In
scena alla sala Artaud del Teatro Orologio di Roma
Tommy, un monologo di
Giuseppe Manfridi del 1985, ma di grande attualità.
È recente infatti la curiosa storia di Lauren
Johnson, una ragazza americana, vittima della rara
sindrome denominata “starnuto a mitraglia”
che obbliga, per uno strano e misterioso meccanismo,
a starnutire fino a 12 mila volte al giorno, 20 al
minuto. Tutto ha inizio con un semplice raffreddore
che in poche settimane degenera in questa malattia.
La giovane smette di andare a scuola e fa fatica a
mangiare, riesce solo a dormire senza essere afflitta
dallo “starnuto continuo”. La paziente
ha tentato dodici terapie diverse, persino l’ipnosi,
ma nessuna fino ad ora ha avuto effetto. Nel mondo
sono stati documentati al massimo 30 casi di questa
patologia e nessun medico ad oggi riesce a trovare
una cura o darne una risposta.
Manfridi mette in evidenza la drammaticità
che si cela dietro la vita di chi soffre di una malattia
rara, la solitudine e l’abbandono nel quale
vivono gli individui, che proprio perché unici
nelle loro patologie, interessano a pochi, soprattutto
alle industrie farmaceutiche che non investono in
ricerca senza trarne un sicuro utile. Tommy
rivela la sofferenza di un adulto, rimasto eterno
adolescente per questo blocco, che non gli ha permesso
di vivere una vita normale. L’unico rifugio,
luogo del racconto, è lo sgabuzzino di casa
nel quale ricostruisce un mondo personale, una sorta
di regno delle favole, belle e brutte, nel quale si
sente protetto, e dove miracolosamente lo “starnuto
a mitraglia” non lo affligge con la stessa intensità
del “fuori”.
Interpretazione intensa dell’attore Giuseppe
Russo che, diretto da Andrea Bellocchio, riesce a
trasmettere l’angoscia esistenziale del protagonista,
attraverso momenti di serena rassegnazione alternati
ad altri di estrema disperazione; testimoniati da
qualcuno che ascolta, oltre la porta dello sgabuzzino,
un qualcuno che non si rivela mai e che forse alla
fine scopriamo essere l’orecchio della gente,
del pubblico stesso che partecipa alle sue difficili
problematiche. [annalisa
picconi]