La storia sarebbe anche accattivante: un giovane
le cui paure infantili dell’uomo della sabbia, il dottor
Coppelius - una sorta di uomo nero ottocentesco - si trasformano
in ossessione amorosa per Olimpia, una donna fredda e robotica,
che lo porterà all’autodistruzione. A nulla valgono
il calore e l’amicizia della fidanzata Clara e dell’amico
Lothar: il destino del giovane protagonista Nathaniel è
segnato dal demone della paura. Non sorprende che il racconto
abbia affascinato anche Freud che ha dedicato un saggio al
testo: l’inconscio del protagonista è ben indagato
dallo scrittore tedesco.
Il regista si aggrappa al testo come Tarzan
alla liana: verrebbe da dirgli «mollala» e lanciati
nel vuoto che magari incontri Jane. Ironia a parte, l’immagine
dell’eroe inventato da Edgar Rice Burrough calza nella
misura in cui un regista non voglia affrontare un testo con
coraggio, rischiando.
Nel teatro italiano il male esercita un discreto
fascino, soprattutto se narrato in forma onirica. Il rischio
è però l’effetto letargico sul pubblico,
nonostante l’ottima interpretazione di Riccardo Francia
(il dottor Coppelius) e la bellezza di alcune frasi. Perché
non osare di più? Perché accontentarsi di uno
spettacolo ben confezionato, ancorato ad un testo di sicuro
fascino? Con tutto quello che sta accadendo nel mondo, potrebbe
essere un’occasione per mostrare un po’ più
di coraggio nel mondo della cultura, sperimentando linguaggi
diversi.
Non si può fare teatro
solo per gli abbonati, per gli spettatori forti, bisognerebbe
attirare un pubblico più variegato; fare teatro oggi
è già una scelta coraggiosa, allora tanto vale
andare fino in fondo.
[deborah ferrucci]