La
Passione secondo... Mel
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[matteo
lenzi, simone pacini] |
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Gesù,
solo con se stesso, abbandonato idealmente anche dai
suoi discepoli che non hanno saputo vincere il sonno,
prega nell'orto di Getsemani. Chiede al padre se è
veramente quella la sua volontà, se fino in fondo
deve bere il calice. In un momento di autentica umanità
si chiede se non è già abbastanza quello
che ha fatto. E Satana, da par suo, cerca di approfittare
del momento. Comincia così, e non poteva essere
altrimenti, un film maestoso, commovente, di una violenza
quasi insostenibile (ma qualcuno ha il dubbio che Gesù
sia stato frustato con misericordia?), che ci racconta
con estrema precisione le ultime ore di vita di Cristo.
Prima di parlare del film in sé, non posso
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fare
a meno di togliermi alcuni sassolini dalla scarpa, so che
non si dovrebbe fare, bensì tirare dritti per la propria
strada. D'altra parte con i sassi nelle scarpe si cammina
male.
L'antisemitismo: una bella parola, adatta per tutte le occasioni,
che riempie la bocca e riesce magicamente a indurre sensi
di colpa a profusione anche in mancanza di elementi probanti
(un po' come "comunista"). È antisemita proporre
fedelmente (nei limiti del possibile) una storia raccontata
da quattro ebrei, su un ebreo che (guarda caso) si trovava
in mezzo a degli ebrei? Può essere antisemita il racconto
di fatti avvenuti 2000 anni fa, che dipinga le genti del periodo?
Scusate, ma Schindler's List è antitedesco?
I precedenti: accostare questo film alle opere di Pasolini
e Scorsese (e a tutte le altre) ha un senso solo se non vogliamo
ad ogni costo cercare un intento comune agli autori, per poi
concludere che "…Il Cristo di Pasolini è
letteratura che si affaccia al cinema, quello di Gibson è
immagine cinematografica…", "…Pasolini
è semplice e poetico…". Dov'è lo
scandalo? Casomai si può obiettare che la letteratura
può anche ingerire nel cinema, ma (Godard docet) "il
cinema è il cinema". Gibson ci dà la sua
visione e persegue il suo intento, solo in questo merito ci
è dato giudicarlo.
La violenza: la mia idea della violenza nel cinema è
che sia gratuita quando è inutile, fine a se stessa,
puro esibizionismo. Il film, purtroppo, non si intitola Colazione
sull'erba, ma La passione di
Cristo. Penso che ai Cristiani abbia sempre fatto comodo
pensare alla Passione come ad una specie di rituale pro forma,
un evento che, sì, c'è stato, ma perché
così era scritto, come se questo abbia potuto addolcire
le frustate, o impedire ai Romani di usare il Gatto-a-Nove-Code;
l'hanno usato, non temete, e credo anche con il compiacimento
che traspare nel film. È vero, ci sono molti modi di
rappresentare la violenza: si chiamano scelte stilistiche.
Ma non è detto che l'ellissi o la stilizzazione siano
a priori migliori del realismo, dipende solo dall'uso che
se ne fa (ho avuto modo di vedere molto bene da vicino sia
il sangue che il ketchup, e qualche critico dovrebbe fare
altrettanto prima di sbilanciarsi). Penso che scandalizzarsi
per la violenza in questo film equivalga ad avere qualche
discorso in sospeso con la propria coscienza.
Tornando alla pellicola, l'inizio nel Getsemani, secondo la
lettura che ne ho dato, era inevitabile; si parla di un uomo,
o dell'Uomo, che si pone la domanda più importante:
"È questo che devo fare? Avrò la forza
di farlo?" Il Getsemani è il punto in cui la debolezza
umana entra in conflitto con il compito sovrumano assegnato
a Cristo; rappresenta il momento in cui ognuno viene posto
di fronte alle proprie responsabilità, in cui si deve
scegliere fra ciò che è veramente giusto e ciò
che vorremmo noi. In questa scelta Gibson è rimasto
coerente con il tema a lui più caro: William Wallace
non è posto di fronte ad una scelta simile? Anche il
protagonista de L'uomo senza volto
non è una persona che ha accettato l'isolamento e il
disprezzo della comunità, per conservare quel nucleo
di coerenza e dignità che solo ci fa essere veramente
uomini? Uno dei punti focali del film, è il confronto
fra Cristo e Pilato. Pilato non ha niente di particolarmente
cattivo; si può dire che, anche fisicamente, si avvicini
al prototipo della persona normale. Vede l'ingiustizia di
quello che sta accadendo, la giudica con sufficiente lucidità
ma ha paura delle conseguenze di ciò che deciderà:
Pilato potremmo essere noi. Chiede alla moglie qual è
la verità, ma lo fa per mancanza di coraggio, per l'estremo
tentativo di demandare ad altri le proprie decisioni. Non
ha la grandiosa, tragica malafede di un Giuda, che Gibson
immagina perseguitato, in un assedio allucinatorio, dai propri
demoni e (unico assieme a Cristo) dalla visione di Satana.
Si pone idealmente fra i due, e decide di non decidere.
Nella propria radicale scelta, Cristo affronta una sfida forse
più dolorosa delle torture stesse: i ricordi. Il passato,
quando era protetto dalla madre per ogni minimo contrattempo,
quando era fra i suoi amici, col suo onesto lavoro, quando
ancora non era stato costretto a scegliere. Salendo per il
Calvario si rende conto di tutto ciò che lascia, ed
è questo a rendere tutto più terribile e straziante.
E Satana resta in attesa, in attesa che tutto venga vanificato
da un cedimento, che paura e debolezza prevalgano sulla volontà.
La scelta di inframmezzare momenti del passato di Gesù,
lungi dall'essere gratuita, amplifica molto efficacemente
l'idea di base: Cristo non è solo un'icona, una figura
astratta, ma qualcuno che soffre, che lascia qualcosa (l'ambiguità
semantica di questa espressione riassume in un certo senso
la sua condizione).
L'universalità, che permette anche a chi non sia credente
di trarre un senso da questa vicenda, è una delle caratteristiche
più importanti del film. È la caratteristica
delle opere di spessore. Come spesso succede nelle opere d'arte,
forse questo risultato va oltre le intenzioni stesse del regista,
forse è stata tanta la "passione" che vi
ha profuso, da contagiare persino chi non è altrettanto
credente. Gibson non viaggia nella stessa direzione di Pasolini,
ma questo non vuol dire che "…quello che Bush fa
con le bombe, Gibson vuol fare con la macchina da presa".
Non si cura della punizione dei nemici (omettere riferimenti
a ritorsioni divine nei confronti degli ebrei e non omettere
"amate i vostri nemici" mi sembra già una
presa di posizione in questo senso, se poi si vogliono imbastire
processi alle intenzioni, si può fare facilmente, sempre
e con qualsiasi pretesto) piuttosto descrive con sincera partecipazione
un percorso fatto di coraggio e "passione" (parola
che tende a ricorrere spesso, nei suoi significati più
disparati!). La pervasiva tendenza a interpretare tutto in
chiave "post 11 Settembre" ha colpito anche un'opera
che il suo autore inseguiva da ben 13 anni!
La scelta degli interpreti si è rivelata azzeccata:
su tutti l'interpretazione di Maia Morgenstern (Maria), attrice
rumena poco conosciuta dal grande pubblico (ma molto apprezzata
in patria), che ci regala attimi di intensità sorprendente,
uno sguardo pieno di sofferenza e amore difficile da dimenticare.
Gibson riesce nel "miracolo" di rendere credibile
la recitazione di Monica Bellucci (Maddalena), mentre Jim
Caveziel (Gesù) ha il difficile compito che si è
sempre prospettato a chiunque abbia interpretato questo ruolo,
riuscendo ad essere abbastanza "uomo" da renderci
partecipi della sua sofferenza e altrettanto "icona"
da suggerirci la sua diversità. Geniale e suggestiva
la scelta di mantenere gli idiomi del tempo come l'aramaico,
il greco e il latino; un impasto di suoni che amplifica il
già notevole coinvolgimento emotivo delle immagini.
Alla fine di tutto si possono perdonare forse anche i particolari
grandguignoleschi inseriti da Gibson: il corvo che strappa
l'occhio del ladrone non pentito (a significare forse la punizione
per chi non ha voluto vedere fino alla fine la verità
che aveva a portata di mano), il terremoto che distrugge letteralmente
il tempio, anziché squarciarne il velo. Particolari
che tra l'altro non stonano con l'insieme (unica eccezione,
forse, la goccia di pioggia finale in stile Sam Raimi che
dà inizio alla bufera sul Golgota; un fish-eye che
si allontana, rappresentando probabilmente lo sguardo di Dio
che si tramuta in pianto).
Gli "inserti apocrifi", invece, mi sono sembrati
intelligenti, come i frammenti del passato di Gesù.
La presenza fisica di Satana (mirabile Rosalinda Celentano)
evidenzia la costante presenza del Male, che al contrario
del Bene si palesa in modo più fisico e accessibile
ma alla fine dei conti non più reale; basta l'inquadratura
finale del film a spazzare via ogni dubbio.
Un'ultima considerazione sull'accusa più grave che
è stata mossa: la mancanza di vera spiritualità.
Mi chiedo, ripeto, in cosa veramente consista la spiritualità.
Un uomo che affronta i suoi demoni (reali o ideali), che considera
il senso del suo agire, che soffre per ciò che perde
ma non tradisce se stesso, è un uomo spirituale. Qualunque
sia il suo nome. In qualsiasi cosa creda. E penso sia difficile,
se non si parte prevenuti, non rintracciare questa tensione
nel film. [m.l.]
Mel Gibson si confronta con la storia di tutte le storie,
sulla scia di illustri predecessori, tra cui Dreyer (Jesus,
un film pensato ma mai realizzato), Pasolini e Scorsese. Lo
fa affidandosi ad uno stile pulp "tarantiniano"
alla moda che mette in scena tutto lo strazio fisico della
passione di Gesù, identificandolo con lo strazio di
un Occidente impaurito e soffocato da guerre e terrorismi.
Lasciando da parte i perchè di questo film, le accuse
di antisemitismo e la grande operazione di marketing che ci
girano intorno e concentrandosi sull'opera pura e semplice,
La Passione di Cristo è un film che coinvolge e disturba,
ammutolisce e infastidisce, mettendo lo spettatore davanti
ad una storia che mai era stata narrata così atroce,
sanguinosa, cattiva. Con citazioni filmiche (il Satana donna,
interpretato da Rosalinda Celentano, strizza l'occhio a Il
settimo sigillo di Bergman) e artistiche (immagini
che riecheggiano i quadri di Caravaggio e Rembrandt), il regista
fa un grande affresco dell'epopea cristiana e lo fa attraverso
il dolore fisico di Gesù e mentale della Madonna (la
sconosciuta Maia Morgesten). I ritratti delle donne (Monica
Bellucci nel ruolo di Maria Maddalena, Claudia Gerini in quello
della moglie di Ponzio Pilato, Sabrina Impacciatore come Veronica)
e della loro disperazione sono il motivo più alto del
film davanti alla poco espressiva prova del bel Cristo Jim
Caviezel.
Bella e intensa la colonna sonora, spettacolari i dialoghi
in aramaico e in latino. Discutibili alcuni piccoli dettagli
da horror-fantasy movie (come la lacrima di Dio/goccia di
pioggia, il corvo che mangia la testa di uno dei ladri crocifissi
e il sangue che spilla a mo' di birra alla spina dal costato
di Gesù).
Parlando invece dei perchè di questo film, a metà
tra lo spaghetti western e Braveheart,
avanzo l'idea che spendere 25 milioni di dollari per un film
di propaganda politica post 11 Settembre sia forse eccessivo
(citando Zucconi: "Quello che Bush fa con le bombe, Gibson
vuol fare con la macchina da presa, propagandare, conquistare,
salvare. Questo è il senso di un film che sarebbe altrimenti
inutile"... ma anche questo è eccessivo!). Gibson
si schiera apertamente per la fede cattolica in un periodo
di tensioni fra i "buoni" e i "cattivi".
È un film che parla del bene e del male, grazie Mel
per averci ricordato da che parte sta il bene (!?), ma con
un regia priva di idee realmente geniali (a parte alcuni campi
lunghi della provincia di Matera e alcune belle inquadrature
delle nuvole in cielo) che tralascia il lato poetico e profondamente
intimo della vita di Gesù (non bastano i flashback
di ciò che ha fatto in vita, seppur adatti a spezzare
tanta crudeltà), enfatizzando il lato fisico delle
ultime 12 ore di vita del suo corpo.
Un'ultima nota positiva sulla scelta di non tagliare alcune
scene del film nelle sale. Un film integralista, poco poetico,
ma che nonostante tutto arriva al cuore e allo stomaco ed
è assolutamente da vedere e su cui riflettere. [s.p.]
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