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[jacopo
angiolini]
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Una
vita passata sul set, dal primo lungometraggio Maramao
dell’88 fino a Manuale d’amore del 2005,
quale è il tuo film che ti è piaciuto
di più?
Il mio west,
sono andato a cavallo per sei mesi tutte le mattine!
È stato come giocare ai cow boy… avevamo
ricostruito un villaggio western sulle Apuane, con i
cavalli i cow boy, gli indiani, ed io dirigevo il tutto
come in gioco, è stato quello il film che mi
è piaciuto di più realizzare.
Sceneggiatore, regista, occasionalmente
attore… quale è il ruolo in cui ti senti
più a tuo agio?
Lo sceneggiatore, perché posso inventare
di sana pianta! io sono un bugiardo nato, non amo il
cinema verità, lo evito; non amo molto la realtà,
mi piace la menzogna.
Amo inventarmi mondi, nomi, accadimenti, personaggi,
amo farli incontrare, innamorare, lasciare e poi farli
godere ancora; quando costruisco un personaggio cerco
di regalargli tutta la gamma di sentimenti che un persona
può vivere, tutto questo condensato nell’arco
di un’ora e mezza.
In
veste di regista ti ho sentito dire “ho girato
film anche in cantina”, c’è un film
che ti piacerebbe ancora fare?
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Mi
piacerebbe un film che non girerò mai, quelli che farò
sono già parte di me; mentre gli altri mi mancheranno,
vorrei fare un thriller, un film di genere, in fondo le pellicole
di genere sono i film che ogni regista vorrebbe girare, non
sono d’autore, ma danno più soddisfazione.
E un film che ti è piaciuto?
Che non hai fatto tu, ma che avresti voluto girare?
Tutti i film che vado a vedere, l’ultimo di Cronemberg,
History
of Violence è un capolavoro assoluto, dovrebbe
vincere l’Oscar. Io non potrei mai girare un film così,
perché ha una crudezza ed una violenza micidiali, ma
autori come Cronemberg difficilmente si allontanano dal capolavoro,
sono filmaker che ogni volta che affrontano una storia la
rendono memorabile.
Hai cominciato a scrivere film
negli anni ottanta, come è cambiato il modo di far
ridere negli ultimi venti anni?
Non è cambiato il modo di far ridere, o l’autore,
è cambiato il modo di vivere e lo spettatore. Quando
andavo a vedere in sala i film che avevo scritto per Nuti
ed il pubblico si faceva cinque o sei risate grosse durante
la proiezione era un successo, adesso le risate devono essere
molte di più.
Il ciclone, del ’95, aveva
un tasso di risate costante, non aveva grandi picchi ma la
gente rideva spesso… oggi Manuale
d’Amore, dove si ride ma non solo, non è
considerato un film comico.
Manuale d’Amore, il
sequel..
Dieci!
Stile
Von Trier
Dieci! Sono un innamorato cronico, un depresso, ho tante cose
da dire...
Prima hai citato Francesco Nuti,
tu hai sceneggiato quasi tutti i suoi film, in questo momento
te la sentiresti di lavorare con lui? [intervista
rilasciata prima del coma in cui Francesco Nuti è caduto
recentemente, NDR]
Se lui se la sentisse di lavorare con me… se lui se
la sentisse di lavorare, soprattutto. E’ un momento
difficile per Francesco, dovrebbe essere lasciato in pace
a cercare di capire cosa sta vivendo, a capire un po’
della sua vita, ciò che ha passato negli ultimi dieci
anni. Sono stato in vacanza l’ultimo dell’anno,
c’era anche Pieraccioni, e guardandoli insieme ho compreso
che stavo vedendo la mia vita, e mi sono ricordato di quale
grande talento sia Francesco come attore comico, e osservandolo
mi sono anche reso conto di che effetto abbia avuto su di
lui il trascorrere del tempo.
Un comico vive anche del proprio fisico, della propria mimica
facciale, gli anni che passano possono modificare queste cose,
ed un attore dovrebbe cercare di adeguarsi ai cambiamenti:
Totò è sempre stato vecchio, nessuno si ricorda
di lui da giovane, invece Francesco è sempre stato
un affascinate ammaliatore… ora ha cinquant’anni,
deve capire cosa ha vissuto e ricominciare.
Oltre a te hai parlato di Nuti, di Pieraccioni, poi c’è
Benigni, avete sdoganato la comicità toscana; che prima,
eccezion fatta per Monicelli, viveva una sorta di tabù.
Cosa è cambiato?
Ci sono dei talenti veri! C’è Benigni, che è
un vero tornado di comicità, è arrivato Nuti,
un po’ più raffinato, più mimico, e Pieraccioni,
che rappresenta il riassunto di tutto questo, magari è
meno dotato come attore, ma con più furbizia autoriale
riesce a mettere insieme buoni cast, che fanno ridere; non
è questione di comicità toscana, ma di talenti.
E’ successo che durante gli anni ’70 i talenti
fossero milanesi o romani, quest’egemonia ha cominciato
a decadere negli ’80, nonostante Verdone, perché
Sordi aveva mollato, in questa situazione hanno preso piede
i toscani. Agli inizi c’era anche Benvenuti che faceva
discreti successi.
L’apice è stato toccato con Il
Ciclone di Pieraccioni, persino le pubblicità
erano in toscano, era diventato un dialetto che faceva ridere
a prescindere, e questa è la solita cazzata della televisione,
che banalizza e generalizza tutto, così è andata
a finire che sembra che uno parli toscano apposta per rimanere
simpatico.
Il toscano di Benigni, Nuti, Pieraccioni è un toscano
simpatico e gradevole, ma comprensibile per chiunque, non
come il napoletano: il primo film di Troisi al nord venne
sottotitolato.
Come nascono i tuoi personaggi?
Ed ancora: spesso si pensa che per fare cose d’autore
di debba per forza essere tristi o riflessivi, è vero
o non è vero?
Io penso che questa cosa della tristezza sia ormai una cosa
banale. I personaggi non nascono dall’ispirazione dell’autore,
i personaggi esistono, sono nell’aria, se riesci a comprenderli,
a coglierli, a costruirli, a fantasticarci sopra, ecco questo
è il gioco del cinema: fare in modo che lo spettatore
si renda complice della fantasia dell’autore andando
a caccia in Africa o alla ricerca della pietra verde, per
far si che la gente possa veramente sognare, io non amo Indiana
Jones, ma gli devo riconoscere che la capacità di farmi
sentire libero, per due ore, la aveva; certo, il giudizio
sul film è diverso: a me non piace, ma ha un valore,
è efficace.
Sordi è stato considerato
l’attore che incarnava gli italiani, quale è
oggi un attore che può definire il carattere nazionale?
Esiste?
Oggi non esiste più questa necessità, perché
gli italiani si sono omologati molto, non c’è
più un carattere particolare degli italiani, quindi
non c’è più il bisogno di un attore simbolo,
è la commedia all’italiana che è diventata
il tipo particolare degli italiani.
Ho girato quasi tutto il mondo guardando film e mi sono reso
conto del fatto che come sappiamo far ridere noi non lo sa
fare nessun altro; le nostre risate sono vere, non costruite,
come quelle degli americani, che per far ridere costruiscono
situazioni veramente infantili, pensa al film Tutti
Pazzi Per Mary: è divertentissimo, ma è
costruito su situazioni veramente infantili, quasi demenziali;
tutta un'altra cosa rispetto a pellicola fantastiche della
nostra commedia: i film di Troisi e di Benigni, per non andare
troppo indietro.
Oppure pensa al Barbiere di Rio,
che è un film medio, non una grande commedia, eppure
il suo “ziu belo, ziu belo” è passato alla
storia quasi come uno slogan, questo perché Abbatntuono
si era inventato un modo di parlare che faceva ridere.
Penso che in America o anche in Inghilterra, dove la comicità
è molto più scandita dalle situazioni, un attori
conti meno, invece da noi l’attore, specie quello comico,
è importantissimo.
E' cambiata la commedia?
Non é cambiata la commedia, sono cambiati
gli autori, è cambiato il mercato, non il modo di farla,
almeno per quanto riguarda me cerco di farla sempre con gli
stessi criteri: cioè con cinismo, sarcasmo, sentimentalismo,
cercando di renderla efficace.
Grazie, lo fai un grido per il grido?
Aaaaaaaagh!
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