Una signora
dell’alta borghesia newyorchese strappa suo marito dalle
grinfie di una commessa di profumeria molto più giovane,
con l’aiuto delle amiche. Tra screzi, pettegolezzi e
piccole tragedie domestiche, l’amante è costretta
a capitolare di fronte alla trappola ordita dalla moglie fedele.
Portato sul grande schermo da George Cukor, il regista delle
donne per antonomasia, il testo di Clare Booth Luce del 1936,
ha ancora qualcosa di attuale per un spettatore odierno. Apprezzabile
lo sforzo di Carlotta Corradi di tenere sul palco dodici attrici,
di formazione e generazioni differenti, ma niente più.
Lo spettacolo, vittima
di una mediocre recitazione (se ne distacca la prova di Lydia
Biondi, che con sapiente mestiere veste i panni della madre
della moglie tradita), è privo di ritmo e non decolla
mai. La Corradi trasforma la scoppiettante commedia, caustica
e sofisticata, della giornalista americana (ambasciatrice
statunitense in Italia negli anni ’50) in una sorta
di “Sex and the city” ante litteram, con molti
cambi di costume e molta poca ironia. Anche la scelta di consegnare
gli snodi narrativi a uno schermo cinematografico posto sullo
fondo del palcoscenico, sembra tradire una scarsa conoscenza
del linguaggio teatrale. Se si voleva ammiccare all’adattamento
cinematografico, si è piuttosto ottenuto l’effetto
di avere in scena un ulteriore orpello scenografico.
Un turbinio di cappellini
d’epoca deliziosi, insomma, che si trascinano stancamente
a un finale maschilista e consolatorio, in cui l’emancipazione
della donna si riscatta tutta, tragicamente, negli intrighi
da gineceo.
[francesca romana buffetti]