anno 1
numero 1
maggio 2004

Tra Splatter & Gore: il New American Horror

[fabio melandri]

Corpi martoriati e sventrati, sangue e viscere sbattuti in faccia allo spettatore. Ecco come è nato negli Anni Settanta il Nuovo Cinema Horror che invade ancora oggi gli schermi, dentro e fuori un genere capace di dare forma ai nostri peggiori incubi.

Il problema di definizione dell'horror come genere cinematografico riconoscibile, non è di facile soluzione, in quanto si determina più per la reazione che provoca nel pubblico, che non per il tipo di storia che

racconta o per la sua ambientazione, come invece accade per il poliziesco, il musical, il western o la fantascienza. Per semplicità identificherei con il termine horror tutta quella fiction in cui paura, disgusto, inspiegabilità razionale ed emozione sono predominanti. Nella loro intima essenza i film dell'orrore si basano sulla configurazione dualistica della lotta tra il Bene e il Male.
Il genere horror si può dire nato insieme al cinema, dal versante immaginifico espresso nella figura di Méliés e che ha conosciuto le sue prime forme espressive compiute durante gli anni Dieci e Venti, con l'Espressionismo tedesco ed opere quali Il gabinetto del dottor Caligari (1919) di Robert Wiene, Il Golem (1920) di Paul Wegener e Carl Boese, Nosferatu il vampiro (1922) di Friedrich W. Murnau, che anticiparono tematiche e figure ricorrenti sino ai nostri giorni.
Con gli Anni Trenta e la fuga dalla Germania Nazista di tecnici e artisti tedeschi, l'horror trovò terreno fertile negli Stati Uniti grazie alla Universal che a partire dal 1931 portò sullo schermo classici della letteratura fantastica quali Frankenstein, Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde, Dracula. Caratterizzati dalla presenza di una creatura patetica, dolorosamente consapevole della propria diversità, che aspirando a suscitare affetto e comprensione è invece uccisa dall'ignoranza e dall'odio dei normali, si impongono all'attenzione generale film quali Dracula (1931) di Tod Browning, La Mummia (1932) di Karl Freund, La moglie di Frankenstein (1935) di James Whale.
Il successo commerciale di queste opere, spinse la Universal a perseverare su questa strada anche negli Anni Quaranta con una serie di contaminazioni tra i suoi mostri più famosi, in messe in scene sempre più libere e folli come Frankenstein contro l'Uomo Lupo (1942) di Roy W. Neill e La casa degli orrori (1945) di Erle C. Kenton. Verso un horror più adulto ove prevalesse la suspense ed un orrore suggerito e raramente mostrato puntò invece Val Lewton, produttore per conto della RKO, a cui si devono capolavori quali Il bacio della pantera (1942) di Jaques Tourneur e La Iena (1945) di Robert Wire.
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, la scoperta degli orrori nei campi di concentramento tedeschi e degli esperimenti dei ‘mad doctors’ nazisti, il cinema horror operò una sorta di auto-censura che sembrò segnare la fine del genere.
La sopravvivenza fu assicurata da una piccola casa di produzione inglese la Hammer, che avvalendosi di un ristretto ma affiatato gruppo di lavoro capitanato dal regista Terence Fisher e gli attori Peter Cushing e Christopher Lee, diede origine ad un immaginario ove la continua lotta tra Bene e Male altro non era che opposizione tra cultura e natura, ordine e caos, scienza e superstizione. Tra il 1956 e il 1976, la Hammer propose sette film su Frankenstein e Dracula, quattro sulla Mummia, una sull'Uomo Lupo, due trasposizioni da Jekyll.
Per venire incontro ai grandi problemi distributivi di questi film, nel 1954 nasce l'American International Picture (AIP), per conto della quale, tra il 1960 e il 1964, Roger Corman diresse una serie di film ispirati alle opere di Edgar Allan Poe. Riciclando scenografie da altri set ed avvalendosi di una serie di collaboratori fissi, operò un profondo rinnovamento delle forme narrative e tematiche del genere, trasferendo l'orrore dalle vicende e personaggi agli ambienti ossessivamente ripresi, scrutati e sezionati; illustrazioni di un mondo subcosciente, in una raffigurazione compatta ed originale del Male: I vivi e i morti (1960), Il pozzo e il pendolo (1961), I racconti del terrore (1961), La vergine di cera (1962), La tomba di Ligeia (1964).
Con gli anni Sessanta il genere smise di essere un fenomeno legato al solo universo anglosassone, mettendo radici in Italia con opere centrate su una mostruosità originata dalla colpa, dal peccato, dalla perversione sessuale: I vampiri (1957) di Riccardo Freda, Il mulino delle donne di pietra (1960) di Ferroni, Danza macabra (1963) di Antonio Margheriti. Un genere di corto respiro che sopravisse quasi esclusivamente come sottogenere del thriller con Mario Bava (I tre volti della paura, 1963; Cinque bambole per la luna d'agosto, 1969), Dario Argento (L'uccello dalle piume di cristallo, 1970; Il gatto a nove code, 1971; Quattro mosche di velluto grigio, 1972) e Pupi Avati (La casa dalle finestre che ridono, 1976). Tra le cinematografie europee più attive nel genere, la Spagna con il sadico erotismo di Jesus Franco in Las Vampiras (1970) e Il conte Dracula (1970).
L'evoluzione del genere è sempre coinciso con momenti della storia umana caratterizzati da profondi stati di paura, incertezza e tensione ove il fantastico, il metafisico, l'immaginario, presero il sopravvento sulla realtà ordinaria.
L'espressionismo fondava le sue radici nel primo conflitto mondiale, trovando linfa vitale nella crisi gravissima che divorò la società tedesca del periodo subito successivo. La Guerra Fredda negli Anni '40/50 ispirò tutta una serie di film basati sul tema del mostro, dei mad-doctors delle invasioni extraterrestri, che andarono ad alimentare un isterismo collettivo latente con avvistamenti di dischi volanti ad ogni angolo del pianeta. Gli Anni Settanta videro una profonda crisi della società americana: il debito nazionale salì vorticosamente; l'invasione ingiustificata della Cambogia portò ad alcune tra le più intense e diffuse proteste della storia americana; le immagini dei corpi straziati dei soldati americani in Vietnam, l'uso di droghe e una crescente diserzione al suo interno, minarono la fiducia del popolo americano sull'opportunità della guerra; l'affare Watergate e le dimissioni del Presidente Nixon accentuarono un generale senso di inquietudine e spaesamento.
Da tutti questi elementi nacque il 'New American Horror', che abbandonò l'orrore suggerito e d'atmosfera a favore di una rappresentazione estrema di sangue, viscere, carni maciullate che invasero ogni angolo dell'inquadratura. La paura era ora del corpo. La società si stava spersonalizzando in cambio di una maggiore fisicità. E questa fu colpita. La carne, la "debole" carne ebbe la sua punizione.
Morti viventi, assassini, massacri, corpi feriti, squartati, deformati, violenze e sangue erano gli ingredienti della maggior parte delle produzioni degli anni Settanta ed Ottanta. Una produzione che faceva perno fondamentalmente su due concetti: il gore e lo splatter.
Il primo letterariamente "sangue" ma anche "colpire" e "incornare", finì per indicare una esasperazione della violenza, del male anarchicamente trionfante, valvola di sfogo di una generazione di spettatori insofferenti e "minati" dal radicalismo dei campi universitari. Il gore garantiva tutto ciò che prometteva: una visione maschile così eccessiva e ridondante da rovesciare lo spavento nel suo contrario sino a provocare la partecipazione tifosa della platea.
Il termine splatter nacque nel 1968 per bocca di George Romero che così definì il suo La notte dei morti viventi, dall'onomatopeico "to splatter" che definisce lo "schizzare" del sangue e di altra materia dai corpi colpiti. Sinonimo di horror estremo, aboliva ogni remora nei confronti del sesso. La vera peculiarità era l'enfatizzazione dell'erotismo macabro, del legame tra orrore e amore, tra sessualità e morte. Costante era la rappresentazione di maniaci assassini che catturavano le loro vittime, le sottoponevano a umiliazioni di ogni tipo prima di giustiziarle. Nasce la mitologia dello psicocriminale, nuovo eroe delle platee cinematografiche.
Lo spettatore splatter non guardava più i delitti dall'esterno, ma ne diveniva il protagonista. Se prima c'era l'immedesimazione tra pubblico e vittima, ora lo spettatore sposava il punto di vista del criminale, grazie ad un uso sempre più spregiudicato della soggettiva, che portò alla totale coincidenza tra occhio dell'assassino e quello della cinepresa - vedi Halloween di John Carpenter. Vero protagonista il sangue, attraverso il quale si tentò un recupero della coscienza. La fisicità era identità, era consapevolezza: "sanguino, dunque sono!" Siamo al chi mostra di più sul terreno del Corpo. È cinema in 3-D, ove le tre "d" sono quelle delle parole "disfigurement, dismemberment, disembowelment" (deformazione, smembramento, sventramento).
I suoi artefici furono un ristretto gruppo di registi regionali, fautori di pellicole dirette ad un pubblico povero, generalmente neri e contadini, con una distribuzione sul territorio americano limitata a drive-in e campus universitari.
L'horror degli anni Settanta era soprattutto una questione di vedere. Grazie alla sua collocazione settaria e ad un pubblico smaliziato, poté da una parte fare affidamento su un linguaggio cinematografico libero dalle convenzioni attraverso un audace uso della soggettiva, un intrepido impiego del montaggio con associazioni degne di certo cinema sperimentale sovietico, effetti speciali estremi e realistici ripresi in seguito dal cinema "alto"; dall'altra portò avanti un discorso di innovazione tecnologica come l'invenzione della steady-cam, la sperimentazione di nuove lenti deformanti e make-up sempre più elaborati.
Le sue storie estreme ad alto tasso di "irrealtà" - sebbene spesso ispirati da notizie o trafiletti di cronaca nera - comportavano una sorta di schermo protettivo contro l'establishment costituito dalla censura, contro il principio di realtà fondato sulla ragione - definito da Jean Schuster in Il Surrealismo e la libertà come il più compiuto tra i sistemi di oppressione del pensiero - e dalla morale puritana che impediva il trattamento di tematiche forti.
A partire da La notte dei morti viventi tutta un'ondata di film dell'orrore dilagò sullo schermo con Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper, L'ultima casa a sinistra (1972) di Wes Craven, Brood-La covata malefica (1979) di David Cronenberg e La Casa (1982) di Sam Raimi.
Questi film non racchiudevano semplicemente una finzione, ma piuttosto fornivano la cartella clinica dei diversi stati del corpo. Jean-Luc Godard sosteneva che se vi erano tanti film pornografici, la colpa era da attribuire al cinema tradizionale incapace di filmare l'amore in modo corretto limitando questa attività a un'unica parte del corpo (la metà superiore), mentre il porno aveva il dovere di rimediare a questa mancanza occupandosi esclusivamente del resto (l'altra metà, sotto la cintura). Il cinema horror sopperì alla censura che il cinema corrente operò nei confronti delle parti e delle funzioni meno nobili del corpo: insert su una bocca che mangia e vomita, piuttosto che su una che parla o bacia. Il 'New American Horror' segnò il ritorno violento e massiccio di questo rimosso. Il corpo era di nuovo un tutto, compresi gli orifizi e tutte le funzioni. Non una superficie liscia, ridotta ad immagine della sua pelle, ma uno schermo fragile sul punto di esplodere sotto la pressione del dentro, del suo volume. Gli effetti speciali lavoravano in questo senso: fissare sulla pellicola lo spettacolo di un processo di decomposizione, il suo divenire cadavere, restituirlo sullo schermo in modo realista, verista (l'impressione di realtà). La ricerca dell'effetto e della verosimiglianza ripugnante provocò la richiesta di professionisti del trucco, sciamani del make-up, gente che poteva autorizzare ogni autore a spingersi verso il sempre più sconvolgente, l'iperrealismo. Il corpo non era più la carne viva, ma il suo contrario, la carne macellata, cioè la carne privata di desiderio. Il modello era la macelleria. All'ultimo orizzonte di questo voyeurismo morboso si profilava l'olocausto: il cinema dell'orrore era l'operazione che perpetuamente e sinistramente rimetteva in scena l'immaginario dei campi e dei carnai. L'horror ebbe il coraggio e la forza di guardare bene laddove prima c'era solo foschia e tenebra, all'interno di una società intrisa di violenza, morte e brutalità insensata. Su queste basi si è fondato e generato il cinema horror contemporaneo, che ancora oggi colora di rosso emoglubinico gli schermi di tutto il mondo.