‘A“munnezza”
di Napoli ai tempi dei giacobini - ovvero la storia
di Napoli vista con il cannocchiale.
L’idea dello spettacolo è interessante
e originale: partire dalla vita quotidiana di personaggi
popolari napoletani, per ricostruire i fatti storici
avvenuti nel 1799 ai tempi della Repubblica partenopea.
Personaggi dell’intellighenzia napoletana come
Eleonora Pimentel che parteggia per i giacobini e
i “lazzari”, o straccioni del popolo che
sostengono Re Ferdinando IV di Borbone, si mescolano
alla storia di due fratelli del popolo, Luciano e
Salvatore, tragicamente travolti dalla storia nell’epilogo
finale.
Sacro e profano, comico e tragico s’incontrano.
Il testo di Alfonso Sessa è ben scritto, con
frasi da ricordare come “L’uomo è
nato libero, ma ovunque è in catene”,
o “le parole a volte non bastano per spiegare,
devono essere quelle giuste”. Tuttavia, l’adattamento
teatrale a volte stenta, manca di accento e pause
proprio su quelle frasi “poetiche” che
meriterebbero una riflessione maggiore dell’attore
Sessa, impegnato nel difficile compito di raccontare
la storia e interpretare i monologhi dei vari personaggi.
Forse occorrerebbero due attori in scena, uno che
racconta e un altro che interpreta i personaggi, in
modo da dare più ritmo alla storia che, seppur
non abbia cali di tensione, a volte sembra avere un
tono omogeneo. Il rischio è che per troppa
rapidità sfugga il finale, bello e tragico.
L’attore si dà al pubblico generosamente,
con un tono tra il disincantato, il rassegnato e l’ironico
ricordando a tratti lo stile di Massimo Troisi, che
va modellato dall’esperienza. Originale, a tratti
comico, acerbo.
[deborah
ferrucci]