Quanto
della vita è voluto da noi e quanto dai desideri
altrui? Forse bisogna toccare la follia per trovare
la parte autentica dell’essere umano; il film
“Qualcuno volò sul nido del cuculo”
è una prova magistrale di quello che Freud chiamava
«il disagio della civiltà», l’autenticità
dell’individuo e l’adattamento alla società.
Lo spettacolo “La
visita di oggi” mostra un curioso
terzetto: un folle consapevole, Alfredo (Andrea Zanacchi)
che dialoga con il topo Schizzo ed Ermanno (Giampaolo
Filauro), pubblicitario ossessionato dalla carriera
e dai condizionamenti sciali derivanti dal suo status.
Riusciranno questi antieroi ad entrare in relazione
in una camera d’ospedale? Atmosfera beckettiana
(bella e suggestiva la scenografia nella sua semplicità)
di incomunicabilità, il battito del cuore come
sfondo musicale, le emozioni ingabbiate in uno spazio
bianco.
Nessuno dei protagonisti
ottiene ciò che desidera: il pubblicitario
è sposato con Marta perché incinta ma
ama Viviana, che non contraccambia; il folle ama Cinzia,
una Lolita, ma non ha il coraggio di dirglielo, la
sogna e basta. Quanti guai per la paura di vivere.
La storia del folle che parla con il topo mostra la
violenza delle azioni di chi costringe un figlio ad
essere ciò che non vuole. In scena non c’è
una partita in corso, gli interpreti sono giocatori
solitari, il dialogo non rimbalza tra loro e il ritmo
è spezzato. Il testo teatrale poi a volte stenta,
inciampando in battute semplici, a volte scontate.
E il pubblico non riesce ad entrare nel “gioco”,
nella storia. I registri dei due attori sono diversi,
non entrano in relazione (anche di contrasto e/o indifferenza),
pensano più a loro stessi. Può sembrare
un paradosso, ma esiste una relazione anche nell’incomunicabilità.
L’idea è buona:
la follia che mostra la via dell’autenticità
come strada possibile per realizzare se stessi, ma
l’articolazione è dubbiosa. La follia
non può che essere un’immersione, non
ammette superficie ma solo abissi. È il coraggio
di lanciarsi senza rete, rischiando, senza sapere
se si tornerà dal viaggio e in che modo. Gli
attori dovrebbero focalizzarsi meno sul dettaglio,
sentire il testo più con il corpo che con le
parole per renderlo potente e per concentrarsi su
una definizione dei personaggi semplice, ma profonda.
Ci vorrebbe meno contorcimento razionale e più
rischio per onorare un’idea buona come questa.
L’attimo di autenticità,
quando il pubblicitario rievoca l’omicidio dell’amante
Viviana andrebbe ritrovato ovunque. Lo spettacolo
va rifinito per ottenere un’unica verità
tra scenografia, interpretazione e testo. È
difficile, ma non impossibile. L’idea originale
lo merita, la compagnia è giovane, ha il tempo
e l’entusiasmo per aggiustare il tiro.
[deborah
ferrrucci]