Bukowski
si innamorò di questo libro e leggendolo se ne capisce
il perché. Chiedi alla polvere
è un romanzo che nasce in una Los Angeles dove le speranze
e le disillusioni della gente si confondono nella combinazione
di culture abbandonate al proprio destino, al confine con un deserto
affamato di sogni e di vite. "Così l'ho intitolato,
Chiedi alla polvere, perché
in quelle strade c'è la polvere dell'Est e del Middle West,
ed è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza
radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di
un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa
di una pace che non potrà mai raggiungere". Come nei
precedenti romanzi appartenenti alla saga di Bandini, anche in
quest’ultimo Fante parla di sé attraverso il suo
alter ego, affondando il ricordo nella sua giovinezza squattrinata
tra le strade sabbiose di Los Angeles. Ritorna qui il tema già
precedentemente affrontato nel suo primo romanzo, La
strada
per Los Angeles,
scritto tra il 1934 e il 1936 ma uscito solamente postumo nel
1985, due anni dopo la sua morte. Siamo infatti lontani dall’ambiente
familiare descritto nella sua opera narrativa d’esordio,
Aspetta primavera, Bandini, in cui
spicca la figura del padre e tutto ciò che ruota intorno
al mondo della sua prima infanzia trascorsa in Colorado. In Chiedi
alla polvere Arturo è già un ragazzo, un
ventenne che insegue un sogno, un bruciante desiderio che lo conduce
lontano dal suo luogo d’origine e dalla famiglia nel tentativo
di strapparsi alla povertà. Perché Bandini scrive
prima di tutto per mangiare, scrive per poter vendere i propri
racconti e sfamarsi. La sua non è quindi una passione a
tempo perso, una posa da intellettuale, ma un vero e proprio mestiere
al quale si applica con costanza e dedizione. Questo la dice lunga
sul “mestiere dello scrivere” e sotto molti punti
di vista accosta Fante ad altri autori come Bukowski e Kerouac,
per i quali lo scrivere riassumeva tutto il senso della propria
esistenza: scrivere per vivere o per sentirsi vivi, scrivere per
raccontarsi. E forse non è un caso che Fante pensò
inizialmente di intitolare il proprio romanzo “Ask the Dust
on the Road”, anticipando così di quasi venti anni
il libro-simbolo della Beat Generation: Sulla
strada di Jack Kerouac. E di strada Fante ne ha percorsa
tanta. Appartenente ad una famiglia di abruzzesi immigrati in
America nel 1901, John nacque in Colorado dove trascorse gli anni
della sua infanzia. Ancora giovanissimo partì per raggiungere
la California e stabilirsi a Los Angeles, luogo nel quale sono
appunto ambientati i libri sulla saga di Bandini. E proprio nella
città degli angeli prenderà vita il Fante-scrittore,
l’Arturo che tutti ben conosciamo, il ragazzo squattrinato
che si aggira solo per le strade di una città polverosa,
“perché il tuo guaio è che non sai niente
della vita”, come scriverà nelle pagine del suo romanzo.
Probabilmente Kerouac avrebbe apprezzato questo autore di talento,
così come lo apprezzò Bukowski, il quale lo cita
anche in un suo scritto, Donne, del
1978. Purtroppo è il mondo a scoprirlo tardi, o meglio,
a riscoprirlo pochi anni dopo la sua morte. La prima traduzione
italiana dell’opera, a cura di Elio Vittorini, risale al
1941 con il titolo Il cammino nella polvere,
ma è presto dimenticata. È solo nel 1983 che vede
la luce la nuova traduzione a cura di Maria Giulia Castagnone,
alla quale seguirà la definitiva consacrazione di Fante
a scrittore di vero talento. Il romanzo racconta una storia d’amore,
in un percorso fatto di tentativi e fogli bianchi, di pellegrinaggi
senza meta lungo strade buie, di fame e desiderio represso, dove
Arturo è il bugiardo, il codardo, l'ateo che non riesce
a scrollarsi di dosso il senso di colpa cristiano, il peccatore
che tenta di redimersi ad ogni sbaglio. Poi l'incontro con Camilla,
la cameriera messicana che lo trascina in quello che lo stesso
Fante definisce <<amore senza desiderio>>, amplesso
mancato, impossibilità di penetrare fino in fondo in quegli
occhi, in quei capelli neri, in quelle gambe scure e lisce. Fino
al crollo, al fallimento finale che coincide con la vittoria di
un romanzo pubblicato, di una fatica e di una fame ripagate con
il successo. E come sempre il deserto avrà l'ultima parola.
Racconto autobiografico, poetico e tragico, profondamente autentico.
[giulia rastelli] |