Come le è venuta l’idea
di Azur e Asmar?
Fare un lungometraggio a cartoni animati, significa
consacrare sei anni della propria vita ad un soggetto.
Bisogna che ne valga la pena. Il soggetto che mi stava
più a cuore ? Da un lato, tutte queste persone
che si detestano, che si fanno la guerra, dall’altro,
gli individui, di entrambe le parti, che non seguono
la corrente comune, e che si stimano, si amano al disopra
di ogni barriera. È questo che mi tocca più
profondamente. All’inizio ho pensato alla Francia
e alla Germania, ma se ne è già parlato
tanto, e ormai siamo in pace da diverso tempo, e non
ho avuto voglia di ricordare questo passato penoso e
trascorso. Avevo immaginato di inventare un paese nemico,
con una falsa lingua straniera. Inventare un paese nemico,
che pessima idea, quello si può trovare, e una
lingua vera è molto più interessante !
E ho pensato alla vita quotidiana in Francia e nel mondo.
Non si trattava più di parlare di una guerra
dichiarata, ma di un’animosità ordinaria,
tra cittadini originari e cittadini recenti, e, spingersi
oltre, ma parallelamente, tra occidente e medio oriente.
Avevo trovato il mio soggetto ! Una realtà bruciante,
da trattare come fosse una fiaba meravigliosa. Osservo,
con tristezza e con irritazione la falsa armonia generale,
così artificiale. Conosco l’argomento,
anche io sono stato stupidamente ostile, invece di essere
felice : in effetti, dopo un’infanzia africana
in una piccola cittadina, in una piccola scuola, mi
sono ritrovato in una grande città, in un liceo
che sembrava un formicaio, sotto un cielo grigio. Non
conoscevo le regole, spesso venivo punito, sebbene fossi
il più innocente di tutto il circondario.
Per quale motivo veniva punito?
L’ho dimenticato! Ricordo qualche punizione per
essere stato insolente. Probabilmente davo delle risposte
nude e crude, senza aggiungervi la salsa che ci si aspettava
che vi mettessi. Ho quindi rifiutato Angers e la sua
lingua per dieci anni, dicendomi che altrove era meglio.
Era falso. Era vero che Angers era grigia e umida in
confronto a ciò che avevo conosciuto ! Ma è
anche un universo ricco e bello, che teneva bene il
paragone con ciò che avevo vissuto, e che
avrebbe dovuto rendermi felice e appassionarmi. Me ne
sono reso conto solo dopo una vita intera. Nel film,
ovviamente, sono l’eroe bello, puro, magnifico,
dagli occhi azzurri e trasparenti, ma sono anche Raspù,
che fa tutto di mal grado e sputa su quello che è,
a tutti gli effetti, il suo paese.
Dunque è questa idea che
l’ha portata a sviluppare l’universo estetico
del film, e non il contrario…
Sì, sono partito da un desiderio morale e moderno.
Le immagini di altri tempi, il Magreb e la civiltà
musulmana sono arrivati dopo. Ma ero consapevole da
lungo tempo dell’interesse della brillante civiltà
islamica del medio evo, su un territorio immenso. In
quanto francese, ho pensato che dovevo parlare prima
di tutto del Magreb. Questo occupa infatti la maggior
parte delle scenografie e dei costumi, ma ho giocato
anche con tutti i tipi di elementi che mi piacevano,
dall’Andalusia alla Turchia, senza dimenticare
una piccola sosta in Persia.
Prima di tornare su queste ispirazioni,
vorrei domandarle di parlare in maniera dettagliata
delle diverse fasi del lavoro di sei anni di cui mi
ha parlato…
Prima di tutto viene il concepimento : trovare il soggetto
e scriverlo. Una volta individuato un desiderio preciso,
le cose vanno velocemente. Per Azur e Asmar, nel momento
stesso in cui ho definito le relazioni franco-magrebine,
ho pensato a dei fratelli di latte, con delle posizioni
molto spiccate – uno ricco, uno povero –
poi ho immaginato di cambiare i loro ruoli nel corso
della storia. Ho scritto la prima stesura della sceneggiatura
in due settimane. Successivamente, bisogna dedicarsi
ad un enorme lavoro di documentazione e disegno. C’erano
un centinaio di personaggi ben visibili, duecento comparse
da stabilire. Disegno i modelli principali dell’animazione,
ossia ogni personaggio di faccia, profilo, a tre quarti
di schiena, di schiena, più qualche espressione
e atteggiamento principale. Per i personaggi secondari,
mi faccio aiutare. Ci impegniamo ad essere precisi,
storicamente, geograficamente. Cosa che non impedisce
peraltro di prendersi delle libertà, anche perché
non ci sono immagini del Magreb tra il periodo antico
e il XVI secolo, per proibizioni religiose. Parallelamente,
elaboro tutto il film sotto forma di cartone animato,
uno storyboard, o sceneggiatura in immagini, che stabilisce
tutto ciò che succederà sullo schermo.
Per questo mi ci è voluto un anno. Nel corso
di questa fase, non appena possibile, invito dei collaboratori
a partecipare alla messa in opera dell’animazione.
Le 1300 scene del film sono state definite ognuna in
un dossier differente in cui si trovano l’inquadratura,
le principali posizioni dei personaggi nella scena,
l’abbozzo della scenografia, l’indicazione
dei dialoghi e dei movimenti di macchina. Questo lavoro,
con una equipe ridotta, è durato due anni. Poi
vengono la creazione delle scenografie, poi la messa
in forma numerica dei personaggi, e l’animazione
propriamente detta, che hanno richiesto un anno e mezzo.
Si finisce con la post produzione, qualche mese…
Torniamo alla trama : trae ispirazione
da alcune favole quando fa intervenire dei personaggi
come la fata dei Jinns, il Leone scarlatto o l’uccello
gigante, che mi ha fatto pensare all’uccello roccia
dei viaggi di Sinbad?
Azur e Asmar non trae spunto da alcuna favola. La fata
dei Jinns è di mia invenzione, e anche il Leone
scarlatto dalle unghie blu. Per i Jinns, la mia parte
di invenzione è consistita nel dargli una figurazione
precisa, in quanto non appaiono nelle immagini tradizionali.
Il Saïmourh è un uccello mitico dei racconti
persiani. Può avere altri nomi, come l’uccello
roccia. Il tema dell’uccello enorme, che può
trasportare le persone, ma anche mangiarle, appare spesso
nelle favole. Quello che mostriamo noi viene direttamente
dalle miniature persiane. È stato messo a punto
da Anne-Lise Koehler, la grande artista che ha diretto
le scenografie. L’altra persona che è stata
presente sin dall’inizio, per assistermi sui personaggi
e i layout, è Eric Serre. È diventato
il mio aiuto regista, e lavorare con lui è una
gioia. Queste due persone eccezionali avevano già
avuto un ruolo determinate nella riuscita di Kirikù
e la Strega Karabà.
Come ha fatto a procurarsi la
documentazione sull’architettura, le piante e
la cultura del Magreb, che le sono servite per creare
la maggior parte delle ambientazioni del film?
Libri, libri e ancora libri ! Mi piace. Provo un piacere
puro nell’immergermi in bei libri di immagini,
anche senza l’alibi della professione. Ma internet
ormai è un’altra fonte preziosa.
Si è ispirato anche ad
alcuni monumenti per creare le scenografie?
Sì, mi servo delle grandi moschee di Istanbul
per il finale. La loro architettura d’altronde
si ispira a Santa Sofia, luogo di culto cristiano, tutto
torna, e si accorda con il messaggio del film. Si riconosceranno
anche dei monumenti dell’Andalusia, dei paesi
del Magreb, elementi appartenenti a tutta la costa sud
e del mediterraneo. Volevo che ci si rendesse conto
che le scenografie erano state create partendo da elementi
reali. Volevo dire alla gente : «Questi luoghi
meravigliosi esistono : andate a vederli !».
Per l’appunto, è
andato a vederli lei stesso?
Non sono mai stato in Andalusia e lo rimpiango ! Ma
sono andato appositamente nei tre paesi del Magreb prima
di mettere a punto la storia.
E’ andato con un blocco
per gli schizzi in mano?
Sì, ma soprattutto con una macchina fotografica
! E in effetti ho trovato delle idee sul posto, alcune
volte sbagliandomi. In particolar modo ho fotografato
i fichi d’India da tutti gli angoli, dicendomi
che erano magnifici e che sarebbero stati un comodissimo
sfondo per la scenografia. Ma poi ho scoperto che queste
piante sono di origine americana, e che erano sconosciute
al nostro vecchio mondo nel medio evo ! ho quindi dovuto
togliere con rammarico tutti i fichi d’india che
avevo già immaginato nella scenografia ! Ho anche
preso in considerazione i costumi di tutto il medio
oriente.
A proposito, come ha fatto a
trovare delle fonti iconografiche, visto che questa
regione ha rispettato il divieto tradizionale di rappresentare
la creature di Dio?
In effetti, non si dispone di alcun documento magrebino-andaluso,
a parte alcune eccezioni che si contano sulla punta
delle dita. Vi si ritraggono dei sultani vestiti con
il costume tradizionale conosciuto, burnus e turbante.
Sembra che nulla sia cambiato. Gli abiti tradizionali
femminili di oggi evocano ancora quelli dei tempi dei
romani : sono dei tessuti drappeggiati e fermati con
delle fibule. Ho utilizzato questi indumenti, con un
abbondanza di ornamenti berberi. I costumi dei due eroi,
al contrario, dovevano avere un aspetto fiabesco. Li
ho presi nella civiltà persiana, più precisamente
dal XVI secolo (Damasco, Bagdad, l’Iran, avevano
continuato l’arte delle immagini). È un
imbroglio rispetto all’epoca, poiché la
storia si svolge nel medio evo. L’imbroglio rispetto
al luogo è minore, lo giustifico con la potenza
di Jénane, diventata una grande commerciante.
Le sue navi e le sue carovane percorrono in lungo e
in largo una parte del globo, e può offrire a
suo figlio l’ultima moda d’Ispahan. La cosa
più importante, è che sia bello ! E questo
è quanto concerne l’oriente. In altri momenti
mi sono servito delle grandi fonti grafiche europee
: quelli che per assurdità vengono detti «
primitivi » fiamminghi. Non ci sono persone meno
primitive di questi ipercivilizzati e dall’abilità
diabolica. Van Eyck (l’Agnello Mistico) appare
accanto a Jean Fouquet e ai Fratelli di Limburgo (le
Ricchissime Ore del Duca di Berry). Cambiando totalmente
epoca, ho preso in prestito dei procedimenti grafici
dai cartellonisti tra le due guerre, che apprezzo molto.
Ha deciso subito di non sottotitolare
i passaggi del film in arabo, per mettere gli spettatori
nella stessa situazione del suo eroe?
Ho pensato sin dall’inizio all’ostacolo
delle lingue, perché volevo mostrare la condizione
dell’emigrato, per cui la barriera della lingua
è una delle maggiori difficoltà. Così,
in alcuni passaggi, cerco di non far capire, affinché
ci si senta un po’ spersi. Ma la maggior parte
delle volte, alterno le due lingue nel dialogo, e una
risposta ci informa senza equivoci sulla domanda. Trovo
anche che questa assenza dei sottotitoli sia un’eleganza…Ed
è anche un regalo che faccio ai bambini, ascoltare
lingue diverse. Penso che sia un avvenimento sonoro
seducente.
Scrivendo una storia sul rispetto
dell’altro, sulla scoperta di altre culture, sui
pregiudizi, si preoccupa di raccontare una’avventura
utile?
Sì. Cerco di fare del bene alla gente con questo
film, di distendere le due comunità. Presento
delle belle persone degne, e spero di dare della dignità
alla gente. Se la gente si sentisse sicura di sé,
nobile, non avrebbe bisogno di annullare tutto ciò
che la circonda.
Pensa che le favole riuscite possano
essere raccontate a dagli spettatori adulti sollecitandone
il senso della meraviglia, e a dei bambini ai quali
si parla delle cose importanti della vita?
Fa una domanda conoscendo già la risposta ! Mi
è stato chiesto spesso come facevo i film per
i bambini. Il mio segreto, è che non faccio mai
film per bambini, poiché i bambini non sanno
che farsene dei film pensati unicamente per loro ! I
bambini hanno bisogno di imparare il mondo, di scoprire
cose nuove. Non hanno bisogno di restare in un territorio
conosciuto, né di una comprensione immediata.
I miei film sono fatti per tutta la famiglia e sono
felicissimo di riunire tutti, ci sono alcune cose che
non dico crudamente perché ci sono dei bambini
tra il pubblico, ma dico tutto. Non potrei fare un film
che non interessi anche me, oggi come oggi. Sono il
mio primo spettatore, adulto e bambino, perché
posseggo in me tutte le età!
Spesso presenta di profilo le
piante che hanno una struttura geometrica, ama questa
disposizione che evoca le tavole botaniche?
Ci siamo concentrati ad essere semplici ed esatti. Abbiamo
scelto il punto di vista più eloquente, sia che
si trattasse di fiori che di persone. Se voglio mostrare
uno schermidore, lo mostro di profilo, è bello
e di comprensione immediata. Di faccia, le braccia e
le spalle spariscono. La leggibilità ed una certa
precisione fanno parte del godimento. Abbiamo stilizzato
liberamente i fiori, ma i botanici e coloro che hanno
fatto la siesta nell’erba li riconosceranno.
Le architetture orientali, con
i loro mosaici, le loro vetrate, le loro arcate, fanno
un uso sorprendente della ripetizione dei motivi, della
simmetria. Anche lei utilizza la simmetria in alcune
scene del film, come quella che si svolge nel cortile
del palazzo della madre, o quella iniziale, quando la
nutrice tiene Azur e Asmar sulle sue ginocchia…
La simmetria all’inizio del film è necessaria,
perché i due bambini sono uguali. Bisogna assolutamente
che siano trattati allo stesso modo. La nutrice lo sa
bene e lo vede : se una fetta della torta misura un
millimetro più dell’altra, si protesta
energicamente ! Ma è vero anche che mi piace
la simmetria, un certo equilibrio, una certa armonia.
Come ha collaborato con Gabriel
Yared? Come avete deciso i passaggi in cui sentiva che
la presenza della musica era necessaria?
Ho subito pensato a Gabriel Yared, un grande musicista
di cinema, e un grande musicista tout court. Possiede
il profilo ideale, perché appartiene alle due
coste del mediterraneo. Francia e Libano. Gli ho proposto
il film, ha accettato subito, perché penso che
la storia gli abbia parlato. Oltre al talento che conoscevo,
ho scoperto un uomo di qualità, al di là
della musica, con il quale lavorare è un privilegio.
Avevo selezionato le scene in cui mi sembrava che la
musica si imponesse, lui era d’accordo. Ha aggiunto
qualche passaggio che gli era venuto naturale. Quando
le musiche di Gabriel sono arrivate sulle mie immagini,
è stato un miracolo : tutto corrispondeva, con
l’aggiunta di una forza che in precedenza non
c’era. Per esempio, la scena del Leone scarlatto,
all’inizio, non era che una peripezia nel cammino
degli eroi, ma la musica le da un valore ed una dignità
che mi toccano profondamente. Invece, quando il dialogo
possiede un’importanza particolare, è preferibile
il silenzio. Sento due cose nella musica che Gabriel
ha scritto per la mia fiaba : si viene trasportati irresistibilmente
da una musica popolare composta da un professionista
che conosce tutti i processi di un grande spettacolo,
e contemporaneamente si viene toccati dalla delicatezza
di sentimento di un artista dotato e sincero. Ogni film
è una nuova avventura.