poco interessata a pensare o
ad avviare una profonda chiacchierata con la propria coscienza.
Pensare può essere scomodo. Ma necessario. La fiction
televisiva o il quiz dalle cento domande sono gli ansiolitici
del nuovo millennio. Stordiscono come il miglior valium, causano
delirio peggio della morfina. È indubbio che qualità
e intelligenza non siano sostantivi che appartengono allo schermo
domestico. È il volere degli sponsor e dei budget pubblicitari,
dell'audience e della massa mediostolta. È che spesso
siamo quel che abbiamo, e spesso non abbiamo molto. Mi fermo
qua, col rischio di diventare altrimenti pedante e qualunquista.
Torneremo apocalittici quanto prima.
Intanto, una delle poche dimensioni che ci salva ancora occhi,
cuore e cervello, che dà ossigeno ai nostri polmoni ossidati
dal "via cavo" è il cinema. Il "grande
fratello" mediatico tanto per rimanere in tema. Sempre
affascinante perché sfugge a qualsiasi regola pragmatica,
ci mette costantemente alla prova, riesce ancora a sorprenderci.
Resta fertile e propositivo nonostante le ciniche leggi di mercato
che le Majors impongono. Il cinema al contrario della televisione
ha più coraggio, è titanico per certi aspetti.
Resiste e non è poco. Ma anche questo feudo magico rischia
la contaminazione con "virus da tubo catodico" col
rischio imminente di una lunga quarantena. Mi spiego meglio.
Nel gennaio scorso il Governo ha approvato il decreto legge
sul cinema del Ministro per i Beni e le Attività Culturali
Giuliano Urbani, dando praticamente un colpo di spugna alla
precedente legge vigente e cambiando i parametri di assegnamento
dei fondi cinematografici. Cambiare non vuol certo dire peggiorare,
assolutamente, dipende dalle varianti apportate. La nuova linea
sussurrata è quella di un'industria cinematografica per
pochi e facoltosi eletti. Di questo va preso atto. Negli ultimi
7 anni lo Stato ha stanziato e distribuito al cinema italiano
circa 420 milioni di euro. Le sale cinematografiche sono più
che triplicate e il cinema ha ripreso colore dopo un periodo
di visibile anemia. Nonostante l'abbondanza di mezzi economici
e la buona volontà, quello dell'Italia rimane tra i più
bassi budget d'Europa.
Il Ministro Urbani ha inoltre attuato un deciso impegno contro
la pirateria informatica, garantendo sanzioni anche a chi farà
utilizzo domestico di materiali audio-video, scaricati o comunque
non originali.
Ecco in breve i cambiamenti più importanti introdotti
col nuovo ordinamento:
1.
Il decreto poggia sul concetto del Reference System, ovvero
otterranno contributi statali coloro che presenteranno un
brillante curriculum, mostrando risultati ottenuti in passato,
sia degli attori, del cast tecnico o del regista.
2.
Nella legge si fa riferimento a "capacità commerciale
dimostrata".
3.
Vengono eliminate le due precedenti commissioni di delibera,
rimpiazzate da un nuovo organismo decisionale ancora non definito
(Cinecittà Holding?).
4.
La capacità dei fondi a copertura di un progetto filmico
non oserà mai oltre il 50% (solo in alcuni casi). Il
vecchio ordinamento prevedeva covering anche fino al 90%.
5.
Viene abolito il divieto di riprendere marchi commerciali
nei lungometraggi.
Il
cinema italiano, come del resto il teatro, è malato
di assistenzialismo. Fin qui tutti d'accordo. L'autogestione
finanziaria attraverso una procedura di svezzamento credo
sia in qualche modo necessaria. Decidere i dosaggi sarà
la vera questione.
Urbani non è nuovo però a questo tipo di strategie.
Negli ultimi anni ha "delegato" a terzi, affidando
la gestione delle opere d'arte demaniali e dei beni culturali
pubblici a privati, muovendo competenze e responsabilità.
Negli Stati Uniti questo criterio è già attivo
da parecchio tempo. Dobbiamo sicuramente entrare nell'ordine
di idee che tutto volga verso un processo di imprenditorializzazione
e visione autosufficiente.
La nuova legge, attualmente al setaccio dell'Antitrust, rischia
però di far sparire produttori ed autori emergenti,
che non potrebbero contare su di un curriculum all'altezza
delle richieste. Lo slancio commerciale di questa nuova era
fa presagire che i grandi saranno più grandi ed i piccoli
sempre più piccoli, premiando progetti ad alta visibilità
e dunque con una logica lucrativa, col rischio di far aumentare
il divario tra spettatori e film d'interesse socioartistico.
Autori prima liberi di esprimersi senza parametri monetari
potrebbero far poesia artificiale, trovandosi a far rime con
cassa e botteghino per sopravvivere. Affidabilità finanziaria
e strategie di marketing sono ombre lunghe a discapito di
originalità e intento culturale. Le acque si dividono
e i pareri sono molteplici.
La questione dei marchi pubblicitari potrebbe aprire a nuove
fonti di finanziamento, senza abusarne, senza ritrovarsi tra
le mani "film pubblicitari". Negli anni passati
molti dei progetti finanziati non sono stati nemmeno distribuiti
o addirittura mai realizzati con una conseguente dispersione
di fondi utili. Un criterio mirato nelle scelte e nella valutazione
è d'obbligo per garantire un futuro migliore alla qualità
del panorama filmico. Staremo a vedere.
Ma se ormai la televisione sembra diventata un gigantesco
e infertile Costanzo Show, che ci obbliga a guardare lo schermo
con la mascherina chirurgica per non incorrere in contaminazioni,
che almeno si salvi il cinema. Che si getti al volo su di
una scialuppa se servirà. Il salvagente potrebbe prendere
il nome di "coproduzione straniera": una delle soluzioni
possibili ad un'eventuale serrata casalinga potrebbe essere
infatti la riscoperta di collaborazioni con alleati europei.
All'estero ultimamente sono stati rivalutati e hanno avuto
spazio autori che il nostro paese ha letteralmente snobbato
e che con la nuova legge rischiano di scomparire. L'ultimo
caso è quello di Davide Ferrario con il suo ultimo
lavoro Dopo mezzanotte, riconosciuto in Francia, Germania,
Stati Uniti e solo successivamente preso in considerazione
dai nostri addetti ai lavori. Indigeni. In tutti i sensi.
I film italiani "colti" sono poco visti in patria
ma nonostante ciò apprezzati e rispettati ovunque oltreconfine.
Presto Produzione e Distribuzione potrebbero diventare una
cosa sola, un percorso a 360° per imprese ed istituti
cinematografici, una sinergia per reggere il confronto. Per
stare a galla.
"Scaldati
in casa davanti al tuo televisore, la verità della
tua mentalità è che la fiction sia meglio della
vita reale…" gorgheggia una delle ultime canzoni
di Caparezza.
Anche la musica si schiera. Bene, servono alleati. Amici.
L'artificio dev'essere debellato prima che la peste catodica
faccia l'ecatombe.
Emergono quesiti. Visto che la pochezza della tv è
nata dal confronto/conflitto commerciale tra Rai e Mediaset,
il cinema s'infeltrirà allo stesso modo con la nuova
legge? Il piccolo schermo ha possibilità di redenzione?
Non so. Forse con le Pay-Tv c'è ancora una luce in
fondo al tunnel. Il grande schermo, ne sono certo, si salverà.
Non vogliamo ritrovarci ad essere una loggia massonica della
cellulosa, dei carbonari sotterranei incalliti intenti nella
lotta persistente contro il "film
system" imposto dalle leggi di mercato. Tutto ciò
non è destra e non è sinistra. È una
libera presa di coscienza. Un' autostima intellettuale.
Prima che il video, grande o piccolo che sia, ci lobotomizzi
e ci usi come testimonial per lo spot dell'ultima versione
di un farmaco alla moda, penso sia giusto guardarci intorno.
È un nostro diritto. Ci va di mezzo la nostra dignità,
la nostra storia. Che i nostri figli non vedano mai questi
orrori è un nostro compito.