dovuto lottare e discutere con
i medici. Fortunatamente avevo accanto amici e parenti. Dopo
tutto ciò ho pensato di fare un film su queste esperienze,
iniziai a 'buttare giù' varie sceneggiature, ma tutte
facevano trapelare troppa tristezza, erano sinistre, lugubri.
Ricordavano i film dell'est europeo, i film polacchi. Avevo
il desiderio di scrivere qualcosa che toccasse temi importanti
quali la morte, la malattia, i ricordi, la malinconia, la famiglia,
ma che lasciasse un sorriso, un sorriso malinconico. Avevo l'intento
di far emergere un modo particolare di avvicinarsi alla morte,
magari condividendo gli ultimi bicchieri di vino, l'ultima 'canna',
ripensando agli anni '60, ai pensieri utopici e rivoluzionari
del '68. In seguito, circa tre anni fa, ho avuto l'idea di riprendere
alcune tra le tematiche de Il declino
dell'impero americano per esprimere i sentimenti e lo
spirito che volevo enfatizzare, colmi di 'mélincolie'.
Chi
rappresentano i 'barbari' del titolo del suo ultimo film?
Sono molto colpito dalle similitudini tra la storia dell'impero
romano e di quello americano. Adesso gli americani sono padroni
del mondo, così come i romani lo sono stati alla loro
epoca. Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti
non hanno più permesso a nessuno di invadere senza
il loro consenso. Bush è molto simile a un imperatore
romano. L'impero vuol controllare il mondo, ma nel frattempo
altri cercano di attaccare questo stesso impero. I romani
hanno preso il termine 'barbari' dai greci, per indicare coloro
che stanno dall'"altra parte", pronti per attaccare.
In effetti, per gli americani, coloro che hanno provocato
l'11 Settembre, sono dei barbari da cui si devono difendere.
Ma l'idea di 'barbaro', dal punto di vista morale, è
relativa e variabile: se si è a Baghdad i barbari sono
a Washington, e se si è a Washington i barbari sono
a Baghdad. Ma esistono altri tipi di invasione, come il traffico
di stupefacenti, le epidemie (Aids, Sars), le immigrazioni
necessarie, gli attacchi e le imposizioni militari.
I
'barbari' che invadono il mondo ci sono sempre stati, in ogni
fase della storia. Cosa c'è di diverso rispetto al
passato?
È vero, in effetti i barbari hanno caratterizzato tutte
le fasi del mondo. Ma questo impero americano sta contribuendo
a creare una situazione unica, anche se è, come già
detto, paragonabile all'impero romano. Una differenza riguarda
la forza statunitense nel creare conflitti col mondo intero,
in quanto è solo l'America in grado di decidere la
sorte di qualsiasi paese, perciò i 'barbari' sono tutti
coloro che non sono americani. Questa situazione sta provocando
e provocherà delle incomprensioni e delle incompatibilità
non solo nel presente, ma anche in futuro, a mio parere indelebili.
Le
invasioni ha suscitato un'attenzione in tutto il mondo straordinaria,
in quanto è riuscito a stimolare reazioni estreme,
positive e negative. Questo film è uscito in questo
momento storico, politicamente e socialmente particolare,
per un motivo preciso, oppure c'è un segreto che il
pubblico non può essere in grado di capire esattamente?
Il successo è la cosa più difficile da spiegare,
è un mistero; non c'è una ricetta altrimenti
tutti i film di Hollywood sarebbero un successo, invece 9
film hollywoodiani su 10 sono un fiasco. Non c'è un
metodo, non è chiaro cosa si sta facendo mentre 'si
gira'. Ad esempio: Stardom, il
film precedente a Le invasioni barbariche
è stato un fallimento totale, ma la montatrice, mentre
lo stavamo girando, diceva continuamente che sarebbe stato
un trionfo. Poi durante il montaggio de Le invasioni barbariche
la montatrice sosteneva che anche questo film era meraviglioso,
fantastico, e in realtà il successo c'è stato.
Quindi non si sa mai!
Ne
Le invasioni barbariche così come ne Il declino dell'impero
americano i dialoghi sono incalzanti, serrati, un po' come
la commedia sofisticata americana. All'interno di questi dialoghi
emerge una profonda tristezza. Tristezza che non riguarda
solo Remy, il padre morente, ma anche gli altri personaggi,
e persino il figlio Sébastien. È una scelta
cosciente quella di velare i protagonisti di una netta tristezza?
Non ritengo giusto l'uso della parola 'tristezza', il termine
più adeguato è 'mélincolie'. Il mio temperamento
generalmente è così, malinconico, anche se adoro
la commedia. Forse sarebbe opportuno l'aiuto di uno psicanalista
per spiegare ciò!
Vorrei
porre alla sua attenzione il contrasto tra le due generazioni:
padri e figli. I primi risultano pieni di vizi e di illusioni,
ma dei falliti, indaffarati a fare i conti con gli sbagli
della propria generazione; i secondi al contrario responsabili,
quadrati, organizzati, ma con meno sogni. Considera veramente
i giovani così disillusi e pragmatici, e i genitori
così utopici e frustrati?
Nel film i due giovani protagonisti Nathalie, l'eroinomane,
e Sébastien, il figlio di Remy, hanno la caratteristica
comune di soffrire delle scelte dei genitori. Nathalie, ad
esempio, non sapeva quale uomo avrebbe trovato al mattino
nel letto della madre. Allo stesso modo, Sébastien,
allevato quasi completamente dalla madre, risente inconsciamente
dell'assenza del padre, invaghito continuamente da nuove amanti.
Tutto ciò lascerà ad entrambi un grande vuoto.
Sébastien diventa poi un manager rampante, con una
bella compagna con la quale vorrebbe dar vita ad una classica
famiglia, come se volesse correggere qualcosa del suo passato.
Ma al contrario del padre professore e intellettuale progressista
che ama leggere nel tempo libero, ha poco interesse per la
cultura, nei momenti liberi infatti gioca con i videogiochi
o con il palmare. Ho la certezza che giovani come loro esistono,
sono due personaggi reali, credibili. Sono stato colpito dal
fatto che diversi figli di miei amici sono tossicodipendenti.
In particolare, la figlia di una coppia a me vicina è
eroinomane, perciò le ho chiesto di incontrarla più
volte per riflettere sul personaggio di Nathalie e per proporgli
la revisione delle diverse versioni della sceneggiatura. Quando
è venuta sul set a vedere le riprese le ho presentato
l'attrice che avrebbe interpretato Nathalie, Marie-Josée
Croze. Certamente la presenza di questa giovane donna è
stata fondamentale per il risultato perfetto dell'attrice.
Ma purtroppo c'è una nota malinconica, tutto questo
sembrava esser servito a distrarla e a distaccarsi dall'ambiente
della droga, ma invece ho sentito pochi mesi fa il padre il
quale mi ha detto che è rientrata nel tunnel dell'eroina.
Sia
ne Il declino dell'impero americano
che ne Le invasioni barbariche
insiste sul tema del tradimento. C'è un motivo preciso?
In questi due film ho messo tutta la mia vita e quella delle
persone che mi sono vicine, comprese le esperienze interpersonali,
gli amori, e quindi anche i tradimenti. Ne è esempio
il fatto che quando giravo Il declino avevo circa 45 anni,
proprio come il protagonista del film, stavo vivendo la fine
del mio matrimonio. Così come ne Le invasioni la vita
sessuale del protagonista è meno attiva, probabilmente
perché prevalgono altri problemi.
Alla
fine de Le invasioni c'è una visita alla biblioteca
di Remy, e lo sguardo del regista, e quindi dello spettatore,
osserva i libri che hanno contato veramente per il protagonista,
come L'arcipelago Gulag di Aleksandr
Solzenycin. Ma ce n'è uno che conclude questa carrellata,
meno noto degli altri, almeno in Italia, che è Il
diario di Samuel Pepys. Perché ha scelto proprio
questo libro?
Questo diario è unico nel suo genere. Aspetti insoliti
lo caratterizzano, come il fatto che il protagonista abbia
iniziato ad annotare i suoi pensieri e le sue azioni anche
se non c'era né l'idea, né l'intenzione di pubblicarlo.
Nel diario il protagonista annotava ogni cosa, persino i tradimenti
nel suo matrimonio, ma aveva il terrore che la moglie potesse
leggere il diario così da scoprire le amanti. Perciò
alcuni tratti di questo particolare taccuino sono scritti
in una lingua nuova, un 'mélange' di latino, francese
e italiano. È un documento singolare e molto raro,
che permette agli storici di entrare nella Londra del XVIII
secolo attraverso 10 anni della vita del protagonista, il
quale narra il suo quotidiano con estrema perfezione, senza
tralasciare aspetti intimi, o talvolta banali. Samuel Pepys
è come un idolo per Remy, professore di Storia, e anche
per i suoi amici, alcuni dei quali storici. Perciò
questa citazione non poteva mancare.
Tra
le molte citazioni presenti ne Le invasioni ce n'è
una relativa ad un film italiano: Il
cielo sulla palude (1949) di Augusto Genina.
Perché questa scelta?
Perché il Quebec, la parte del Canada dove sono nato
e cresciuto, è stata estremamente cattolico fino alla
metà degli anni '60. Ho frequentato una scuola cattolica,
precisamente dei gesuiti, per vari anni. Proprio durante questa
fase ho avuto modo di vedere questo film di Genina. La cultura
cinematografica offerta dai gesuiti era soprattutto legata
a film imponenti dal punto di vista morale e religioso, come
quelli, ad esempio, sull'apparizione di Fatima. Questi film
mi provocavano un effetto di riflessione contraria, che è
rintracciabile nelle mie sceneggiature. Era difficilissimo
vedere altri generi di film, oltre a quelli proposti dai gesuiti,
in quanto avevo solo 12/13 anni.
Una
caratteristica dei suoi attori è che sono grandi interpreti.
Come lavora con loro?
Ho imparato molto dallo sport, la mia seconda passione dopo
il cinema. Penso per esempio alla figura dell'allenatore,
basilare nei giochi di squadra, che è una figura molto
simile a quella del regista. In una squadra il miglior allenatore
è quello che lascia spazio all'individualità
dei singoli, perciò il piano di gioco non è
fisso. In un gruppo di attori ci sono molte diversità
da considerare; ne Le invasioni barbariche
la moglie di Remy, Louise (Dorothee Barryman) è estremamente
metodica come attrice, ai nostri appuntamenti si presentava
con 125 domande battute a macchina tipo: "prima di questa
scena cosa ho mangiato?". Ma spesso non avevo risposte
a questo genere di quesiti. Allora improvvisavo e stavamo
fino all'alba a parlarne. Con Rémy Girard mi sono trovato
nella situazione opposta, lui è un attore istintivo,
infatti quando siamo all'appuntamento di discussione delle
scene chiedevo se aveva delle domande, ma lui rispondeva sempre
di no. Non parlavamo mai del film o del suo personaggio, i
nostri dialoghi si basavano sul tempo, sulla politica, o altro.
Probabilmente se chiedesse consigli non reciterebbe così
divinamente.
Ma
il valore di Arcand è stato confermato da Stardom,
lungometraggio di chiusura del Festival di Cannes del 2000,
che ancora pochi hanno visto. Vorrei due parole su questo
film.
È un film molto strano, è raccontato unicamente
attraverso programmi televisivi. Avevo l'intenzione di analizzare
il mondo della moda, perciò mi sono recato nel backstage
di una sfilata di Calvin Klein, a New York, dove c'erano le
modelle più famose, come Christie Thurlinghton, Naomi
Campbell. Mentre le osservavo, mi rendevo conto che sapevo
molto della loro vita: chi erano i loro amici, i loro fidanzati,
quali erano le loro origini, le loro passioni. Ovviamente
queste informazioni derivavano dalla presenza dei media, in
particolare della televisione. Ad esempio, la vita del giocatore
di calcio David Beckham è conosciuta in gran parte
da molti, infatti se ne parla al telegiornale dopo le news
da Baghdad e un po' prima delle previsioni del tempo.
Una
domanda legata alla storia del cinema e alle sue preferenze.
Nei suoi film, ha avuto, ha ancora adesso dei modelli cinematografici
particolari?
Forse vi deluderò, ma non darò una risposta
particolarmente intelligente e illuminante. Sono stato attento
alle opere dei cineasti classici, dei russi Ejzenstejn, Pudovkin,
Dovzenko, degli italiani Rossellini, in particolare Il
Generale Della Rovere, De Sica con Ladri
di biciclette, e ancora Bergman, Kurosawa, Ford. Tra
gli ultimi film, quello che mi ha intensamente entusiasmato
è Amores Perros, del cineasta
messicano Alejandro Gonzales Inarritu, a mio parere pieno
di talento.