È delicato
e dolce il ritratto dipinto da Alessandra Panelli
del “Le Tate”,
figure-perno della famiglia e dell’infanzia
di una certa generazione. Nel racconto messo in scena
al Teatro dei Conciatori Barbara Porta, Sofia Diaz,
Maria Roveran e Costanza Castracane interpretano tre
tate, tre nonne e tre bimbe le cui storie necessariamente
si intrecciano. Sono racconti di un’infanzia
a volte felice o che a volte ne ruba attimi, grazie
proprio alla presenza delle tate.
Tra risate, lacrime, giochi
e piccole follie degli adulti, le bimbe crescono e
assieme a loro viviamo i primi amori, i primi complessi,
ma anche i mutamenti epocali come il ‘68 con
la rivoluzione giovanile e la difficile legalizzazione
dell’aborto.
Una drammaturgia semplice
e lineare così come la messa in scena: tre
sedie che, di volta in volta, si uniscono a formare
una panchina oppure a simboleggiare lo sgabello di
un pianoforte. Ogni tata è un diverso universo
femminile: c’è la sarda, combattiva e
attenta ai diritti dei lavoratori; c’è
la romana dal cuore grande; la ligure, discreta e
silenziosa.
Tre donne che hanno dedicato
la loro vita alle bambine e che accettano con sofferenza,
seppur ognuna a proprio modo, il momento dell’inevitabile
distacco. Figure femminili ben delineate, ciascuna
con tratti specifici e con una propria convincente
personalità. Forse è per questo che
non si riesce a non parteggiare ciascuno per la propria,
o perché ricorda quella che ci ha accompagnati
da piccoli o semplicemente perché è
così che la si sarebbe immaginata.
[patrizia vitrugno]