Se
Eric Hobswam in uno dei suoi saggi più celebri
diede al Novecento la definizione di «secolo breve»
Duccio Camerini, ponendo l’accento sulle guerre
e gli orrori che si sono susseguiti nel corso di quei
decenni, lo chiama il «secolo nervoso».
E in “Tribù”
lo spettatore assiste ad una vera e propria guerra di
nervi tra i personaggi e la storia con la S maiuscola,
pronta a fagocitarli annullandone memoria e radici,
riducendoli a naufraghi sopra una nave di folli.
Sullo sfondo delle vicende
che hanno segnato il XX secolo, dalla Prima Guerra
Mondiale al crepuscolo degli anni Novanta, si muovono
quattro generazioni di una famiglia romana. Il capostipite
è Gerolamo, classe 1890, che sposa Teresa dopo
averla baciata di nascosto a Villa Borghese, quasi
al cospetto dei componenti del Gabinetto Salandra,
abituati a riunirsi all’aperto. Nel giorno della
battaglia di Vittorio Veneto, episodio finale della
Grande Guerra, Teresa muore dando alla luce Vittorio
che Gerolamo decide di affidare al suo contabile,
per imbarcarsi come marinaio su una nave in rotta
verso l’America Latina. Dopo alcuni anni, in
pieno Ventennio, padre e figlio tornano ad incontrarsi
e, anche se nessuno dei due scopre mai la vera identità
dell’altro, finiscono per non separarsi fino
agli anni del boom economico. Attorno a queste due
figure, destinate alla solitudine e al dolore, si
muovono quelle inquietanti di Mila, la moglie di Vittorio,
e di Ester, vittima della follia di sua madre, il
fantasma di Teresa e quello di Mario, nato morto dall’unione
tra Mila e Vittorio, che continuerà ad aleggiare
nell’esistenza dei due inquinandola fino alle
conseguenze più estreme.
La struttura drammatica
è un castello di destini incrociati leggeri
come fili di una ragnatela e, al contempo, forti come
corde di pianoforte. Il grimaldello del vecchio album
fotografico sfogliato, pagina dopo pagina, da Dudù,
ultimo superstite della famiglia, funziona perfettamente
e con le immagini in bianco e nero proiettate sullo
sfondo, regala un’aura melanconica alla scenografia.
Luca Milesi, nella parte di Gerolamo, riesce con bravura
a venare di positività il personaggio più
sofferente dell’intero dramma, ma nel complesso
anche Maria Concetta Liotta e gli altri attori restituiscono
a “Tribù”
una veste corale. Gli elementi di scena, dalla scenografia
alle luci, ben dosate per tutta la durata dello spettacolo,
sembrano concepite all’insegna della semplicità.
Un discorso a parte meritano i costumi, privi di qualsiasi
sfarzo eppure così ben disegnati da rappresentare
una delle epoche in cui la moda si è evoluta
con maggior rapidità.
Lo spettacolo,
diretto da Luca Milesi, si chiude, forse in maniera
troppo ovvia, ovvero sulle note di “Aida”
di Rino Gaetano. [valerio
refat]