Nel
2002 con Amen, Costa
- Gavras ne ha realizzato un film per il grande schermo.
Pubblicato
in trentotto nazioni, in Germania viene messo in scena
annualmente al Berliner Ensemble.
Il Vicario opera del drammaturgo Rolf Hochhuth,
affronta lo scottante tema dell’olocausto e
del silenzio della Chiesa in quegli anni. Il primo
e unico tentativo italiano di portare a teatro il
dramma di Hochhuth si è verificato nel 1965
per mano della compagnia teatrale di Gian Maria Volonté:
l’iniziativa suscitò talmente tanto scandalo
e polemiche che rimase in scena una sola sera prima
della censura. Dopo quarant’anni Il Vicario
torna a smuovere le coscienze in Italia. In scena
al Piccolo Eliseo ci sono un gruppo di giovani attori:
Matteo Caccia, Marco Foschi, Enrico Roccaforte, Cinzia
Spanò e Rosario Tedesco (che ha curato anche
adattamento e regia). La tragica realtà del
genocidio e l’indifferenza del Vicario di Cristo
davanti alla funesta situazione europea sono riproposte
focalizzando l’attenzione sulle parole, scandite
con controllata enfasi dagli attori che si muovono
su uno sfondo fatto di ombre e candidi fasci di luce
bianca. Una luce evidenzia il pallore dei volti, rievocando
nello spettatore il ricordo della morte. I dialoghi
serrati descrivono la storia di Kurt Gerstein (Matteo
Caccia) ufficiale delle SS, divenuto testimone oculare
di quanto sta accadendo nelle camere a gas dei campi
di concentramento. Opponendosi a ciò che la
sua divisa rappresenta, si schiera dalla parte dei
più deboli. La sotterranea attività
di salvataggio lo porterà ad incontrasi con
Don Riccardo Fontana (Marco Foschi), il quale frustrato
dal perpetuante silenzio nel quale si è trincerato
lo Stato Vaticano, attraverso un atto dimostrativo
(indossare la stella di Davide) testimonia la sua
vicinanza al popolo ebreo. Mentre le bombe e i rastrellamenti
bussano con veemenza alle porte della Santa Sede,
Papa Pio XII focalizza l’attenzione sulla corretta
scelta sintattica da adottare nel proclama ufficiale
riguardante le barbarie naziste. Non si parla più
di religione ma di ragion di stato e la fede di un
segretario vaticano deve arrendersi di fronte agli
interessi internazionali. Don Fontana rimane scisso
tra la lealtà verso la propria veste e il dovere
di proteggere la vita. Sulle piangenti note di un
pianoforte la rappresentazione volge al termine, accompagnata
dall’interpretazione di uno dei maggiori rappresentanti
del teatro italiano: Giorgio Albertazzi che dà
voce alle parole di una ragazza, vittima dei campi
di concentramento. Lo spettacolo, rivolto ad un pubblico
poliedrico, copre generazioni più o meno passate,
per le quali il tema del sacrificio, dell’espiazione
dei peccati e dell’intolleranza non è
ancora ricordo. [valentina
di santo]