Luc Besson su Angel-A
 

Mr Besson cosa l'ha spinta a tornare dietro la macchina da presa dopo 6 anni di lontananza?
La regia in senso stretto non mi mancava poi così tanto. Si tratta di un’autentica missione carica di responsabilità che richiede talmente tanto tempo, energie e fatica che non sempre si ha voglia di rimettersi al lavoro. E’ un po’ quello che succede ai navigatori in solitaria, che fanno il giro del mondo da soli: sicuramente avranno dei ricordi magnifici di quell’indimenticabile esperienza ma non credo che una volta messo finalmente piede sulla terra ferma abbiano voglia di ripartire subito… Per contro, giunto sul set ho sentito immediatamente l’estremo piacere di lavorare con gli attori. Il periodo delle prove con Jamel e Rie, durato circa un mese e mezzo, è stato particolarmente entusiasmante: vedere il testo prendere vita attraverso le loro parole, essere testimoni dei primi giochi, dei primi sorrisi è stato meraviglioso.

Angel-A è un film essenzialmente d'attori. Come li ha scelti?
La prima volta che ho visto Jamel Debbouze (Andrè) è stato su Canal +, e mi ha fatto morire dal ridere facendo una specie di riassunto di Titanic. Mi è venuto immediatamente in mente Zébulon, ho visto in lui un personaggio attraente, carico di fascino, di vita e di cicatrici, tutte cose che rendono un attore ancora più interessante. Successivamente, ci siamo incrociati diverse volte e ci siamo sempre piaciuti a vicenda. E poi a forza di girarci intorno mi sono accorto che era maturo per passare all’azione vale a dire per assumersi la responsabilità di essere il protagonista del mio film e spingersi fino in fondo nel portare allo scoperto i propri sentimenti. Rie Rasmüssen (Angela) è un’autentica perla: non ho mai conosciuto una ragazza come lei, affettuosa, curiosa di tutto, dotata di un grande talento. Dipinge, disegna, fa fotografie e si occupa anche di regia… Ovunque passi, semina sorrisi e buon umore. Il suo entusiasmo mi ha fatto un gran bene e mi ha dato la voglia di tornare a girare… Gilbert Melki è un attore che avevo adocchiato da tempo e che era perfetto per questo ruolo. E’ il primo al quale ho pensato per interpretare Franck e lui mi ha fatto il grande favore di dire di sì. Ma neanche lui ha ricevuto il copione perché il suo personaggio, che è testimone dell’evoluzione di André, diventa più interessante se anche lui, ad ogni nuova scena, si interroga sulle ragioni dei cambiamenti di André. Penso che il fatto che non conoscesse la sceneggiatura l’abbia aiutato molto a capire fino in fondo il suo ruolo: la fame giustifica i mezzi!

Ci vuole parlare della colonna sonora del film e della sua collaborazione con Anja Garbarek?
L’ho scoperta da una piccola fotografia su un giornale. Io conoscevo suo padre, Jan Garbarek, il sassofonista che suonava con Keith Jarret negli anni 70-80 ed ero curioso di ascoltare la musica di sua figlia, che immaginavo fosse cresciuta tra Stanley Clarke e Miles Davis. E cosi ho comprato i suoi primi due album e li ho trovati magnifici perché ci ho ritrovato le vere radici del jazz unite ad una voce alla Björk, ma molto più dolce e poetica. E tutto questo è successo nel momento in cui avevo ritirato fuori le famose 15 pagine scritte 15 anni fa, e la sceneggiatura è stata scritta ascoltando i due dischi di Anja Garbarek. Direi quindi che sin dall’inizio la musica di Anja è stata legata alla storia del film e mano a mano che andavo avanti mi accorgevo che si trattava di un abbinamento fantastico. Inoltre in quel periodo il musicista con il quale lavoro sempre, Eric Serra, era già occupato con la colonna sonora di Arthur et les Minimoys e visto che sarebbe stato alquanto difficile per lui comporre due colonne sonore simultaneamente, per una volta l’ho tradito con Anja. Ciò detto, Jean Reno e Eric Serra hanno fatto diversi film senza di me, quindi non vedo perché per una volta io non possa fare un film senza di loro! E così Anja Garbarek ha composto la colonna sonora originale di Angel-A, che comprende anche dei brani dei suoi album precedenti che sono stati riarrangiati per il film.

Come mai la scelta di girare con al fotografia in bianco e nero?
I giornalisti diranno che il fatto che il mio primo e il mio ultimo film (in ordine cronologico) siano entrambi in bianco è nero è dettato da una scelta ben precisa, ma le cose non stanno affatto così. Nel film ci sono quattro personaggi principali: Angela, André, Parigi e il bianco e nero. Sono i quattro tempi di un poema e se togliamo uno di questi elementi, togliamo tutta la poesia al film. Ho cominciato a scrivere la sceneggiatura di questo film circa dieci anni fa. All'epoca però, ero riuscito a definire solo la struttura del film senza riuscire a far parlare i personaggi, forse perché ero troppo giovane. In poche parole, si può dire che avevo già il desiderio di trattare questo argomento ma non disponevo ancora del vocabolario adeguato per farlo. Di conseguenza, ho messo da parte quelle 15 pagine che avevo scritto e sulle quali mi sono reimbattuto quasi per caso di recente. Tornato a leggerle, le ho trovate talmente attuali che ho deciso di riprendere in mano la penna per vedere, se questa volta, sarei riuscito a finire il film. E in soli 15 giorni ho terminato la sceneggiatura! E quindi mi sento di poter dire che per scrivere questo film ci sono voluti 10 anni e 15 giorni… Le immagini del film alle quali avevo pensato dieci anni fa erano in bianco e nero e riguardavano essenzialmente i ponti di Parigi, più in particolare alcuni luoghi precisi di Parigi dai quali si vede l’infilata di quei ponti.

Per quale motivo non ha mai girato seguiti dei suoi successi?
Non amo tornare sugli stessi argomenti ed è per questo che ho sempre ammirato Stanley Kubrick o Milos Forman, che hanno sempre cambiato universo ad ogni film che hanno fatto. Come loro, anche io tento di conservare quel rigore che mi impone di non fare del cinema 'alla Besson', di non dirigere un Nikita 2 o un Léon 2, cosa che mi hanno chiesto spesso. Inoltre, la cosa che mi ha sempre colpito in Kubrick, è l’osmosi che c’era tra il suo stile visivo e ciò che raccontava: il suo linguaggio visivo e grafico corrispondevano sempre con una perfezione matematica al soggetto affrontato. Anche Orson Welles aveva sempre idee, inquadrature o giochi di chiaroscuri che si adattavano perfettamente alle sue intenzioni e alla storia che raccontava. E tutto questo mi ha sempre spinto a far sì che il mio modo di girare fosse conforme alla storia raccontata.