La
cura per Barney Panofsky è un bicchiere di whisky e un
Montecristo. Questa è la sua filosofia.
Seduto sulla sedia a ricordare tutti i nomi dei 7 nani, a
fumare e a bere, senza però ricordare, c’è
Antonio Salines. “La versione di Barney” scritta
per il teatro da Massimo Vincenzi conserva lo spirito originale
del capolavoro di Mordecai Richler. Salines è un perfetto
Barney che ripercorre con la memoria malata e intermittente,
gli episodi più significativi della sua vita. Ricorda
le tre mogli: Clara, giovane e ribelle; la seconda signora
Panofsky con il logorroico attaccamento alla mamma; Miriam,
l’amore, la donna dei suoi sogni, il colpo di fulmine
che lo ha travolto il giorno del secondo matrimonio.
C’è poi il padre poliziotto con la parlata greve
e le storielle al limite, che lasciano gli astanti a bocca
aperta.
E infine c’è
Boogie: l’amico, il compagno di avventure e di sbronze,
l’uomo che lo ha salvato dalla seconda signora Panofskyma,
che lo ha anche “dannato” per sempre. E che lo
spinge a scrivere la sua versione dei fatti.
Salines/Barney colloquia
con se stesso e con i personaggi (Virgilio Zernitz, Francesca
Bianco, Fabrizio Bordignon, Gabriella Casali e Monica Belardinelli)
proiettati alle sue spalle, nelle belle creazioni video di
Enzo Aronica. I ricordi si confondono con la realtà,
restituendo il fluire dei pensieri che turbinano nella mente
di un malato di Alzheimer, accompagnati dalla musica sempre
raffinata di Francesco Verdinelli. E il grande merito del
disegno registico di Carlo Emilio Lerici è di essere
riuscito a fondere tutti gli elementi dello spettacolo con
eleganza e, soprattutto, senza far storcere il naso a quanti
(tanti) hanno letto e amato il libro.
Salines emoziona e diverte,
indispettisce e commuove. Proprio
come fa Barney. [patrizia
vitrugno]