anno 1
numero 1
maggio 2004

La Passione secondo... Mel

[matteo lenzi, simone pacini]

Gesù, solo con se stesso, abbandonato idealmente anche dai suoi discepoli che non hanno saputo vincere il sonno, prega nell'orto di Getsemani. Chiede al padre se è veramente quella la sua volontà, se fino in fondo deve bere il calice. In un momento di autentica umanità si chiede se non è già abbastanza quello che ha fatto. E Satana, da par suo, cerca di approfittare del momento. Comincia così, e non poteva essere altrimenti, un film maestoso, commovente, di una violenza quasi insostenibile (ma qualcuno ha il dubbio che Gesù sia stato frustato con misericordia?), che ci racconta con estrema precisione le ultime ore di vita di Cristo. Prima di parlare del film in sé, non posso

fare a meno di togliermi alcuni sassolini dalla scarpa, so che non si dovrebbe fare, bensì tirare dritti per la propria strada. D'altra parte con i sassi nelle scarpe si cammina male.
L'antisemitismo: una bella parola, adatta per tutte le occasioni, che riempie la bocca e riesce magicamente a indurre sensi di colpa a profusione anche in mancanza di elementi probanti (un po' come "comunista"). È antisemita proporre fedelmente (nei limiti del possibile) una storia raccontata da quattro ebrei, su un ebreo che (guarda caso) si trovava in mezzo a degli ebrei? Può essere antisemita il racconto di fatti avvenuti 2000 anni fa, che dipinga le genti del periodo? Scusate, ma Schindler's List è antitedesco?
I precedenti: accostare questo film alle opere di Pasolini e Scorsese (e a tutte le altre) ha un senso solo se non vogliamo ad ogni costo cercare un intento comune agli autori, per poi concludere che "…Il Cristo di Pasolini è letteratura che si affaccia al cinema, quello di Gibson è immagine cinematografica…", "…Pasolini è semplice e poetico…". Dov'è lo scandalo? Casomai si può obiettare che la letteratura può anche ingerire nel cinema, ma (Godard docet) "il cinema è il cinema". Gibson ci dà la sua visione e persegue il suo intento, solo in questo merito ci è dato giudicarlo.
La violenza: la mia idea della violenza nel cinema è che sia gratuita quando è inutile, fine a se stessa, puro esibizionismo. Il film, purtroppo, non si intitola Colazione sull'erba, ma La passione di Cristo. Penso che ai Cristiani abbia sempre fatto comodo pensare alla Passione come ad una specie di rituale pro forma, un evento che, sì, c'è stato, ma perché così era scritto, come se questo abbia potuto addolcire le frustate, o impedire ai Romani di usare il Gatto-a-Nove-Code; l'hanno usato, non temete, e credo anche con il compiacimento che traspare nel film. È vero, ci sono molti modi di rappresentare la violenza: si chiamano scelte stilistiche. Ma non è detto che l'ellissi o la stilizzazione siano a priori migliori del realismo, dipende solo dall'uso che se ne fa (ho avuto modo di vedere molto bene da vicino sia il sangue che il ketchup, e qualche critico dovrebbe fare altrettanto prima di sbilanciarsi). Penso che scandalizzarsi per la violenza in questo film equivalga ad avere qualche discorso in sospeso con la propria coscienza.
Tornando alla pellicola, l'inizio nel Getsemani, secondo la lettura che ne ho dato, era inevitabile; si parla di un uomo, o dell'Uomo, che si pone la domanda più importante: "È questo che devo fare? Avrò la forza di farlo?" Il Getsemani è il punto in cui la debolezza umana entra in conflitto con il compito sovrumano assegnato a Cristo; rappresenta il momento in cui ognuno viene posto di fronte alle proprie responsabilità, in cui si deve scegliere fra ciò che è veramente giusto e ciò che vorremmo noi. In questa scelta Gibson è rimasto coerente con il tema a lui più caro: William Wallace non è posto di fronte ad una scelta simile? Anche il protagonista de L'uomo senza volto non è una persona che ha accettato l'isolamento e il disprezzo della comunità, per conservare quel nucleo di coerenza e dignità che solo ci fa essere veramente uomini? Uno dei punti focali del film, è il confronto fra Cristo e Pilato. Pilato non ha niente di particolarmente cattivo; si può dire che, anche fisicamente, si avvicini al prototipo della persona normale. Vede l'ingiustizia di quello che sta accadendo, la giudica con sufficiente lucidità ma ha paura delle conseguenze di ciò che deciderà: Pilato potremmo essere noi. Chiede alla moglie qual è la verità, ma lo fa per mancanza di coraggio, per l'estremo tentativo di demandare ad altri le proprie decisioni. Non ha la grandiosa, tragica malafede di un Giuda, che Gibson immagina perseguitato, in un assedio allucinatorio, dai propri demoni e (unico assieme a Cristo) dalla visione di Satana. Si pone idealmente fra i due, e decide di non decidere.
Nella propria radicale scelta, Cristo affronta una sfida forse più dolorosa delle torture stesse: i ricordi. Il passato, quando era protetto dalla madre per ogni minimo contrattempo, quando era fra i suoi amici, col suo onesto lavoro, quando ancora non era stato costretto a scegliere. Salendo per il Calvario si rende conto di tutto ciò che lascia, ed è questo a rendere tutto più terribile e straziante. E Satana resta in attesa, in attesa che tutto venga vanificato da un cedimento, che paura e debolezza prevalgano sulla volontà. La scelta di inframmezzare momenti del passato di Gesù, lungi dall'essere gratuita, amplifica molto efficacemente l'idea di base: Cristo non è solo un'icona, una figura astratta, ma qualcuno che soffre, che lascia qualcosa (l'ambiguità semantica di questa espressione riassume in un certo senso la sua condizione).
L'universalità, che permette anche a chi non sia credente di trarre un senso da questa vicenda, è una delle caratteristiche più importanti del film. È la caratteristica delle opere di spessore. Come spesso succede nelle opere d'arte, forse questo risultato va oltre le intenzioni stesse del regista, forse è stata tanta la "passione" che vi ha profuso, da contagiare persino chi non è altrettanto credente. Gibson non viaggia nella stessa direzione di Pasolini, ma questo non vuol dire che "…quello che Bush fa con le bombe, Gibson vuol fare con la macchina da presa". Non si cura della punizione dei nemici (omettere riferimenti a ritorsioni divine nei confronti degli ebrei e non omettere "amate i vostri nemici" mi sembra già una presa di posizione in questo senso, se poi si vogliono imbastire processi alle intenzioni, si può fare facilmente, sempre e con qualsiasi pretesto) piuttosto descrive con sincera partecipazione un percorso fatto di coraggio e "passione" (parola che tende a ricorrere spesso, nei suoi significati più disparati!). La pervasiva tendenza a interpretare tutto in chiave "post 11 Settembre" ha colpito anche un'opera che il suo autore inseguiva da ben 13 anni!
La scelta degli interpreti si è rivelata azzeccata: su tutti l'interpretazione di Maia Morgenstern (Maria), attrice rumena poco conosciuta dal grande pubblico (ma molto apprezzata in patria), che ci regala attimi di intensità sorprendente, uno sguardo pieno di sofferenza e amore difficile da dimenticare. Gibson riesce nel "miracolo" di rendere credibile la recitazione di Monica Bellucci (Maddalena), mentre Jim Caveziel (Gesù) ha il difficile compito che si è sempre prospettato a chiunque abbia interpretato questo ruolo, riuscendo ad essere abbastanza "uomo" da renderci partecipi della sua sofferenza e altrettanto "icona" da suggerirci la sua diversità. Geniale e suggestiva la scelta di mantenere gli idiomi del tempo come l'aramaico, il greco e il latino; un impasto di suoni che amplifica il già notevole coinvolgimento emotivo delle immagini.
Alla fine di tutto si possono perdonare forse anche i particolari grandguignoleschi inseriti da Gibson: il corvo che strappa l'occhio del ladrone non pentito (a significare forse la punizione per chi non ha voluto vedere fino alla fine la verità che aveva a portata di mano), il terremoto che distrugge letteralmente il tempio, anziché squarciarne il velo. Particolari che tra l'altro non stonano con l'insieme (unica eccezione, forse, la goccia di pioggia finale in stile Sam Raimi che dà inizio alla bufera sul Golgota; un fish-eye che si allontana, rappresentando probabilmente lo sguardo di Dio che si tramuta in pianto).
Gli "inserti apocrifi", invece, mi sono sembrati intelligenti, come i frammenti del passato di Gesù. La presenza fisica di Satana (mirabile Rosalinda Celentano) evidenzia la costante presenza del Male, che al contrario del Bene si palesa in modo più fisico e accessibile ma alla fine dei conti non più reale; basta l'inquadratura finale del film a spazzare via ogni dubbio.
Un'ultima considerazione sull'accusa più grave che è stata mossa: la mancanza di vera spiritualità. Mi chiedo, ripeto, in cosa veramente consista la spiritualità. Un uomo che affronta i suoi demoni (reali o ideali), che considera il senso del suo agire, che soffre per ciò che perde ma non tradisce se stesso, è un uomo spirituale. Qualunque sia il suo nome. In qualsiasi cosa creda. E penso sia difficile, se non si parte prevenuti, non rintracciare questa tensione nel film. [m.l.]

Mel Gibson si confronta con la storia di tutte le storie, sulla scia di illustri predecessori, tra cui Dreyer (Jesus, un film pensato ma mai realizzato), Pasolini e Scorsese. Lo fa affidandosi ad uno stile pulp "tarantiniano" alla moda che mette in scena tutto lo strazio fisico della passione di Gesù, identificandolo con lo strazio di un Occidente impaurito e soffocato da guerre e terrorismi.
Lasciando da parte i perchè di questo film, le accuse di antisemitismo e la grande operazione di marketing che ci girano intorno e concentrandosi sull'opera pura e semplice, La Passione di Cristo è un film che coinvolge e disturba, ammutolisce e infastidisce, mettendo lo spettatore davanti ad una storia che mai era stata narrata così atroce, sanguinosa, cattiva. Con citazioni filmiche (il Satana donna, interpretato da Rosalinda Celentano, strizza l'occhio a Il settimo sigillo di Bergman) e artistiche (immagini che riecheggiano i quadri di Caravaggio e Rembrandt), il regista fa un grande affresco dell'epopea cristiana e lo fa attraverso il dolore fisico di Gesù e mentale della Madonna (la sconosciuta Maia Morgesten). I ritratti delle donne (Monica Bellucci nel ruolo di Maria Maddalena, Claudia Gerini in quello della moglie di Ponzio Pilato, Sabrina Impacciatore come Veronica) e della loro disperazione sono il motivo più alto del film davanti alla poco espressiva prova del bel Cristo Jim Caviezel.
Bella e intensa la colonna sonora, spettacolari i dialoghi in aramaico e in latino. Discutibili alcuni piccoli dettagli da horror-fantasy movie (come la lacrima di Dio/goccia di pioggia, il corvo che mangia la testa di uno dei ladri crocifissi e il sangue che spilla a mo' di birra alla spina dal costato di Gesù).
Parlando invece dei perchè di questo film, a metà tra lo spaghetti western e Braveheart, avanzo l'idea che spendere 25 milioni di dollari per un film di propaganda politica post 11 Settembre sia forse eccessivo (citando Zucconi: "Quello che Bush fa con le bombe, Gibson vuol fare con la macchina da presa, propagandare, conquistare, salvare. Questo è il senso di un film che sarebbe altrimenti inutile"... ma anche questo è eccessivo!). Gibson si schiera apertamente per la fede cattolica in un periodo di tensioni fra i "buoni" e i "cattivi". È un film che parla del bene e del male, grazie Mel per averci ricordato da che parte sta il bene (!?), ma con un regia priva di idee realmente geniali (a parte alcuni campi lunghi della provincia di Matera e alcune belle inquadrature delle nuvole in cielo) che tralascia il lato poetico e profondamente intimo della vita di Gesù (non bastano i flashback di ciò che ha fatto in vita, seppur adatti a spezzare tanta crudeltà), enfatizzando il lato fisico delle ultime 12 ore di vita del suo corpo.
Un'ultima nota positiva sulla scelta di non tagliare alcune scene del film nelle sale. Un film integralista, poco poetico, ma che nonostante tutto arriva al cuore e allo stomaco ed è assolutamente da vedere e su cui riflettere. [s.p.]