I ritmi del cinema

 

Carlo Virzì


Come hai appreso il mestiere del cinema?
Non si può negare un benefico contagio da parte di mio fratello Paolo che da sempre mi ha coinvolto nel suo lavoro in una molteplicità di ruoli: ho fatto l’attore e il trovarobe, in seguito l’assistente e il responsabile del casting e allo stesso tempo il musicista dei suoi film.

Quanto e quando ti colpisce una colonna sonora di un film? Quali ti piace ricordare degli ultimi tempi?
Apprezzo molto quella musica che non impone la propria presenza ma detta il tempo, il sentimento segreto, quella che si fonde così bene con le immagini quasi da non essere notata.

Ultimamente seguo con molto interesse Jon Brion, autore della musica di Magnolia, Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Punch Drunk love per citarne alcuni. Secondo me Brion ha indicato una nuova strada e un nuovo percorso sonoro.

Parlaci della musica di questo film.
Ci sono della canzoni che ascoltavo quando avevo quindici anni e perciò mi sembravano necessarie per costruire l’atmosfera adatta al racconto: dai Duran Duran a Nada, dai Cure ai Culture Club.
Per le musiche originali ho utilizzato alcuni componenti dell’Orchestra di Piazza Vittorio di Roma e uno dei temi principali è suonato dagli Snaporaz, la band con cui suono da una vita.

Come definiresti “L’estate del mio primo bacio” se fosse una musica o una canzone?
Si potrebbe dire che è un misto tra un coro di voci bianche, un valzerino in La maggiore settima e una canzonetta estiva da juke-boxe.

Come è nato il progetto?
E’ stato Riccardo Tozzi a propormi questo progetto, gli ho risposto “fammici pensare un minuto”. Dopo quindici secondi ho accettato. A dire la verità all’inizio qualche perplessità l’ho avuta, avevo un po’ di timore a mettermi in gioco, forse potrei dire pudore. Sono rimasto colpito dallo spirito della storia, da questi buffi personaggi. La vicenda di Camilla, una ragazzina che può sembrare odiosa ma che invece viene voglia di proteggere e coccolare, così sola e sul piano affettivo abbandonata a se stessa. E poi quella mamma Giovanna, così dolcemente distratta e presa dalle sue smanie, “svaporata” come la definisce Laura Morante. E non ultima la grande occasione di rivivere quella stagione dolce e potente che rammento con grande nostalgia.

E’ il tuo primo film. Nel cast ci sono dei nomi importanti, ma anche degli esordienti. Come ti sei trovato?
Ho avuto l’enorme fortuna di trovarmi davanti Laura Morante, meravigliosa e generosa attrice, alla quale sono molto grato per aver accettato un ruolo come quello di Giovanna, così delicato e inedito per lei. Mi ha colpito l’intelligenza e il divertimento col quale si è buttata nel progetto. Poi Neri Marcorè, che a conoscerlo è uno spettacolo continuo e che con i suoi fuoriscena sarebbe da farci tutto un film. Ho sentito fiducia da parte loro fin dall’inizio. Questo è servito per vincere una altrimenti inevitabile soggezione. Lo stesso per Andrea Renzi, uno splendido e sfasato Agostino, e poi Gigio Alberti, quel meraviglioso trombone di Raimondo Florinelli Nardi, entrambi per me attori di culto. E’ stato bello passare del tempo con loro.
Meno soggezione, ma certo non meno lavoro, nei rapporti con i giovanissimi attori del film. Sono il frutto della ricerca fatta nelle scuole e per le strade di Roma e dell’Argentario insieme a Betta Boni e Dario Ceruti, con i quali ormai faccio squadra da un po’. Ho provato ad aiutare i ragazzi ripensando alla mia quasi unica esperienza da attore quando avevo diciassette anni, “preso dalla strada” come loro; allo spaesamento che provoca il cinema a chi non lo ha mai frequentato e si trova nel bel mezzo del circo con le luci in faccia e dei segni da seguire sul pavimento. E’ risultata utile anche la pratica accumulata durante le esperienze di casting, dove in qualche modo ti trovi a dirigere e dove impari a individuare le caratteristiche che ti servono per i vari personaggi. Incontrare Gabriela Belisario è stata veramente una fortuna, coi suoi meravigliosi occhioni da cartone animato e il suo talento incredibile: ha subito convinto me e anche i produttori. Avevamo inventato degli aggettivi, delle espressioni tra di noi per capirci al volo durante le riprese, un vero spasso. Per Iacopo Petrini avevo una particolare aspettativa rivedendo nel docile Adelmo me stesso a quell’età. Lui si è lasciato guidare in questo revival e ci siamo divertiti un sacco.
[Intervista a cura dell'Ufficio Stampa del film]


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