cristina Comencini?
Non personalmente. Avevo sentito parlare di lei ma non
conoscevo la sua filmografia. Quando l’ho incontrata,
è stato amore a prima vista, ho subito avuto voglia
di fare il film con lei!
Lei è intensa, è presente, quando lei è
lì è davvero lì. Il suo sguardo è
intenso ed energico, ha un’apertura mentale notevole
e al tempo stessa sa precisamente ciò che vuole,
è disponibile, umana. Quando sono venuta a Roma
per i provini - non ero mai stata in Italia prima e mi
sono letteralmente innamorata di Roma - ho avuto la fortuna
di essere scelta per il ruolo di Nadine. Lavorare con
Cristina è stato fantastico! Un’esperienza
che mi ha arricchito molto. Abbiamo parlato della sceneggiatura,
che presentava dei “punti sensibili”. Infatti,
affrontando il tema del razzismo, e illustrando i clichés
tra bianchi e neri, il rischio era che tali stereotipi
potessero produrre un effetto controproducente al film
stesso. A tal proposito Cristina ed io abbiamo avuto dei
dibattiti molto accesi, ma immagino che lei - come me
- se li ricordi come un’esperienza meravigliosa.
E’
stato difficile recitare in un’altra lingua? Lo
avevi mai fatto?
No, non lo avevo mai fatto. Per di più io non parlavo
una sola parola d’italiano prima del film. Ci vuole
moltissimo impegno a lavorare in una lingua che non è
la tua, poiché il cervello ha tempi di reazione
diversi e ciò implica uno sforzo enorme, senza
contare lo stress e la paura che un attore ha prima di
girare un film e durante le riprese. Ma allo stesso tempo,
devo dire che è stato più facile per me
esprimermi in un’altra lingua. Trovo infatti che
in francese le parole abbiano un’importanza troppo
grande, che a volte rischiano di schiacciare la recitazione
dell’attore. Invece l’italiano, dato che non
è la mia lingua, mi ha concesso di avere un rapporto
più istintivo, meno legato alle parole, e più
alla musicalità e all’energia e a ciò
che essa evoca al di là delle parole.
Cosa
pensi che questo film possa apportare al di là
del tema del razzismo e della tolleranza affrontato con
un tono leggero?
Io non conosco molto la società italiana, sono
rimasta qui solo due mesi ed è un periodo troppo
breve per capire una cultura e tutte le sue sfumature.
Ciò che ho potuto costatare parlando con alcune
persone che ho conosciuto è che per la stragrande
maggioranza degli italiani l’Africa e gli africani
sono considerati “terra incognita”. Penso
che questo film possa “smuovere” gli italiani
dalla loro visione, poiché nel film due degli interpreti
principali - io ed Eriq - sono africani ma non sono immigrati
senza permesso di soggiorno. Sono dei borghesi, intellettuali,
benestanti. Queste persone esistono anche nella realtà,
vivono in Europa, viaggiano e hanno una vita normale.
Penso che questo possa già fare la differenza e
smuovere qualcosa nello spettatore.
Qual
è la sensazione che ti lascia questa esperienza?
Ho avuto molta fortuna, perché di ruoli come quello
di Nadine non ce ne sono molti. E’ un ruolo di donna
“vera”, ben costruito a livello narrativo;
il suo carattere affiora a poco a poco nel film, a piccoli
passi, è un personaggio che ha moltissime sfumature.
E’ forte ma al tempo stesso fragile a causa delle
esperienze che vive. Fa una scelta importante: vivere
la vita che vuole senza curarsi del giudizio altrui.
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ERIQ EBOUANEY Puoi
parlarci un po’ del tuo personaggio?
Il mio personaggio si chiama Bertrand, lavora per l’AMREF
ed il suo ruolo è quello di mediatore per la lotta
contro il razzismo: spesso interviene nelle scuole, nelle
associazioni, etc., ed ha anche il compito di radunare
dei medici che lo aiutino nella raccolta fondi. Bertrand
è senegalese e vive a Roma da una quindicina d’anni.
E’ riuscito ad assimilare la cultura italiana e
si è abbastanza occidentalizzato, anche grazie
al lavoro che svolge, è molto integrato, moderno
e coinvolto nella vita romana e italiana in generale.
Che
impressione hai avuto quando hai letto la sceneggiatura?
Diciamo che mi sono abbastanza rivisto nella storia in
generale, anche perché ci sono dei cliché
di cui sono stato anch’io vittima a Parigi, città
in cui vivo. Però in Italia ci sono meno immigrati
che in Francia, quindi alla fine, mi sembra normale che
tali stereotipi esistano qui, dove la gente è meno
abituata a vedere degli stranieri. Certo, dal punto di
vista storico e culturale la Francia ha un legame con
la colonizzazione e con l’Africa più stretto,
ecco perché verrebbe da pensare che la presenza
dei neri sia quasi familiare. Purtroppo non è affatto
così: l’uomo nero rappresenta ancora un “fardello”
per l’uomo francese medio.
Aissa
ha detto di avere avuto l’impressione che un tema
del genere (il razzismo trattato con i toni della commedia)
mancava nel panorama cinematografico francese. Sei d’accordo?
Ci sono stati film che avevano come protagonisti coppie
miste che si sono incontrate e innamorate; ma si trattava
di film cupi, mentre Bianco e Nero è una commedia
che parla della vita, con i suoi alti e i suoi bassi,
le gioie e le difficoltà. Credo che un film del
genere potrà educare e sensibilizzare sia il pubblico
italiano, sia quello francese (che avrebbe dovuto vedere
un film così già diversi anni fa). Poiché
sia i bianchi che i neri hanno gli stessi sentimenti e
le barriere razziali non possono impedire di innamorarsi,
di vivere una storia d’amore e di essere attratti
da una persona di un colore diverso dal tuo.
Qual
è stato il tuo rapporto con Cristina Comencini?
La conoscevi già?
Conoscevo i film di Cristina, li avevo visti a diversi
festival europei e internazionali. Il suo ultimo film,
La Bestia Nel Cuore è uscito in Francia con delle
critiche molto positive. In effetti il suo universo per
me era molto “carico”, molto drammatico, e
per questo ero curioso di vedere come lei avrebbe affrontato
il tema del film in chiave più leggera. Cristina
è una donna così intelligente, ironica,
brillante, e mi sono subito detto che dovevo darle piena
fiducia e farmi trasportare in questo universo fatto di
attori neri che non avevano mai recitato in italiano,
e di attori bianchi che non avevano mai lavorato con attori
neri, e di situazioni sempre in bilico tra il tragico
e il comico in cui non sappiamo se ridere o piangere.
Come
è stato recitare in italiano? Aveva mai recitato
un film in un’altra lingua?
Ho recitato in diverse lingue diverse dalla mia. L’Africa
è un Paese che ha 250 dialetti, basta spostarsi
di pochi chilometri per sentire un altro dialetto. Forse
proprio questa abitudine mi ha aiutato a imparare più
lingue, anche se ho dovuto lavorare molto. In particolare
per l’italiano, che sembra una lingua facile agli
occhi di un francese, ma con un altro tipo di intonazione,
più melodica. Il nostro coach è stato formidabile;
ci faceva ripetere tutte le parole come dei bambini all’asilo
finché non abbiamo imparato a “gestire”
la lingua. E in questo sono stato anche aiutato dalla
troupe, con cui ero a stretto contatto, e parlavo in italiano.
Cosa
mi dici di Volo e Angiolini?
Ambra e Fabio sono stati una bella scoperta. Sono aperti
e disponibili. Ambra è una donna molto sensibile,
aperta, pronta a cogliere qualsiasi sfumatura, qualsiasi
cambiamento di tono, qualsiasi variazione. E’ davvero
bello poter recitare con un’attrice così
perché si ha sempre voglia di sorprenderla e di
sorprendere se stessi.
E’
stato difficile picchiare Fabio?
No, non è stato affatto difficile. Fabio ha l’aria
di un bambino che ha combinato una marachella, ti viene
quasi voglia di dargli un “pugno”. E comunque
è sempre cinema: si dà baci per finta, si
picchia per finta, tutto per la magia dello spettatore.
Fabio poi ha una dote innata per la commedia, qualità
che non tutti gli attori hanno, - bisogna ammetterlo –
è molto raro avere il senso della commedia.
Qual
è stata la scena più divertente che ha recitato
nel film?
Per me è stata la scena, all’inizio del film,
in cui io faccio un discorso per l’AMREF, che poi
è la scena in cui Fabio e Aissa si incontrano.
Il discorso era molto vicino a ciò che io sento,
quindi la scena era facile perché era come se avessero
scritto quel discorso appositamente per me. E’ stato
fantastico parlare in italiano a 200 italiani dell’Africa,
della situazione degli africani, della differenza tra
la vita in Africa e quella in Italia… Mi fermo altrimenti
divento troppo politico. Sono ancora nell’universo
del film!
E
la scena più difficile?
In realtà la scena più difficile è
sempre quella che devi ancora girare; una volta girata,
ti dici che non era così difficile come pensavi!
Per me il cinema è così: ogni scena è
una nuova sfida e una nuova avventura e non sai mai cosa
ti aspetterà.
Qual
è il bilancio di quest’esperienza italiana?
Cosa ne hai tratto?
Durante le settimane trascorse in Italia, il mio leit
motiv è stato: Roma è davvero la città
della dolce vita! Ma ora devo anche dire “W l’Italia”
perché la troupe e tutta l’equipe è
stata davvero magnifica. Non è tanto per dire,
ma qui c’è davvero un rispetto per gli artisti
che rende tutto più facile. Questa è una
qualità grande e rara. Spero di tornare più
spesso a Roma, sono stato davvero contento di essere qui,
c’è qualcosa di magico in questa città.
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bianco e nero
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