Siamo
davvero sicuri che questi uomini siano sull’orlo
di una crisi di nervi? Sarà la stanchezza propria
del sequel a non rendere credibile il titolo dello
spettacolo “Uomini sull'orlo di una crisi di
nervi 2”? Prendete quattro uomini, presumibilmente
lasciati dalle mogli (o che forse hanno fatto di tutto
per farsi abbandonare per le solite corna), un tavolo
da gioco, pigiami improbabili e panni stesi dappertutto.
Aggiungete una dottoressa gnocca t&c (tette e
culo, ndr) in calze a rete e lingerie leopardata,
che piomba nell’appartamento per diagnosticare
a ciascuno di loro una malattia grave. E il gioco
è fatto. Tutto qui?
È
noto che la realtà del mondo maschile è
piatta come il ventre di una sogliola, ma è
necessario porgere una preghiera agli autori Galli&Capone:
è davvero impossibile trovare, almeno nella
fantasia, delle rappresentazioni più originali
degli uomini di oggi? È così complicato
andare oltre lo stereotipo del maschio italiano piagnone,
che si lamenta della moglie sanguisuga che si tiene
i figli e denaro? Sarà poi vero che questi
uomini sono talmente passivi e sottomessi, da subire
tutto?
A
ben vedere i quattro “dell’Apocalisse”,
ovvero Pino la casalinga tuttofare, Ciccio l’uomo-zerbino
panzone, Nicola il latin lover nullafacente e Gianni
l’eterno fuggente, parrebbero essere inseriti
nel loro habitat naturale: bambini che non si vogliono
lavare, vogliono giocare e guardano l’insegnante
“bbona” dal buco della serratura. In “Uomini
sull’orlo di una crisi di nervi 2”
il ritmo c’è, la regia è semplice
ma di sicuro effetto. Gli attori sono credibili, ma
la loro recitazione è più televisiva
che teatrale: quasi domestica, come se il pubblico
fosse lì a spiarli dalla telecamera del “Grande
Fratello”. Francesca Ceci, la dottoressa Livia
Soda, complice la scrittura del testo, non riesce
a far uscire il suo personaggio dall’ambiguo
cliquet donna intelligente/oggetto. Non dimostra le
sue capacità interpretative, al di là
dei facili ammiccamenti. Usare il corpo come strumento
della recitazione e non come oggetto da esibire è
una vera sfida, ma il risultato dura nel tempo. Nel
complesso lo spettacolo è facile, standardizzato,
senza tensione. Quindi banale. [deborah
ferrucci]