Stanley
Kubrick o il cinema tra progetto e immaginazione
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[giuseppe
panella] |
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Odio
che mi si chieda di spiegare come "funziona"
il film, cosa avevo in mente, e così via. (1971)
Chiunque
si interessi alla regia dovrebbe studiare insieme, e
comparare, Chaplin e Ejzenstein. Dovendo scegliere tra
i due, personalmente sceglierei Chaplin. (1971)
Si
potrebbe immaginare un film dove le immagini e la musica
fossero utilizzate in modo poetico o musicale, dove
si avesse una serie di enunciati visuali impliciti piuttosto
delle esplicite dichiarazioni verbali. Nessuno ha mai
fatto un film importante dove questi aspetti unici dell'arte
cinematografica siano il solo mezzo di comunicazione.
Pure, le scene più forti, quelle di cui ci si
ricorda, non son mai scene in cui delle persone si parlano,
ma quasi sempre scene di musica e immagini. (1972)
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Il
tema, ovviamente, è inesauribile. Parlare in modo esauriente
e articolato di Kubrick è come pretendere di parlare
in modo esaustivo del cinema perché Kubrick (almeno per
i lettori e frequentatori de Il Grido e della sua mailing-list)
è diventato il Cinema.
Il risultato del sondaggio 'finale' (alla conclusione di tutta
una serie di 'eliminatorie' precedenti) tenutosi sul sito del
gruppo dei fattidicinema, infatti, ha confermato una buona maggioranza
a favore del regista americano nei confronti del pur straordinario
Federico Fellini. Ovviamente, il sondaggio non voleva stabilire
chi fosse il più bravo dei due, ma chi era più
il più gradito come regista tra i frequentatori del sito.
Come interpretare questa vittoria e questa passione per un regista
peraltro complesso e non sempre accessibile al grande pubblico,
minuzioso fino alla maniacalità e talvolta accusato di
"freddezza" e di "manierismo"?
Quella di Stanley Kubrick è stata una dedizione al cinema
che non ha conosciuto soste e che si è rivelata tale
fin dal principio: "Bisogna ricordare che si deve vivere
con un film per il resto della propria vita". Il giovanissimo
da poco diplomato (con appena la sufficienza pare e pare anche
che odiasse tanto la sua scuola da darle fuoco) che vendeva
foto a "Look" e a "Life" negli anni Quaranta
e che ha girato nel 1949 il geniale documentario Day
of the Fight non sembrerebbe diverso nelle intenzioni
e nel suo modello di stile dal regista perfezionista e (forse)
maniacale che ha lasciato incompiuto il suo capolavoro finale
Eyes Wide Shut. Ma questo non è
sufficiente a spiegarne il fascino sui suoi spettatori. Il modello
registico di Kubrick (effettivamente non comparabile con quello
di altri pur straordinari realizzatori di film) fa la differenza:
la capacità inventiva che permette all'immaginazione
di scatenarsi senza perdere di vista il rigore dell'applicazione
della tecnica alla fantasia. Il 'mago della regia' di The
Shining (il primo film completamente realizzato utilizzando
la steady-cam da poco costruita da Garrett Brown) è lo
stesso che utilizza il carbonio 14 fotografico su lenti Zeiss
per le scene girate a lume di candela di Barry
Lyndon. E si potrebbe continuare all'infinito. Non a
caso quelli che io reputo i temi fondamentali del regista di
Newark sono (e non a caso) la tecnica, la violenza e il tempo:
la tecnica della violenza e la violenza della tecnica (2001:
A Space Odyssey ma anche Dr. Strangelove
o A Clockwork Orange); la violenza
contro il tempo (The Killing, 2001
ma anche The Shining e Eyes
Wide Shut) e la Storia come forma di violenza perenne
che si perpetua e si rivolge contro i soggetti più deboli
e contro gli individui (Barry Lyndon
dove la violenza della Storia è esplicitata soprattutto
nella prima parte ma anche Paths of Glory,
Spartacus, Full
Metal Jacket…). Una parte della critica meno avvertita
(soprattutto agli inizi della carriera di Kubrick) lo aveva
classificato come 'poeta' dei generi sostenendo che egli in
ogni film rifaceva un genere preciso: il noir, il film di guerra,
il peplum, la fantascienza, la satira politica e l'horror.
È questa - credo - un'ipotesi critica totalmente sbagliata
nei presupposti. Kubrick semmai ha sempre dato l'impressione
di voler girare lo 'stesso' film per mettere a fuoco in maniera
più precisa, attenta, rigorosa, dettagliata il suo 'stesso'
discorso sul cinema (in ciò simile - nel bene e nel male
- ad altri grandi registi meta-filmici come Lang, Fellini o
Lynch).
L'argomento costante del cinema di Kubrick, quindi, è,
a mio avviso, il cinema stesso come arte del mostrare, del far
vedere, del 'visibile' come possibile orizzonte 'assoluto' della
conoscenza. Il cinema, per Kubrick, non serve tanto a raccontare
delle storie quanto a farle vedere. Il meccanismo visivo del
cinema ha la funzione di mettere in evidenza ciò che
lo sguardo dello spettatore tenderebbe a non vedere, ad ignorare,
a considerare secondario. Per questo motivo Kubrick fa correre
forsennatamente la macchina da presa lungo la fila dei soldati
pronti a uscire dalla trincea in Paths
of Glory per evidenziarne la paura e la rabbia che li
tiene in piedi in attesa di andare a morire; per questo i carrelli
di The Shining sono interminabili
e ricorrenti e avvolgentisi su stessi come il labirinto del
Tempo che si annoda a se stesso in attesa di ripetersi eternamente;
per lo stesso motivo i corpi nudi che copulano nella scena dell'orgia
in Eyes Wide Shut sono mostrati
solo come corpi che si accoppiano e non come persone che si
incontrano nell'atto sessuale in modo da metterne in luce l'assoluta
fungibilità e interscambiabilità come pure il
loro destino di morte; ancora per questo il volto della giovane
donna vietnamita segata in due dalle mitragliatrici americane
a Hué assume nell'ultimo fotogramma in cui si vede l'aspetto
minaccioso e raggelante della Medusa del Caravaggio (il suo
volto pietrificherà gli yankees nella loro dimensione
di assassini e di vittime al tempo stesso costringendoli ad
essere per sempre quello che in Vietnam sono stati). E ancora
l'ambizione politica gelida e micidiale di Crasso in Spartacus,
il delirio militare di Dr. Strangelove,
la passione assoluta e assassina di Humbert Humbert in Lolita,
la follia di gruppo e la meccanicità della violenza di
Alexander Delarge e dei suoi droogs in A
Clockwork Orange, l'assurdità della macchina
di morte che diventa l'addestramento militare nel primo tempo
di Full Metal Jacket sono metafore
della Storia e della vita associata in società che si
trasformano in simboli attraverso il loro essere di-mostrate
per immagini. E nonostante l'assoluta precisione del progetto
da cui nascono, in esse la follia che mostrano 'sfonda' il confine
tra il sogno e la realtà, tra il momento della visione
e quello della ricostruzione realistica, tra il progetto razionale
e l'intuizione produttiva.
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