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Autore:
Pedro
Almdòvar |
Traduzione:
Giovanni Lombardo Radice |
Regia:
Leo
Moscato |
Scene:
Antonio Panzuto |
Costumi:
Gianluca
Falaschi |
Luci:
Alessandro Verazzi |
Musica:
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Produzione:
Fondazione Teatro Due, Teatro Stabile
del Veneto |
Interpreti:
Elisabetta Pozzi, Alvia Reale,
Eva Robin’s, Paola Di Meglio, Alberto Fasoli,
Silvia Giulia Mendola, Giovanna Mangiù, Alberto
Onofrietti |
Anno
di produzione: 2010 |
Genere:
drammatico |
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Una
madre che perde il figlio in un incidente stradale,
un padre che cambia sesso e diventa un transessuale
ma nel frattempo mette incinta una suora, che diventa
sieropositiva e muore nel dare alla luce il figlio
del transessuale. La storia è così tragica
da sembrare quasi comica, non per il regista spagnolo
Almodòvar. Pedro è Pedro. Almodòvar
è unico, irripetibile.
E’ impresa coraggiosa portare il suo mondo a
teatro. Si hanno due scelte, stravolgere la trama
ma salvaguardare l’essenza dell’opera
dell’artista, oppure seguire fedelmente la trama
a discapito dell’essenza. Il testo inglese di
Samuel Adamson e la regia di Leo Moscato hanno scelto
la seconda opzione, rischiando molto perché
il teatro ha un linguaggio completamente diverso dal
cinema. Innanzitutto nel teatro azione, tempo e luogo
si svolgono insieme, nel cinema, grazie al montaggio
e al cambio dei luoghi si possono raccontare molti
eventi. “Il teatro è essenza della vita”,
dice il drammaturgo inglese Peter Brook, per dire
che quando si affronta un testo che non nasce per
il teatro bisogna fare delle scelte, tagliare delle
parti, anche se sono belle, in favore della resa teatrale.
Inoltre, Almodòvar è un regista che
lavora molto sui personaggi, piuttosto che sulla trama,
le sue inquadrature sono quasi sempre dei primi piani
o mezzi primi piani, per dare spessore ai sentimenti
e alle emozioni degli interpreti. A teatro tutto questo
si perde. Lo spazio sembra enorme e i personaggi sono
piccoli, i loro drammi, come i loro giochi si disciolgono
nei diversi cambi di scena, nella necessità
di sviluppare la trama.
Manca lo spirito spagnolo di Almodòvar. Il
mélo che si mescola al grottesco, la stravaganza
del mondo gay e la solidarietà tra gli esseri
umani, la comprensione che si viene a creare tra di
loro. Il mondo di Almodòvar è fortemente
radicato in Spagna, ha i colori, gli eccessi, l’umanità
di quel Paese, come tante opere di illustri registi
italiani.
Lo spettacolo “Tutto su
mia madre” in versione italiana calca
la mano sul dramma e meno sul colore, anche perché
Eva Robin’s che interpreta Agrado, il personaggio
che stempera i toni drammatici della storia, ne dà
un’interpretazione un po’ macchiettista,
puntando sulla sua volgarità, sulla sua attrattiva
sugli uomini, sui suoi eccessi isterici e volubili,
tralasciando quel lato materno così originale
e accattivante del personaggio del film spagnolo.
Cosa resta? Una rappresentazione scenica minimalista
che contraddice l’esuberanza delle storie di
Almodòvar, degli attori professionali ma che
non sentono fino in fondo quel dramma unito ad una
simpatica follia che rende unici gli attori del regista
spagnolo. Uno spettacolo a metà. [deborah
ferrucci]
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