Leggero.
Forse più che leggero, inconsistente e, in
molti momenti, addirittura banale. Il testo (di Marco
Presta e Nora Venturini) al quale Giulio Scarpati
dà voce e corpo non lascia spazio all’originalità.
Si srotola in circa un’ora e mezzo senza lasciar
traccia, senza regalare alcuna emozione.
“Troppo
buono”, questo il titolo dello spettacolo
in scena al Piccolo Eliseo, ha poco da raccontare.
Avrebbe potuto avere una vena sarcastica più
coraggiosa, avrebbe potuto accostare i due mondi –
quello dei “buoni” appunto e quello dei
“cattivi”– in modo più originale.
Lo spettacolo, invece, procede lentamente verso la
fine passando attraverso le diverse età dell’uomo:
il bambino, l’adolescente, l’uomo, l’attore.
Ogni fase è condita da richiami letterari anche
di un certo livello, che non fanno che ampliare a
dismisura la distanza tra questi testi e quello, povero
e debole, sul quale prova a reggersi lo spettacolo.
Accanto
a Giulio Scarpati, che interpreta se stesso Bob Messini,
partner e “spalla” di questa minuta riflessione
sulla bontà. Sullo sfondo uno schermo che proietta
immagini di repertorio o spezzoni di film d’epoca
a sottolineare, talvolta a contraddire, quanto detto
o cantato dai due interpreti. Sì perché
anche Scarpati si cimenta nel canto non riuscendoci
perfettamente: passa da De Gregori a Jovanotti fino
a Fossati. Tra le trovate dello spettacolo anche la
lettura/reinterpretazione del “Cuore”
di De Amicis e “Qualcuno era comunista”
dell’ormai ultracitato Giorgio Gaber.
Da
sottolineare il buon gioco di luci che, quantomeno,
evidenziava in maniera nitida i passaggi dello spettacolo.
[patrizia vitrugno]