anno 1
numero 1
maggio 2004

Ritmi Urbani

[alessandro antonelli]

Analisi e riflessioni sulla nuova legge sul cinema varata dal Ministro On. Giuliano Urbani

Che la televisione italiana avesse perduto l'anima, giocata male a carte col business più eretico o venduta al peggior diavolo mediatico è una cosa risaputa. Oramai il piccolo schermo è un riflesso sporco e torbido di una società alla deriva o semplicemente troppo

poco interessata a pensare o ad avviare una profonda chiacchierata con la propria coscienza. Pensare può essere scomodo. Ma necessario. La fiction televisiva o il quiz dalle cento domande sono gli ansiolitici del nuovo millennio. Stordiscono come il miglior valium, causano delirio peggio della morfina. È indubbio che qualità e intelligenza non siano sostantivi che appartengono allo schermo domestico. È il volere degli sponsor e dei budget pubblicitari, dell'audience e della massa mediostolta. È che spesso siamo quel che abbiamo, e spesso non abbiamo molto. Mi fermo qua, col rischio di diventare altrimenti pedante e qualunquista. Torneremo apocalittici quanto prima.
Intanto, una delle poche dimensioni che ci salva ancora occhi, cuore e cervello, che dà ossigeno ai nostri polmoni ossidati dal "via cavo" è il cinema. Il "grande fratello" mediatico tanto per rimanere in tema. Sempre affascinante perché sfugge a qualsiasi regola pragmatica, ci mette costantemente alla prova, riesce ancora a sorprenderci. Resta fertile e propositivo nonostante le ciniche leggi di mercato che le Majors impongono. Il cinema al contrario della televisione ha più coraggio, è titanico per certi aspetti. Resiste e non è poco. Ma anche questo feudo magico rischia la contaminazione con "virus da tubo catodico" col rischio imminente di una lunga quarantena. Mi spiego meglio.
Nel gennaio scorso il Governo ha approvato il decreto legge sul cinema del Ministro per i Beni e le Attività Culturali Giuliano Urbani, dando praticamente un colpo di spugna alla precedente legge vigente e cambiando i parametri di assegnamento dei fondi cinematografici. Cambiare non vuol certo dire peggiorare, assolutamente, dipende dalle varianti apportate. La nuova linea sussurrata è quella di un'industria cinematografica per pochi e facoltosi eletti. Di questo va preso atto. Negli ultimi 7 anni lo Stato ha stanziato e distribuito al cinema italiano circa 420 milioni di euro. Le sale cinematografiche sono più che triplicate e il cinema ha ripreso colore dopo un periodo di visibile anemia. Nonostante l'abbondanza di mezzi economici e la buona volontà, quello dell'Italia rimane tra i più bassi budget d'Europa.
Il Ministro Urbani ha inoltre attuato un deciso impegno contro la pirateria informatica, garantendo sanzioni anche a chi farà utilizzo domestico di materiali audio-video, scaricati o comunque non originali.
Ecco in breve i cambiamenti più importanti introdotti col nuovo ordinamento:

1. Il decreto poggia sul concetto del Reference System, ovvero otterranno contributi statali coloro che presenteranno un brillante curriculum, mostrando risultati ottenuti in passato, sia degli attori, del cast tecnico o del regista.

2. Nella legge si fa riferimento a "capacità commerciale dimostrata".

3. Vengono eliminate le due precedenti commissioni di delibera, rimpiazzate da un nuovo organismo decisionale ancora non definito (Cinecittà Holding?).

4. La capacità dei fondi a copertura di un progetto filmico non oserà mai oltre il 50% (solo in alcuni casi). Il vecchio ordinamento prevedeva covering anche fino al 90%.

5. Viene abolito il divieto di riprendere marchi commerciali nei lungometraggi.

Il cinema italiano, come del resto il teatro, è malato di assistenzialismo. Fin qui tutti d'accordo. L'autogestione finanziaria attraverso una procedura di svezzamento credo sia in qualche modo necessaria. Decidere i dosaggi sarà la vera questione.
Urbani non è nuovo però a questo tipo di strategie. Negli ultimi anni ha "delegato" a terzi, affidando la gestione delle opere d'arte demaniali e dei beni culturali pubblici a privati, muovendo competenze e responsabilità. Negli Stati Uniti questo criterio è già attivo da parecchio tempo. Dobbiamo sicuramente entrare nell'ordine di idee che tutto volga verso un processo di imprenditorializzazione e visione autosufficiente.
La nuova legge, attualmente al setaccio dell'Antitrust, rischia però di far sparire produttori ed autori emergenti, che non potrebbero contare su di un curriculum all'altezza delle richieste. Lo slancio commerciale di questa nuova era fa presagire che i grandi saranno più grandi ed i piccoli sempre più piccoli, premiando progetti ad alta visibilità e dunque con una logica lucrativa, col rischio di far aumentare il divario tra spettatori e film d'interesse socioartistico. Autori prima liberi di esprimersi senza parametri monetari potrebbero far poesia artificiale, trovandosi a far rime con cassa e botteghino per sopravvivere. Affidabilità finanziaria e strategie di marketing sono ombre lunghe a discapito di originalità e intento culturale. Le acque si dividono e i pareri sono molteplici.
La questione dei marchi pubblicitari potrebbe aprire a nuove fonti di finanziamento, senza abusarne, senza ritrovarsi tra le mani "film pubblicitari". Negli anni passati molti dei progetti finanziati non sono stati nemmeno distribuiti o addirittura mai realizzati con una conseguente dispersione di fondi utili. Un criterio mirato nelle scelte e nella valutazione è d'obbligo per garantire un futuro migliore alla qualità del panorama filmico. Staremo a vedere.
Ma se ormai la televisione sembra diventata un gigantesco e infertile Costanzo Show, che ci obbliga a guardare lo schermo con la mascherina chirurgica per non incorrere in contaminazioni, che almeno si salvi il cinema. Che si getti al volo su di una scialuppa se servirà. Il salvagente potrebbe prendere il nome di "coproduzione straniera": una delle soluzioni possibili ad un'eventuale serrata casalinga potrebbe essere infatti la riscoperta di collaborazioni con alleati europei. All'estero ultimamente sono stati rivalutati e hanno avuto spazio autori che il nostro paese ha letteralmente snobbato e che con la nuova legge rischiano di scomparire. L'ultimo caso è quello di Davide Ferrario con il suo ultimo lavoro Dopo mezzanotte, riconosciuto in Francia, Germania, Stati Uniti e solo successivamente preso in considerazione dai nostri addetti ai lavori. Indigeni. In tutti i sensi.
I film italiani "colti" sono poco visti in patria ma nonostante ciò apprezzati e rispettati ovunque oltreconfine. Presto Produzione e Distribuzione potrebbero diventare una cosa sola, un percorso a 360° per imprese ed istituti cinematografici, una sinergia per reggere il confronto. Per stare a galla.

"Scaldati in casa davanti al tuo televisore, la verità della tua mentalità è che la fiction sia meglio della vita reale…" gorgheggia una delle ultime canzoni di Caparezza.
Anche la musica si schiera. Bene, servono alleati. Amici. L'artificio dev'essere debellato prima che la peste catodica faccia l'ecatombe.
Emergono quesiti. Visto che la pochezza della tv è nata dal confronto/conflitto commerciale tra Rai e Mediaset, il cinema s'infeltrirà allo stesso modo con la nuova legge? Il piccolo schermo ha possibilità di redenzione?
Non so. Forse con le Pay-Tv c'è ancora una luce in fondo al tunnel. Il grande schermo, ne sono certo, si salverà. Non vogliamo ritrovarci ad essere una loggia massonica della cellulosa, dei carbonari sotterranei incalliti intenti nella lotta persistente contro il
"film system" imposto dalle leggi di mercato. Tutto ciò non è destra e non è sinistra. È una libera presa di coscienza. Un' autostima intellettuale.
Prima che il video, grande o piccolo che sia, ci lobotomizzi e ci usi come testimonial per lo spot dell'ultima versione di un farmaco alla moda, penso sia giusto guardarci intorno. È un nostro diritto. Ci va di mezzo la nostra dignità, la nostra storia. Che i nostri figli non vedano mai questi orrori è un nostro compito.