Ritrovarsi
a 70 anni pensionati. Dopo una carriera come preside
integerrimo, seppur dedito a qualche libertinaggio
di troppo con le allieve maggiorenni, il protagonista
si ritrova a fare la fila alla posta per ricevere
il primo pagamento. Entusiasmo ed eccitazione sono
i sentimenti che lo contraddistinguono. Dopo aver
contato per quattro volte la pensione, dirigersi al
bar per festeggiare è automatico. Qui, per
la gioia dell'esperienza inedita, offre un caffè
ad un barbone nel locale. Un incontro casuale che
lascerà tracce indelebili nell'animo inaridito
del pensionato. Stordito dalle troppe emozioni, senza
riflettere invita il clochard a casa: doccia e abiti
puliti sono offerti in automatico. Ma, c'è
un ma. Lo sconosciuto prende il sopravvento, ruba
i soldi presenti nella busta, aggredisce l'uomo e
se ne va, minacciandolo.
L'avvenimento,
in un primo momento spinge l'ex preside a chiamare
le due donne della sua vita: la figlia gallerista
(una calzante Giuseppina Turra) e la compagna di una
vita Donata (l'ottima Ludovica Modugno). Maltratta
quest'ultima e si lascia abbindolare dalla figlia.
Atto dopo atto, l'incontro con Cielo gli fa mettere
in discussione l'intera esistenza. Da misogino, misantropo
e traditore, lentamente le verità che immagina
gli riveli il barbone, mettono in dubbio tutto il
suo mondo. Tenta di recuperare, inutilmente, il rapporto
con l'ex compagna e si lascia blandire dalla figlia,
che desidera dal padre solo denaro e accondiscendenza.
“Il
vecchio e il cielo” scritto e diretto
da Cesare Lievi, dopo un inizio interessante, che
mostra Angelillo, nei panni del pensionato, ripercorrere
a mente la mattinata, scade lentamente ma inesorabilmente
nel prevedibile. La storia del barbone, che può
essere visto solo dal protagonista e che con la sua
libertà e ribellione dalle regole prestabilite,
ribalta lo stile di vita del misogino è nota.
Nei dialoghi non ci sono guizzi narrativi. La scena
da un iniziale claustrofobia, con alte pareti e serrature
inattaccabili, si apre, si allarga, arieggia. A simboleggiare
la mente del pensionato. Puro connubio tra testo e
regia. Per chiudersi su se stessa. Eppure i discorsi
tra i due uomini sono prevedibili, non colpiscono.
In parte dipende anche dall'interpretazione di Paolo
Fagiolo, troppo accademica, poco interiorizzata e
a volte rigida. Il confronto con Angelillo è
impietoso. Da una parte c'è un Angelillo perfetto
nella caduta e inutile risurrezione emotiva, dall'altra
il deus ex machina della storia è freddo e
affatto nella parte. Un peccato: lo spettacolo prometteva
scintille, lascia sonnolenza.
[valentina venturi]