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Anno
2011
Genere
dramma
In
scena
fino al 17 marzo
Teatro Vascello | roma
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Autore |
Ursula
Andkjaer |
Adattamento/Traduzione |
Eugenio
Barba |
Regia |
Eugenio
Barba |
Scene |
Jan de Neergaard, Antonella Diana |
Costumi |
Jan
de Neergaard |
Luci |
Jesper
Kongshaug |
Musica |
Odin Teatret, Melodie tradizionali e moderne |
Interpreti |
Kai
Bredholt, Roberta Carreri, Jan Ferslev, Elena Floris,
Donald Kitt, Tage Larsen, Sofia Monsalve, Iben Nagel
Rasmussen, Fausto Pro, Julia Varley |
Produzione |
Nordisk
Teaterlaboratorium, Teatro de La Abadia, The Grotowski
Institute |
Compagnia |
Odin
Teatret |
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Europa,
2031. Al termine della terza guerra civile che ha generato distruzione
e sofferenze in tutti gli angoli del Vecchio Continente, dieci
personaggi e un feticcio si aggirano all’interno di un
panorama devastato, intrecciando le loro storie di sommersi
e salvati: una Madonna nera con movenze sciamaniche, la vedova
di un combattente basco, una casalinga romena con tendenze autolesioniste,
un avvocato danese che non abbandona mai il suo manuale di diritto,
un improbabile musicista rock delle isole Faroe, un giovane
colombiano alla ricerca del padre svanito nel nulla, una violinista
di strada e due mercenari disposti a ogni crudeltà. Protagonista
di un’avventura culturale leggendaria che, nel 2014, festeggia
il mezzo secolo di vita, l’Odin Teatret di Eugenio Barba
mette in scena un apologo sulla guerra caotico e doloroso, corale
e spiazzante.
Nell’ossimoro che dà il titolo all’opera
"La vita cronica", riecheggia un verso del poeta brasiliano
Paulo Leminski (1944-1989), dove l’aggettivo cronica raccoglie
il significato di incurabile; come l’uomo che, persa la
memoria degli orrori, riprende il fucile e combatte sempre dalla
parte sbagliata. In un continuo alternarsi di stasi e tensione,
i personaggi si muovono in preda alle pulsioni più varie:
violenza immotivata e incontrollata, volontà suicide,
pulsioni sessuali, istinto di sopravvivenza, mania, logorrea.
E sul palco, di volta in volta, risuonano sgraziati inni nazionali
e canzoni popolari: un’apocalittica babele linguistica
che anticipa i mutamenti antropologici e sociali di un domani
non troppo remoto.
Gli attori, tra i quali va segnalata la presenza di due colonne
portati dell’Odin Teatret come Iben Nagel Rasmussen e
Roberta Carreri, sono completamente immersi nella struttura
dinamica dello spettacolo. Strepitano, corrono, suonano le più
disparate tipologie di strumenti, sparano, agitano lastroni
di giaccio, roteano porte di legno, cantano in coro e da solisti,
recitano con il testo e non in funzione del testo. La regia
di Eugenio Barba si riconosce nella forza dell’opera e
nella cura maniacale del dettaglio, nella coerenza che trasforma
il tutto, spettatori compresi, in elemento scenico.
La scenografia, composta da una parete con appesi ganci da macellaio,
una cassa sormontata da un lenzuolo, una pistola e un feticcio,
si arricchisce di minuto in minuto di detriti, fango, pietre,
pentole, carte da gioco, candelabri e plastica: frammenti di
una vita desolatamente, irrimediabilmente cronica. Le luci accompagnano
e in alcuni casi anticipano il caotico fluire degli eventi.
Leitmotiv musicale è “Everybody Knows”, cavallo
di battaglia di Leonard Cohen. Lo spettacolo, adatto a spettatori
al di sopra dei 12 anni di età, è dedicato alla
memoria di Anna Politkovskaya e Natalia Estemirova, scrittrici
russe assassinate da sicari nel 2006 e nel 2009 per essersi
opposte al conflitto in Cecenia.
[valerio refat]
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