La
tragicommedia di Cocteau è questa settimana di
scena al Piccolo Teatro Eliseo e vede come protagonista
la celeberrima Adriana Asti.
Due i monologhi in atto unico di cui la rinomata attrice
si fa magistralmente interprete, La
voce umana e Il
bell’indifferente (scritti dal
drammaturgo francese negli anni ’30-’40),
l’uno ispirato dall’amore infelice dell’autore
per il poeta surrealista Jean Desbordes, l’altro
scritto espressamente per il suo compagno dell’epoca
(l’attore Paul Meurisse) e per Edith Piaf. Il
regista, Benoît Jacquot, non manca certo di coerenza
nella scelta di affinacare i due testi teatrali.
Il primo è un ideale addio al proprio amato,
dove il telefono si fa tanto simbolo del tramonto dell’umano
vis-à-vis, quanto laico spazio di confessione,
in cui cade qualsiasi pudore e si esprime l’intimità
più profonda e disperata del personaggio; il
secondo, invece, è più ironicamente incentrato
sull’incomunicabilità umana dei sentimenti.
Una solitudine diversa, quest’ultima, visto che
l’uomo in questione stavolta è davvero
presente in un irremovibile mutismo. Il tutto prende
vita sullo sfondo di una scenografia scemplice ma di
stile: una camera con un letto, una lampada e un semplice
tavolino affiancato da una poltroncina, dove l’attrice
inizia il suo monologo al telefono che, all’occorenza,
trascina con sé nei suoi vari spostamenti.
Così anche per la seconda pièce, dove
vengono mantenuti gli stessi arredi ma disposti in maniera
differente durante un rapido cambio scena a sipario
aperto. Le luci, più soffuse nella prima parte,
più calde e diffuse nella seconda, contribuiscono
a ricreare una dimensione raccolta e intima, particolarmente
in linea con lo stile borghese delle due opere. Tecnicamente
ineccepibile la Asti, che dimostra fin da subito un
azzeccatissimo physique du role e uno humour irripetibile
nell’affrontare la tragicità delle relazioni
e nel confessare senza pietà tutte le nostre
più segrete nevrosi. Uno stile d’altri
tempi, il suo, ancora in grado di evocare quel teatro
colto e di livello oggi tanto difficile da rivedere
sulla scena.
Ciò nonostante, il primo monologo risulta difficile
da seguire per un’evidente mancanza di ritmo e
non galvanizza poiché faticosamente monocorde.
Più efficace l’interpretazione de Il bell’indifferente,
che mette invece in evidenza il brio garbato dell’attrice
e la sua naturale vis comica, forse agevolata dalla
presenza fisica del suo silenzioso interlocutore (Mauro
Conte). Una struttura d’insieme efficace, insomma,
ma lo spettacolo non emoziona. Nonostante gli ottimi
presupposti, la sua tragica compostezza manca di quella
passione capace di attraversarci e farci sentire parte
di questo piccolo dramma dell’esistenza. [benedetta
corà]
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