Mr Garenq, il film si rivolge al grande pubblico, eppure la concezione del bebè è molto particolare…
Quello che mi piace di questo tema in generale e di questo film in particolare è quel mix di marginalità, l’omosessualità e di conformismo, la famiglia. Trovo che si tratti di un cocktail molto contemporaneo, che rispecchia la nostra epoca, in cui tutti i valori famigliari sono scompigliati, ma in cui al tempo stesso le persone adorano ancora fare bambini, mantenendo un senso profondo della famiglia, anche se non è più la famiglia tradizionale di una volta.
Trovo sia bello, toccante, vivo.
E credo anche che in qualsiasi epoca le famiglie si siano riconciliate intorno alle culle. Quando arriva il bambino, si annullano tutti i giudizi sul modo in cui può essere stato concepito, perché il bebè da solo incarna un valore essenziale e universale che ci trascende tutti, qualsiasi siano i nostri pregiudizi: la perpetuazione della nostra stirpe. È per questo, credo, che il tema degli omosessuali genitori viene accettata più facilmente oggi nella nostra società rispetto al tema dell’omosessualità qualche anno fa. Tornando al film, io e Christophe, il produttore, condividiamo dall’inizio il desiderio che questo film raggiunga il grande pubblico. Ma con un tema del genere, il minimo che si potesse dire era che non era affatto scontato che lo facesse, e sapevano che ci saremmo scontrati con un pubblico restio a priori riguardo la questione… Ed è il personaggio di Fina che mi ha permesso di trovare l’equilibrio 5
secondo cui, a mio parere, tutti possono immedesimarsi in questo film, gay, etero, uomini, donne, con o senza bambini… Semplicemente perché il personaggio interpretato da Lambert Wilson vive due storie molto intense a livello affettivo: una con Pascal Elbé e l’altra con Pilar Lòpez de Ayala… Quindi è un po’ un film “della media”, al quale ognuno può aggrapparsi, chiunque sia, qualunque siano le sue preferenze, e le cui scene possono avere una lettura molto diversa a seconda di chi le guarda, l’ho constatato alle anteprime.

A proposito, come è stato accolto il film?
Io e Lambert Wilson abbiamo iniziato le anteprime in provincia; aldilà del soggetto, si tratta di un film divertente, che fa innanzitutto ridere e piangere il pubblico. Quando si riaccendono le luci, gli applausi sono tutti per Lambert Wilson. Le persone hanno l’impressione di scoprirlo in un registro in cui non si sarebbero mai aspettati di trovarlo, e tutti apprezzano in modo unanime la sua interpretazione. Ma ciò che è veramente simpatico, è che sia Lambert che gli spettatori si allontanano presto dall’aspetto puramente promozionale del film per parlare del suo tema. E per molti era la prima volta che si confrontavano con delle domande sugli omosessuali genitori e credo che per loro sia uno shock! Una delle testimonianze che più mi ha colpito è stata quella di un uomo sulla cinquantina, a Marsiglia, che ha preso il microfono, tremando per l’emozione, per dirci che per lui, 30 anni prima, gli omosessuali erano dei pervertiti, ma che aveva imparato nel tempo ad addolcire il suo sguardo. E ora il film gli assestava un altro bel colpo, ma dalla sua sincerità risultava ovvio che si trattasse di un uomo in evoluzione. Ottenevamo reazioni di questo tipo ogni sera: le persone erano restie ad accettare l’idea, eppure erano commosse e sconvolte nelle loro certezze, grazie al film. A queste persone rispondo che le loro reazioni sono normali e che il loro percorso rispecchia quello della società, che si è molto evoluta negli ultimi anni riguardo la questione, e continuerà a farlo. Io stesso mi risento dire a un amico gay durante una cena, qualche anno fa (come il produttore televisivo di cui prima): “i gay non devono avere figli, i bambini ne sarebbero traumatizzati.” Abbiamo tutti avuto dei pensieri arcaici di riflesso, che obbediscono a dei pregiudizi che hanno radici profonde, è umano. Sta a noi scalzarle, lavorarci su, e l’avanzare della società ci costringe in ogni caso a farlo.

L’unica scena di sesso del film è tra un uomo e una donna. Non è contraddittorio rispetto al tema del film?
Affinché una scena d’amore meriti di stare in un film, deve raccontare qualcosa. In questo caso, era più interessante mostrare Manu che si trova spinto contro le sue barriere di difesa, e vederlo inciampare, perdere la presa, trasgredire… quindi era la scena d’amore con la donna a essere più interessante. Dall’inizio del film, volevo evitare gli stereotipi sugli omosessuali che si vedono oggi al cinema. È stata volontaria la scelta di girare la scena del loro incontro in un bar qualunque invece che in un bar gay. È stato volontario dar loro una vita ordinaria, con amici eterosessuali (Anne Brochet), una famiglia, un lavoro normale, e sicuramente anche una dose di noia. Insomma, volevo che fossero come gli altri… E credo che una scena d’amore tra i due uomini sarebbe stata un ulteriore cliché: l’omosessualità sempiternamente mostrata attraverso la sua sessualità. Invece, quando Lambert Wilson e Pascal Elbé si ritrovano in una scena d’amore che non è esplicitamente sessuale, il film ottiene qualcosa di insolito… gli attori sono così sinceri, toccanti e pudici che la scena viene completamente accettata dal pubblico, non lo scuote, perché è dolce, tenera. L’amore che trasmettono… non c’è un grammo di provocazione. E ci si affeziona talmente tanto a questi attori che non ci si sente a disagio di fronte alla loro omosessualità, è assolutamente naturale, normale. Non si vede altro che l’amore di due ex che si ritrovano, e si è commossi e felici di vedere che si ritrovano…

Perché ha deciso che Manu fosse pediatra?
Ho due figli, ed è capitato che il medico di famiglia che li curava era omosessuale, tutto qui… Ho voluto che il personaggio fosse un pediatra per incarnare in modo semplice e concreto il fatto che Manu voglia dei figli, per mostrare che non è una chimera, ma un desiderio molto concreto per lui… E in questo modo abbiamo potuto girare delle bellissime scene con una moltitudine di bebè (oltre 100 dossier depositati presso l’ente che si occupa delle adozioni). Ma malgrado questa precauzione, alcuni, leggendo la sceneggiatura hanno trovato che il desiderio di un figlio di Manu fosse “superficiale”, come se volesse un giocattolino! Affogavamo nei pregiudizi: dato che è un uomo, tra l’altro gay, il suo desiderio di avere un figlio doveva essere per forza superficiale. Ho replicato che se Manu fosse stato una donna, nessuno avrebbe mai detto questo! D’altronde, nel sottotesto, ho costruito la coppia Manu / Philippe nella sorta di generalità della coppia etero: Manu desidera un figlio “come una donna” e Philippe “come un uomo”… Manu vuole visceralmente diventare padre. Philippe diventa padre quando arriva il bebè, adottandolo. Spero che questo tipo di scelte potranno far sì che tutti restino toccati da ciò che questo film trasmette nel profondo. E questo modo di desiderare un figlio “come una donna” è davvero affascinante in un uomo! Quando alla fine del film Manu e Philippe accolgono il loro bambino, trovo che si tratti di un momento molto poetico, anche sconvolgente, perché Manu è arrivato alla fine della sua missione impossibile grazie solo alla sua volontà, e anche perché a quel punto, lo spettatore l’accetta completamente in quanto padre del bambino, anche se in realtà non ne è il genitore, l’ha solo desiderato. È questo desiderio che mi aveva commosso nel mio amico del liceo. Solo che purtroppo, quando si è un uomo gay, non è facile diventare padre, è un vero inferno. D’altronde, anche se ci ho messo dieci anni a girare questo film, ci sono riuscito, mentre il vero Manu ancora non è diventato papà. È venuto spesso sul set e credo che gli abbia fatto bene, è stato come una consolazione per lui essere l’ispirazione per il film.

Buona parte del film si svolge a Belleville. Perché?
È il mio quartiere, e adoro il suo lato etnicamente e socialmente meticcio, aperto alla diversità… ha mantenuto il suo lato da paesino, umano, che Parigi perde completamente. Era perfetto per il personaggio di Manu, legava perfettamente con le sue ambizioni e la sua umanità. Quando Philippe lo lascia, va a vivere in un posto completamente diverso, la Défense. Ho voluto esacerbare il più possibile questo aspetto per esprimere il limite “autistico” naturale di Philippe quando si ritrova solo con se stesso… l’opposto di Manu, insomma.

Uno dei personaggi a cui più ci si affeziona nel film è Cathy, la cara amica single, interpretata da Anne Brochet.
È il personaggio comico del film. È un personaggio molto presente nel cinema francese: la donna single che si avvicina ai 40, ancora senza un uomo all’orizzonte. Ma in questo film non diciamo nulla di lei, non le accade niente, neanche la minima avventura. È crudele, ma più si è crudeli con un personaggio e più simpatia provano per lui gli spettatori. Di conseguenza, Anne Brochet lascia un grande segno sul film, e sono felicissimo per lei… Fina, la madre surrogata, è interpretata da Pilar Lòpez de Ayala, una star in Spagna, che ha già vinto un premio Goya, ma meno nota in Francia.
È incredibilmente degna di nota, è la vera scoperta di questo film. Devo dire che dal punto di vista degli attori – non abbiamo parlato di Pascal Elbé, ma è formidabile per la sua verità e sobrietà – mi sono sentito davvero viziato su questo set, anche per quanto riguardava i piccoli ruoli.

Qual è stato il suo percorso?
La scuola di cinema, indirizzo regia, poi scrivevo sceneggiature e mi guadagnavo da vivere girando documentari, cosa che ha molto segnato il mio modo di relazionarmi con gli attori. In effetti, quando giro dei documentari, filmo le persone come fossero attori, e quando giro opere di finzione, filmo gli attori come se fossero persone, non faccio differenza. Di conseguenza non dirigo molto gli attori, mi fido di loro, li rispetto e li ascolto, gioco sulla connivenza, l’implicito, dico loro il meno possibile, do loro solo degli accenni, lascio che mi sorprendano, che inventino, così, senza fare nulla, quasi senza che se ne accorgano, saccheggio la loro creatività e mi danno molto…

Ha accettato subito il ruolo di Manu?
Sì. Senza esitare. Cosa che mi succede raramente, dato che sono terribilmente indeciso! È un ruolo che offre un ventaglio straordinario di emozioni e soprattutto di stili di gioco diversi. La sceneggiatura descrive un percorso completo, opportunità che un attore si vede offerta non spesso. Tra l’altro Manu era un grande cambiamento rispetto ai miei soliti ruoli da cattivo stilizzato! È simpatico, alle prese con la vita quotidiana. Quello che mi piace particolarmente di “Baby Love”, è che tocca tutte le domande e tutti gli atteggiamenti possibili legati al tema degli omosessuali genitori. Prima di girare, ho fatto leggere il copione a dei miei amici gay che hanno concepito un bambino e ne hanno adottato un altro. Mi hanno dato il nulla osta.

Si tratta di una commedia famigliare che si rivolge a tutti?
È questa la sfida del film: non deludere le persone che si ritrovano nei protagonisti, e tentare di aprire gli occhi alle persone che entreranno in sala attirati dal divertimento e dalla commedia. Il tema di fondo è davvero il desiderio di paternità di Manu, omosessuale. È un tema molto contemporaneo, perché oggigiorno si può accedere alla paternità senza fondare necessariamente una coppia con una donna. È anche un film sull’amore in tutte le sue forme: quello che unisce Manu e Philippe, ma anche Manu e Fina, e che passa, occasionalmente, per il desiderio.

Baby Love è un film morale?
Vincent Garenq è lucido. Fa attraversare a Manu una fase totalmente egoistica, in cui conta solo il fatto di avere un bambino. Il suo desiderio folle di paternità non ha niente a che fare con la sua omosessualità. Una coppia eterosessuale può essere altrettanto presa da questa ricerca ossessionante. Per Manu, la voglia di essere padre è un’idea che diventa sempre più fissa, più si rivela impossibile da concretizzare. Più si esprime il suo desiderio di paternità, più si ha l’impressione che la sua è un’ossessione egocentrica. Ma in che modo la natura fa meglio le cose? I miei genitori non fanno che ripetere che io e mio fratello siamo il frutto di uno sbaglio. Certo, si tratta di sbagli felici. Ma è davvero molto meglio crescere sapendo che non si è stati voluti?

Lei riesce a identificarsi con questo desiderio imperioso?
Siamo già troppi sulla Terra! Inoltre, sono attore e figlio di attore, e so quanto poco spazio questo mestiere lascia agli altri. Terza ragione: non m’interessa la posterità. Detto questo, ho adorato interpretare un pediatra, sempre con un bambino in braccio. Per prepararmi al ruolo ho passato del tempo nell’ambulatorio di un pediatra. È stato appassionante. In una consultazione viene raccontata tutta la storia di una famiglia, attraverso la persona che accompagna il bambino. Un pediatra affonda davvero i denti nell’umanità. Attraverso il bambino, cura tutta la famiglia. Questo film mi ha aperto gli occhi. Magari potrebbe anche risvegliare qualcosa in me. Si prega sempre per un ruolo che esponga qualcosa di sé che ancora non si conosce. È questo che mi aspetto da un ruolo: che mi permettano di liberarmi delle mie inibizioni e crescere. Ora, guardo i padri in modo diverso. Sono affascinato da questa nuova generazione di uomini che esprimono il loro amore per i bambini, senza preoccuparsi di apparire troppo femminili. L’opinione pubblica è meno sospettosa riguardo le madri single. È proprio la coppia maschile un problema…

Anche per lei, gli omosessuali genitori sono un problema?
Non si può essere così categorici. Il mio agente convive con un uomo negli Stati Uniti. Hanno adottato un maschietto. La madre del bambino li ha scelti scartando una serie di coppie eterosessuali. Ha ritenuto che il suo bambino sarebbe stato più felice ed educato meglio da questi due uomini in un rapporto solido e stabile. Sono invece sconvolto da certe procedure stabilite per riuscire a concepire un bambino. In effetti, tra gli individui si instaura un contratto che assomiglia a un divorzio. Non ha nessuno charme. Il film di Vincent invece mi commuove perché gli affetti sono costantemente presenti. Fina e Manu hanno una relazione, anche se sfocia solo una volta nel sesso.

Secondo lei, perché questa sequenza si fa vedere, mentre la sessualità di Manu e Philippe è occultata?
Era necessaria per mostrare sia i sentimenti di Manu per Fina, sia la sua onestà: il giorno dopo le spiega che fare l’amore con lei è stato piacevole, ma che non accadrà più. È interessante perché mostra che tra il bianco e il nero ci sono tutte le sfumature di grigio. Siamo così repressivi che ci è difficile immaginare che un individuo emerga dalla sua categoria. Manu sente che Fina è innamorata, che lo cerca troppo, e che il loro legame finirà per ferirla. Ogni volta che il film rischia di diventare consensuale e gentile, torna a essere realistico. Detto questo, Manu e Philippe formano una coppia molto eteromorfo. Per Vincent Garenq e il produttore Christophe Rossignon, rendere accessibile questa problematica attraverso dei personaggi toccanti significa compiere un passo enorme. Sono d’accordo con loro. Non se ne può più dei gay che al cinema sono rappresentati solo come le folli di turno! I cliché hanno vita dura. Ciò che mi affascina delle persone e del film di Vincent è che tutte le frontiere – femminili, maschili, gay, etero – sono magnificamente vaghe. Vincent è sposato, ha due figli, ed è una delle persone più femminili che conosco! Secondo me dovremmo buttare nella spazzatura tutte queste categorie. Siamo esseri umani con desideri mutevoli… almeno lo spero.
Come “parla” il film?
È rivolto al grande pubblico. Il ruolo della famiglia è attualmente soggetto di un grande dibattito, ma sembra che in alcuni paesi solo un uomo e una donna sposati possano essere considerati una vera famiglia. Il film prende di petto il problema e dimostra che due persone dello stesso sesso possono egregiamente formare una famiglia.

Qual è il suo punto di vista sui genitori omosessuali?
Non ci si pensa molto, finché non ci si ritrova coinvolti di persona. In Spagna, dall’arrivo di José Luis Zapatero al potere, non solo gli omosessuali hanno il diritto di sposarsi ma anche di adottare dei bambini. Non è facile, la procedura è lunga, ma ne hanno diritto, mentre in gran parte del mondo non è possibile. Ed è vero che leggendo il copione, quello che mi è piaciuto è il modo in cui affronta queste difficoltà.

Ci parli di Fina, il suo personaggio.
Fina è una ragazza che vive in un paese che non è il suo, con tutte le difficoltà che questo implica. Si innamora di un omosessuale, e ha difficoltà ad accettare l’idea che lui lo sia, perciò desidera cambiarlo.

Che rapporto c’è tra Emmanuel e Fina nel film?
Il loro rapporto non si basa su uno scambio. Fina crede che Emmanuel l’aiuti in modo disinteressato, ed è l’unica persona su cui lei può contare. Poco a poco s’innamora e decide di rendergli il favore in qualche modo. Il desiderio di risolvere i propri problemi sparisce in favore di un sentimento d’amore. È questo che fa scattare in lei la voglia di avere un bambino. Non sa più se lo fa per lui o per se stessa.

Come si è rivelata la collaborazione con il regista?
È iniziata con uno scambio di email. Vincent era a Parigi e io a Madrid. Gli facevo delle domande sul mio personaggio per essere sicura che andassimo nella stessa direzione. Solo una volta arrivata a Parigi ho iniziato a lavorare con lui faccia a faccia. È molto disponibile e rispetta molto gli attori. Questo facilita enormemente il lavoro.

Cosa ha pensato della scena del parto?
Ricordo di averne parlato molto presto con Vincent. Il mio timore maggiore era che sembrasse troppo esagerato. Credo che la paura del parto che certe donne hanno abbia origine al cinema! Ma alla fine, stavamo girando una commedia e Vincent ha voluto che i sentimenti fossero esagerati. È il momento più intenso della pellicola. Mi succede sempre qualcosa nelle scene che giro con i neonati. Nel film precedente, ogni volta che mi mettevano il bebè tra le braccia mi faceva la pipì addosso. Il bebè di Baby Love si è comportato meglio, per fortuna.

Come si è svolta la collaborazione con Lambert Wilson e Pascal Elbé?
Noi tre ci siamo sentiti molto coinvolti. Ho capito subito di avere a che fare con persone di grande esperienza, che sapevano bene dove andavano ed erano curiosi di tutto. Ho cercato di stabilire una certa alchimia con Lambert, che è il personaggio con cui mi relaziono di più nel film. Anche Pascal è stato un ottimo compagno di lavoro, le poche scena che avevo con lui mi hanno permesso di scoprire una persona molto divertente, che se la spassa sul lavoro.

Qual è stata la scena più difficile da girare?
Forse è quella del pranzo di famiglia nel giardino di Suzanne. Perché leggendo il copione viene da pensare: “Oh, carino, un bel pranzo primaverile in giardino”. Solo che ci si dimentica che ci sono dei bambini, e che alcuni di loro sicuramente si metteranno a piangere, e che in realtà è una gelida mattina di autunno! È stata questa la cosa più difficile: fingere di pranzare alle 7 di mattina al freddo e al gelo!

E la scena d’amore?
Non è affatto stereotipata. La scena prevedibile era quella tra i due uomini, ma non avrebbe avuto alcun effetto sorpresa. Invece abbiamo fatto una scena d’amore con una donna. Credo che a Vincent interessasse mostrare la tenerezza che si può creare tra due persone totalmente opposte, piuttosto che una scena puramente sessuale. Ovviamente Fina ed Emmanuel non vivono questo momento nello stesso modo. Emmanuel ha un momento di sbandamento, ma Fina è convinta che lui provi gli stessi sentimenti che prova lei mentre fanno l’amore e che riuscirà a farlo cambiare.

Qual è la sua visione del film?
Non mi piace per niente! Ovviamente scherzo. Credo sia una pellicola molto originale, che propone un punto di vista diverso. Inoltre, le scene comiche funzionano molto bene. Il film ha un ottimo ritmo ed è molto divertente. In realtà lo adoro!
Ha accettato subito il ruolo di Philippe?
Trovavo il copione formidabile, ma le riprese del mio film precedente finivano 4 giorni prima, e sognavo una vacanza… Ma Christophe Rossignon è un produttore molto convincente: quando propone, non si rifiuta! Parlando seriamente, mi ha convinto l’assenza di compiacenza del ruolo, senza filo sentimentale demagogico. Il mio personaggio è gay, non vuole figli, resta del suo parere fino in fondo. D’altro canto, sapevo che Vincent Garenq non si serviva di un tema per fare un film, ma al contrario, utilizzava il cinema per sostenere una causa. Avevo intuito che, malgrado fosse sposato e padre di famiglia, avesse un legame intimo con il tema. E ha fatto qualcosa di nuovo: due omosessuali guardati senza derisione né disprezzo da un regista che non ha le stesse preferenze sessuali.

Come si è preparato al ruolo?
Sono partito dal principio che non serve appendere dei cartelli per essere omosessuali. Philippe incarna perfettamente il suo essere, non ha bisogno di segnali chiari sotto forma di foulard colorati e voce acuta. È quasi una forma di razzismo creare un personaggio gay stereotipato.

Cosa pensava dei genitori omosessuali prima delle riprese?

Non ho risposte semplici neanche dopo aver girato il film. Si vedono bambini talmente infelici, cresciuti da genitori “normali”! Al contempo, capisco tutte le reticenze e le riluttanze. Come replicare al desiderio di un figlio, che è universale? L’unica risposta che posso darle è che non mi oppongo all’adozione da parte di omosessuali, anche se sono abbastanza tradizionale per pormi la domanda. In fondo, sono stato contento di aver interpretato il ruolo di un tipo un po’ ottuso che pensa che essendo gay non può fare il padre! E che rimane completamente sconvolto dall’arrivo del proprio figlio. Fina accetta comunque di portare un bambino, concepito con un tizio che non conosce affatto. Ma il film è scritto in modo da far dimenticare questo dettaglio allo spettatore. Lui impazzisce quando vede il suo bebè, come qualsiasi padre. Adoro questo tipo di film, che ci costringe a interrogarci, senza però imporre nulla. Dopotutto si tratta di una storia d’amore quasi banale. Uno vuole un bebè, l’altro no, di conseguenza la coppia scoppia! Mi piace l’idea che anche un uomo possa sentire il richiamo della maternità.

L’amore di Philippe per Manu è vero, ma lo si capisce solo tramite dettagli impliciti…
Sono partito da ciò che ci sfugge sempre: lo sguardo. Si doveva vedere che ero costernato dall’annuncio di Manu, quando mi dice che ha riempito un modulo di domanda per l’adozione. Mi sono ispirato molto alle scene di vita quotidiana. Di nuovo, non abbiamo fatto un film finanziato dal Gay Pride o da Act Up! Baby Love non è comunitaristico. Mia madre può andare a vederlo, anche la mia vicina. Solo perché Philippe è omosessuale che vive una rottura sentimentale, non lo vediamo annegare i suoi dispiaceri nei back room!

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