Tra
Splatter & Gore: il New American Horror
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[fabio
melandri] |
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Corpi
martoriati e sventrati, sangue e viscere sbattuti in
faccia allo spettatore. Ecco come è nato negli
Anni Settanta il Nuovo Cinema Horror che invade ancora
oggi gli schermi, dentro e fuori un genere capace di
dare forma ai nostri peggiori incubi.
Il
problema di definizione dell'horror come genere cinematografico
riconoscibile, non è di facile soluzione, in
quanto si determina più per la reazione che provoca
nel pubblico, che non per il tipo di storia che
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racconta o per la sua ambientazione,
come invece accade per il poliziesco, il musical, il western
o la fantascienza. Per semplicità identificherei con
il termine horror tutta quella fiction in cui paura, disgusto,
inspiegabilità razionale ed emozione sono predominanti.
Nella loro intima essenza i film dell'orrore si basano sulla
configurazione dualistica della lotta tra il Bene e il Male.
Il genere horror si può dire nato insieme al cinema,
dal versante immaginifico espresso nella figura di Méliés
e che ha conosciuto le sue prime forme espressive compiute durante
gli anni Dieci e Venti, con l'Espressionismo tedesco ed opere
quali Il gabinetto del dottor Caligari
(1919) di Robert Wiene, Il Golem (1920)
di Paul Wegener e Carl Boese, Nosferatu
il vampiro (1922) di Friedrich W. Murnau, che anticiparono
tematiche e figure ricorrenti sino ai nostri giorni.
Con gli Anni Trenta e la fuga dalla Germania Nazista di tecnici
e artisti tedeschi, l'horror trovò terreno fertile negli
Stati Uniti grazie alla Universal che a partire dal 1931 portò
sullo schermo classici della letteratura fantastica quali Frankenstein,
Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde, Dracula. Caratterizzati
dalla presenza di una creatura patetica, dolorosamente consapevole
della propria diversità, che aspirando a suscitare affetto
e comprensione è invece uccisa dall'ignoranza e dall'odio
dei normali, si impongono all'attenzione generale film quali
Dracula (1931) di Tod Browning,
La Mummia (1932) di Karl Freund,
La moglie di Frankenstein (1935)
di James Whale.
Il successo commerciale di queste opere, spinse la Universal
a perseverare su questa strada anche negli Anni Quaranta con
una serie di contaminazioni tra i suoi mostri più famosi,
in messe in scene sempre più libere e folli come Frankenstein
contro l'Uomo Lupo (1942) di Roy W. Neill e La
casa degli orrori (1945) di Erle C. Kenton. Verso un
horror più adulto ove prevalesse la suspense ed un orrore
suggerito e raramente mostrato puntò invece Val Lewton,
produttore per conto della RKO, a cui si devono capolavori quali
Il bacio della pantera (1942) di
Jaques Tourneur e La Iena (1945)
di Robert Wire.
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, la scoperta degli
orrori nei campi di concentramento tedeschi e degli esperimenti
dei ‘mad doctors’ nazisti, il cinema horror operò
una sorta di auto-censura che sembrò segnare la fine
del genere.
La sopravvivenza fu assicurata da una piccola casa di produzione
inglese la Hammer, che avvalendosi di un ristretto ma affiatato
gruppo di lavoro capitanato dal regista Terence Fisher e gli
attori Peter Cushing e Christopher Lee, diede origine ad un
immaginario ove la continua lotta tra Bene e Male altro non
era che opposizione tra cultura e natura, ordine e caos, scienza
e superstizione. Tra il 1956 e il 1976, la Hammer propose sette
film su Frankenstein e Dracula, quattro sulla Mummia, una sull'Uomo
Lupo, due trasposizioni da Jekyll.
Per venire incontro ai grandi problemi distributivi di questi
film, nel 1954 nasce l'American International Picture (AIP),
per conto della quale, tra il 1960 e il 1964, Roger Corman diresse
una serie di film ispirati alle opere di Edgar Allan Poe. Riciclando
scenografie da altri set ed avvalendosi di una serie di collaboratori
fissi, operò un profondo rinnovamento delle forme narrative
e tematiche del genere, trasferendo l'orrore dalle vicende e
personaggi agli ambienti ossessivamente ripresi, scrutati e
sezionati; illustrazioni di un mondo subcosciente, in una raffigurazione
compatta ed originale del Male: I vivi
e i morti (1960), Il pozzo e il
pendolo (1961), I racconti del
terrore (1961), La vergine di cera
(1962), La tomba di Ligeia (1964).
Con gli anni Sessanta il genere smise di essere un fenomeno
legato al solo universo anglosassone, mettendo radici in Italia
con opere centrate su una mostruosità originata dalla
colpa, dal peccato, dalla perversione sessuale: I
vampiri (1957) di Riccardo Freda, Il
mulino delle donne di pietra (1960) di Ferroni, Danza
macabra (1963) di Antonio Margheriti. Un genere di corto
respiro che sopravisse quasi esclusivamente come sottogenere
del thriller con Mario Bava (I tre volti
della paura, 1963; Cinque bambole
per la luna d'agosto, 1969), Dario Argento (L'uccello
dalle piume di cristallo, 1970; Il
gatto a nove code, 1971; Quattro
mosche di velluto grigio, 1972) e Pupi Avati (La
casa dalle finestre che ridono, 1976). Tra le cinematografie
europee più attive nel genere, la Spagna con il sadico
erotismo di Jesus Franco in Las Vampiras
(1970) e Il conte Dracula (1970).
L'evoluzione del genere è sempre coinciso con momenti
della storia umana caratterizzati da profondi stati di paura,
incertezza e tensione ove il fantastico, il metafisico, l'immaginario,
presero il sopravvento sulla realtà ordinaria.
L'espressionismo fondava le sue radici nel primo conflitto mondiale,
trovando linfa vitale nella crisi gravissima che divorò
la società tedesca del periodo subito successivo. La
Guerra Fredda negli Anni '40/50 ispirò tutta una serie
di film basati sul tema del mostro, dei mad-doctors delle invasioni
extraterrestri, che andarono ad alimentare un isterismo collettivo
latente con avvistamenti di dischi volanti ad ogni angolo del
pianeta. Gli Anni Settanta videro una profonda crisi della società
americana: il debito nazionale salì vorticosamente; l'invasione
ingiustificata della Cambogia portò ad alcune tra le
più intense e diffuse proteste della storia americana;
le immagini dei corpi straziati dei soldati americani in Vietnam,
l'uso di droghe e una crescente diserzione al suo interno, minarono
la fiducia del popolo americano sull'opportunità della
guerra; l'affare Watergate e le dimissioni del Presidente Nixon
accentuarono un generale senso di inquietudine e spaesamento.
Da tutti questi elementi nacque il 'New American Horror', che
abbandonò l'orrore suggerito e d'atmosfera a favore di
una rappresentazione estrema di sangue, viscere, carni maciullate
che invasero ogni angolo dell'inquadratura. La paura era ora
del corpo. La società si stava spersonalizzando in cambio
di una maggiore fisicità. E questa fu colpita. La carne,
la "debole" carne ebbe la sua punizione.
Morti viventi, assassini, massacri, corpi feriti, squartati,
deformati, violenze e sangue erano gli ingredienti della maggior
parte delle produzioni degli anni Settanta ed Ottanta. Una produzione
che faceva perno fondamentalmente su due concetti: il gore e
lo splatter.
Il primo letterariamente "sangue" ma anche "colpire"
e "incornare", finì per indicare una esasperazione
della violenza, del male anarchicamente trionfante, valvola
di sfogo di una generazione di spettatori insofferenti e "minati"
dal radicalismo dei campi universitari. Il gore garantiva tutto
ciò che prometteva: una visione maschile così
eccessiva e ridondante da rovesciare lo spavento nel suo contrario
sino a provocare la partecipazione tifosa della platea.
Il termine splatter nacque nel 1968 per bocca di George Romero
che così definì il suo La notte dei morti viventi,
dall'onomatopeico "to splatter" che definisce lo "schizzare"
del sangue e di altra materia dai corpi colpiti. Sinonimo di
horror estremo, aboliva ogni remora nei confronti del sesso.
La vera peculiarità era l'enfatizzazione dell'erotismo
macabro, del legame tra orrore e amore, tra sessualità
e morte. Costante era la rappresentazione di maniaci assassini
che catturavano le loro vittime, le sottoponevano a umiliazioni
di ogni tipo prima di giustiziarle. Nasce la mitologia dello
psicocriminale, nuovo eroe delle platee cinematografiche.
Lo spettatore splatter non guardava più i delitti dall'esterno,
ma ne diveniva il protagonista. Se prima c'era l'immedesimazione
tra pubblico e vittima, ora lo spettatore sposava il punto di
vista del criminale, grazie ad un uso sempre più spregiudicato
della soggettiva, che portò alla totale coincidenza tra
occhio dell'assassino e quello della cinepresa - vedi Halloween
di John Carpenter. Vero protagonista il sangue, attraverso il
quale si tentò un recupero della coscienza. La fisicità
era identità, era consapevolezza: "sanguino, dunque
sono!" Siamo al chi mostra di più sul terreno del
Corpo. È cinema in 3-D, ove le tre "d" sono
quelle delle parole "disfigurement, dismemberment, disembowelment"
(deformazione, smembramento, sventramento).
I suoi artefici furono un ristretto gruppo di registi regionali,
fautori di pellicole dirette ad un pubblico povero, generalmente
neri e contadini, con una distribuzione sul territorio americano
limitata a drive-in e campus universitari.
L'horror degli anni Settanta era soprattutto una questione di
vedere. Grazie alla sua collocazione settaria e ad un pubblico
smaliziato, poté da una parte fare affidamento su un
linguaggio cinematografico libero dalle convenzioni attraverso
un audace uso della soggettiva, un intrepido impiego del montaggio
con associazioni degne di certo cinema sperimentale sovietico,
effetti speciali estremi e realistici ripresi in seguito dal
cinema "alto"; dall'altra portò avanti un discorso
di innovazione tecnologica come l'invenzione della steady-cam,
la sperimentazione di nuove lenti deformanti e make-up sempre
più elaborati.
Le sue storie estreme ad alto tasso di "irrealtà"
- sebbene spesso ispirati da notizie o trafiletti di cronaca
nera - comportavano una sorta di schermo protettivo contro l'establishment
costituito dalla censura, contro il principio di realtà
fondato sulla ragione - definito da Jean Schuster in Il Surrealismo
e la libertà come il più compiuto tra i sistemi
di oppressione del pensiero - e dalla morale puritana che impediva
il trattamento di tematiche forti.
A partire da La notte dei morti viventi tutta un'ondata di film
dell'orrore dilagò sullo schermo con Non
aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper, L'ultima
casa a sinistra (1972) di Wes Craven, Brood-La
covata malefica (1979) di David Cronenberg e La
Casa (1982) di Sam Raimi.
Questi film non racchiudevano semplicemente una finzione, ma
piuttosto fornivano la cartella clinica dei diversi stati del
corpo. Jean-Luc Godard sosteneva che se vi erano tanti film
pornografici, la colpa era da attribuire al cinema tradizionale
incapace di filmare l'amore in modo corretto limitando questa
attività a un'unica parte del corpo (la metà superiore),
mentre il porno aveva il dovere di rimediare a questa mancanza
occupandosi esclusivamente del resto (l'altra metà, sotto
la cintura). Il cinema horror sopperì alla censura che
il cinema corrente operò nei confronti delle parti e
delle funzioni meno nobili del corpo: insert su una bocca che
mangia e vomita, piuttosto che su una che parla o bacia. Il
'New American Horror' segnò il ritorno violento e massiccio
di questo rimosso. Il corpo era di nuovo un tutto, compresi
gli orifizi e tutte le funzioni. Non una superficie liscia,
ridotta ad immagine della sua pelle, ma uno schermo fragile
sul punto di esplodere sotto la pressione del dentro, del suo
volume. Gli effetti speciali lavoravano in questo senso: fissare
sulla pellicola lo spettacolo di un processo di decomposizione,
il suo divenire cadavere, restituirlo sullo schermo in modo
realista, verista (l'impressione di realtà). La ricerca
dell'effetto e della verosimiglianza ripugnante provocò
la richiesta di professionisti del trucco, sciamani del make-up,
gente che poteva autorizzare ogni autore a spingersi verso il
sempre più sconvolgente, l'iperrealismo. Il corpo non
era più la carne viva, ma il suo contrario, la carne
macellata, cioè la carne privata di desiderio. Il modello
era la macelleria. All'ultimo orizzonte di questo voyeurismo
morboso si profilava l'olocausto: il cinema dell'orrore era
l'operazione che perpetuamente e sinistramente rimetteva in
scena l'immaginario dei campi e dei carnai. L'horror ebbe il
coraggio e la forza di guardare bene laddove prima c'era solo
foschia e tenebra, all'interno di una società intrisa
di violenza, morte e brutalità insensata. Su queste basi
si è fondato e generato il cinema horror contemporaneo,
che ancora oggi colora di rosso emoglubinico gli schermi di
tutto il mondo.
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