anno 1
numero 1
maggio 2004

Le Invasioni Intellettuali

[giulia marcucci]

Perché ha deciso di dare un seguito a Il declino dell'impero americano? C'è stato un evento in particolare che l'ha spinta a scrivere la sceneggiatura de Le invasioni barbariche?
Inizialmente non avevo la minima intenzione di fare il Il declino dell'impero americano 2, la vendetta. Ma poi, dopo l'uscita di questo film, mio padre si è ammalato di cancro, una malattia molto lunga, un anno circa di agonia. Quattro anni più tardi anche mia madre ha dovuto vivere la stessa esperienza.
Perciò ho passato notti e giorni vicino ai miei genitori, cercando di dar loro sollievo. In quei momenti avrei fatto di tutto pur di aiutarli, ho pensato addirittura alla droga, ho

dovuto lottare e discutere con i medici. Fortunatamente avevo accanto amici e parenti. Dopo tutto ciò ho pensato di fare un film su queste esperienze, iniziai a 'buttare giù' varie sceneggiature, ma tutte facevano trapelare troppa tristezza, erano sinistre, lugubri. Ricordavano i film dell'est europeo, i film polacchi. Avevo il desiderio di scrivere qualcosa che toccasse temi importanti quali la morte, la malattia, i ricordi, la malinconia, la famiglia, ma che lasciasse un sorriso, un sorriso malinconico. Avevo l'intento di far emergere un modo particolare di avvicinarsi alla morte, magari condividendo gli ultimi bicchieri di vino, l'ultima 'canna', ripensando agli anni '60, ai pensieri utopici e rivoluzionari del '68. In seguito, circa tre anni fa, ho avuto l'idea di riprendere alcune tra le tematiche de Il declino dell'impero americano per esprimere i sentimenti e lo spirito che volevo enfatizzare, colmi di 'mélincolie'.

Chi rappresentano i 'barbari' del titolo del suo ultimo film?
Sono molto colpito dalle similitudini tra la storia dell'impero romano e di quello americano. Adesso gli americani sono padroni del mondo, così come i romani lo sono stati alla loro epoca. Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti non hanno più permesso a nessuno di invadere senza il loro consenso. Bush è molto simile a un imperatore romano. L'impero vuol controllare il mondo, ma nel frattempo altri cercano di attaccare questo stesso impero. I romani hanno preso il termine 'barbari' dai greci, per indicare coloro che stanno dall'"altra parte", pronti per attaccare. In effetti, per gli americani, coloro che hanno provocato l'11 Settembre, sono dei barbari da cui si devono difendere. Ma l'idea di 'barbaro', dal punto di vista morale, è relativa e variabile: se si è a Baghdad i barbari sono a Washington, e se si è a Washington i barbari sono a Baghdad. Ma esistono altri tipi di invasione, come il traffico di stupefacenti, le epidemie (Aids, Sars), le immigrazioni necessarie, gli attacchi e le imposizioni militari.

I 'barbari' che invadono il mondo ci sono sempre stati, in ogni fase della storia. Cosa c'è di diverso rispetto al passato?
È vero, in effetti i barbari hanno caratterizzato tutte le fasi del mondo. Ma questo impero americano sta contribuendo a creare una situazione unica, anche se è, come già detto, paragonabile all'impero romano. Una differenza riguarda la forza statunitense nel creare conflitti col mondo intero, in quanto è solo l'America in grado di decidere la sorte di qualsiasi paese, perciò i 'barbari' sono tutti coloro che non sono americani. Questa situazione sta provocando e provocherà delle incomprensioni e delle incompatibilità non solo nel presente, ma anche in futuro, a mio parere indelebili.

Le invasioni ha suscitato un'attenzione in tutto il mondo straordinaria, in quanto è riuscito a stimolare reazioni estreme, positive e negative. Questo film è uscito in questo momento storico, politicamente e socialmente particolare, per un motivo preciso, oppure c'è un segreto che il pubblico non può essere in grado di capire esattamente?
Il successo è la cosa più difficile da spiegare, è un mistero; non c'è una ricetta altrimenti tutti i film di Hollywood sarebbero un successo, invece 9 film hollywoodiani su 10 sono un fiasco. Non c'è un metodo, non è chiaro cosa si sta facendo mentre 'si gira'. Ad esempio: Stardom, il film precedente a Le invasioni barbariche è stato un fallimento totale, ma la montatrice, mentre lo stavamo girando, diceva continuamente che sarebbe stato un trionfo. Poi durante il montaggio de Le invasioni barbariche la montatrice sosteneva che anche questo film era meraviglioso, fantastico, e in realtà il successo c'è stato. Quindi non si sa mai!

Ne Le invasioni barbariche così come ne Il declino dell'impero americano i dialoghi sono incalzanti, serrati, un po' come la commedia sofisticata americana. All'interno di questi dialoghi emerge una profonda tristezza. Tristezza che non riguarda solo Remy, il padre morente, ma anche gli altri personaggi, e persino il figlio Sébastien. È una scelta cosciente quella di velare i protagonisti di una netta tristezza?
Non ritengo giusto l'uso della parola 'tristezza', il termine più adeguato è 'mélincolie'. Il mio temperamento generalmente è così, malinconico, anche se adoro la commedia. Forse sarebbe opportuno l'aiuto di uno psicanalista per spiegare ciò!

Vorrei porre alla sua attenzione il contrasto tra le due generazioni: padri e figli. I primi risultano pieni di vizi e di illusioni, ma dei falliti, indaffarati a fare i conti con gli sbagli della propria generazione; i secondi al contrario responsabili, quadrati, organizzati, ma con meno sogni. Considera veramente i giovani così disillusi e pragmatici, e i genitori così utopici e frustrati?
Nel film i due giovani protagonisti Nathalie, l'eroinomane, e Sébastien, il figlio di Remy, hanno la caratteristica comune di soffrire delle scelte dei genitori. Nathalie, ad esempio, non sapeva quale uomo avrebbe trovato al mattino nel letto della madre. Allo stesso modo, Sébastien, allevato quasi completamente dalla madre, risente inconsciamente dell'assenza del padre, invaghito continuamente da nuove amanti. Tutto ciò lascerà ad entrambi un grande vuoto. Sébastien diventa poi un manager rampante, con una bella compagna con la quale vorrebbe dar vita ad una classica famiglia, come se volesse correggere qualcosa del suo passato. Ma al contrario del padre professore e intellettuale progressista che ama leggere nel tempo libero, ha poco interesse per la cultura, nei momenti liberi infatti gioca con i videogiochi o con il palmare. Ho la certezza che giovani come loro esistono, sono due personaggi reali, credibili. Sono stato colpito dal fatto che diversi figli di miei amici sono tossicodipendenti. In particolare, la figlia di una coppia a me vicina è eroinomane, perciò le ho chiesto di incontrarla più volte per riflettere sul personaggio di Nathalie e per proporgli la revisione delle diverse versioni della sceneggiatura. Quando è venuta sul set a vedere le riprese le ho presentato l'attrice che avrebbe interpretato Nathalie, Marie-Josée Croze. Certamente la presenza di questa giovane donna è stata fondamentale per il risultato perfetto dell'attrice. Ma purtroppo c'è una nota malinconica, tutto questo sembrava esser servito a distrarla e a distaccarsi dall'ambiente della droga, ma invece ho sentito pochi mesi fa il padre il quale mi ha detto che è rientrata nel tunnel dell'eroina.

Sia ne Il declino dell'impero americano che ne Le invasioni barbariche insiste sul tema del tradimento. C'è un motivo preciso?
In questi due film ho messo tutta la mia vita e quella delle persone che mi sono vicine, comprese le esperienze interpersonali, gli amori, e quindi anche i tradimenti. Ne è esempio il fatto che quando giravo Il declino avevo circa 45 anni, proprio come il protagonista del film, stavo vivendo la fine del mio matrimonio. Così come ne Le invasioni la vita sessuale del protagonista è meno attiva, probabilmente perché prevalgono altri problemi.

Alla fine de Le invasioni c'è una visita alla biblioteca di Remy, e lo sguardo del regista, e quindi dello spettatore, osserva i libri che hanno contato veramente per il protagonista, come L'arcipelago Gulag di Aleksandr Solzenycin. Ma ce n'è uno che conclude questa carrellata, meno noto degli altri, almeno in Italia, che è Il diario di Samuel Pepys. Perché ha scelto proprio questo libro?
Questo diario è unico nel suo genere. Aspetti insoliti lo caratterizzano, come il fatto che il protagonista abbia iniziato ad annotare i suoi pensieri e le sue azioni anche se non c'era né l'idea, né l'intenzione di pubblicarlo. Nel diario il protagonista annotava ogni cosa, persino i tradimenti nel suo matrimonio, ma aveva il terrore che la moglie potesse leggere il diario così da scoprire le amanti. Perciò alcuni tratti di questo particolare taccuino sono scritti in una lingua nuova, un 'mélange' di latino, francese e italiano. È un documento singolare e molto raro, che permette agli storici di entrare nella Londra del XVIII secolo attraverso 10 anni della vita del protagonista, il quale narra il suo quotidiano con estrema perfezione, senza tralasciare aspetti intimi, o talvolta banali. Samuel Pepys è come un idolo per Remy, professore di Storia, e anche per i suoi amici, alcuni dei quali storici. Perciò questa citazione non poteva mancare.

Tra le molte citazioni presenti ne Le invasioni ce n'è una relativa ad un film italiano: Il cielo sulla palude (1949) di Augusto Genina. Perché questa scelta?
Perché il Quebec, la parte del Canada dove sono nato e cresciuto, è stata estremamente cattolico fino alla metà degli anni '60. Ho frequentato una scuola cattolica, precisamente dei gesuiti, per vari anni. Proprio durante questa fase ho avuto modo di vedere questo film di Genina. La cultura cinematografica offerta dai gesuiti era soprattutto legata a film imponenti dal punto di vista morale e religioso, come quelli, ad esempio, sull'apparizione di Fatima. Questi film mi provocavano un effetto di riflessione contraria, che è rintracciabile nelle mie sceneggiature. Era difficilissimo vedere altri generi di film, oltre a quelli proposti dai gesuiti, in quanto avevo solo 12/13 anni.

Una caratteristica dei suoi attori è che sono grandi interpreti. Come lavora con loro?
Ho imparato molto dallo sport, la mia seconda passione dopo il cinema. Penso per esempio alla figura dell'allenatore, basilare nei giochi di squadra, che è una figura molto simile a quella del regista. In una squadra il miglior allenatore è quello che lascia spazio all'individualità dei singoli, perciò il piano di gioco non è fisso. In un gruppo di attori ci sono molte diversità da considerare; ne Le invasioni barbariche la moglie di Remy, Louise (Dorothee Barryman) è estremamente metodica come attrice, ai nostri appuntamenti si presentava con 125 domande battute a macchina tipo: "prima di questa scena cosa ho mangiato?". Ma spesso non avevo risposte a questo genere di quesiti. Allora improvvisavo e stavamo fino all'alba a parlarne. Con Rémy Girard mi sono trovato nella situazione opposta, lui è un attore istintivo, infatti quando siamo all'appuntamento di discussione delle scene chiedevo se aveva delle domande, ma lui rispondeva sempre di no. Non parlavamo mai del film o del suo personaggio, i nostri dialoghi si basavano sul tempo, sulla politica, o altro. Probabilmente se chiedesse consigli non reciterebbe così divinamente.

Ma il valore di Arcand è stato confermato da Stardom, lungometraggio di chiusura del Festival di Cannes del 2000, che ancora pochi hanno visto. Vorrei due parole su questo film.
È un film molto strano, è raccontato unicamente attraverso programmi televisivi. Avevo l'intenzione di analizzare il mondo della moda, perciò mi sono recato nel backstage di una sfilata di Calvin Klein, a New York, dove c'erano le modelle più famose, come Christie Thurlinghton, Naomi Campbell. Mentre le osservavo, mi rendevo conto che sapevo molto della loro vita: chi erano i loro amici, i loro fidanzati, quali erano le loro origini, le loro passioni. Ovviamente queste informazioni derivavano dalla presenza dei media, in particolare della televisione. Ad esempio, la vita del giocatore di calcio David Beckham è conosciuta in gran parte da molti, infatti se ne parla al telegiornale dopo le news da Baghdad e un po' prima delle previsioni del tempo.

Una domanda legata alla storia del cinema e alle sue preferenze. Nei suoi film, ha avuto, ha ancora adesso dei modelli cinematografici particolari?
Forse vi deluderò, ma non darò una risposta particolarmente intelligente e illuminante. Sono stato attento alle opere dei cineasti classici, dei russi Ejzenstejn, Pudovkin, Dovzenko, degli italiani Rossellini, in particolare Il Generale Della Rovere, De Sica con Ladri di biciclette, e ancora Bergman, Kurosawa, Ford. Tra gli ultimi film, quello che mi ha intensamente entusiasmato è Amores Perros, del cineasta messicano Alejandro Gonzales Inarritu, a mio parere pieno di talento.