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Anno
2012
Genere
commedia
In
scena
fino al 21 dicembre
Teatro Parioli Peppino De Filippo| Roma
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Autore |
Moliere |
Adattamento/Traduzione |
Giovanni
Anfuso |
Regia |
Giovanni
Anfuso |
Scene |
Alessandro
Chiti |
Coreografie |
Barbara
Cacciato |
Costumi |
Cabiria
D’Agostino |
Musica |
Luciano Francisci,
Stefano Conti |
Interpreti |
Franco
Oppini, Corinne Clery, Domenico Pantano, Giorgia Guerra,
Antonio Tallura, Liliana Randi, Andrea Murchio, Davide
Paciolla, Paola Giannetti, Gianluca Delle Fontane |
Produzione |
Centro
Teatrale Meridionale in collaborazione con Festival
Teatrale di Borgio Verezzi e Palinuro Teatro Festival |
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Per
considerare l’attualità di un’opera e con
essa la sua forza, spesso non occorre passare in rassegna frammenti
di epoche perdute. Basta affacciarsi alla finestra per accorgersi
che da un po’ la cosa pubblica viene governata da servi
che, pur mantenendo la vista dello schiavo, indossano l’abito
del padrone. Che, sotto il nostro sguardo distratto, il recinto
di questa variopinta fattoria degli animali si è progressivamente
affollato di personaggi che, mentre predicano la pubblica morale,
affondano in un degrado etico, ma anche estetico, da bassissimo
impero. E poco importa se l’ostentazione del potere operata
dai Tartufi di casa nostra si fondi sempre meno sulla religione
e sempre più sulla televisione: la brama di dominio procede
a braccetto con l’ipocrisia, in ogni tempo e in ogni luogo.
Quando nella primavera del 1664 venne messo in scena per la
prima volta a Versailles, “Tartuffe” provocò
un pandemonio. La satira feroce che Molière muoveva al
bigottismo imperante, al fanatismo di certe pratiche religiose,
alla doppia morale di alcuni fra i personaggi politicamente
più in vista, suscitò una generale levata di scudi
all’interno della corte del re Sole, tanto da indurre
il sovrano a vietare, per quasi cinque anni, la rappresentazione
in pubblico dell’opera. “Tartuffe” divenne
uno dei casi più clamorosi nella storia della moderna
letteratura francese. Il personaggio che dà il nome all’opera
è un mendicante del quale il facoltoso Orgon diviene
così succube da metterselo in casa per farne una sorta
di padre spirituale. L’autorità che Tartufe acquista
con il passare del tempo, suscita l’ostilità dei
familiari del suo benefattore. Quest’ultimo sembra non
avere occhi che per l’ospite, al quale finisce per promettere
in sposa la figlia Mariane, già fidanzata con Valère.
Ma in cuor suo Tartuffe prova un’irresistibile attrazione
nei confronti di Elmire, matura moglie di Orgon, rendendosi
protagonista di pesantissime avances. Irritato dal figlio Damis
che denuncia l’episodio, l’uomo dona tutto il suo
patrimonio a Tartuffe, pentendosene troppo tardi. Solo l’intervento
finale del re, che annulla il contratto di donazione e mette
agli arresti l’impostore per crimini precedentemente perpetrati,
salva Orgon e la famiglia dalla rovina.
Nel riadattamento di Giovanni
Anfuso, ogni riferimento al legame tra potere costituito e
libertà dell’artista viene estromesso. Così
come l’abbassamento del linguaggio, frutto di una traduzione
che non ha nulla a che vedere con quella grandiosamente raffinata
di Cesare Garboli, sembra spogliare l’opera dell’elemento
stilisticamente più prezioso, per rivestirlo di un
abito acquistato a buon mercato. Se nelle ultime due grandi
versioni di “Tartufo”,
quella di Tony Servillo (2001) e quella di Carlo Cecchi (2007),
il lavoro di riscrittura messo in atto da Garboli aveva restituito
centralità all’elemento sonoro, questa rilettura
della lingua di Molière richiama troppe espressioni
da fiction televisiva, tanto da rendere la struttura letteraria
eccessivamente leggera. Franco Oppini, nelle vesti di Orgon
e Corinne Clery in quelle di Elmire si muovono in scena con
una certa sinergia, anche se il primo ripete fino allo sfinimento
le battute più felici e un’originale idioma francesizzante
non basta a conferire vivacità alla seconda. Domenico
Pantano è un buon Tartuffe, ma non rende fino in fondo
la ferocia mefistofelica che anima il personaggio del falso
devoto. Da segnalare le interpretazioni di Antonio Tallura
nel ruolo di Cleante, spirito razionalista della famiglia
e cognato di Orgon, e di Liliana Randi nei panni di Dorine,
confidente di Mariane ricca di buonsenso di matrice contadina.
La scena, tutta scale,
porte e orpelli lignei, offre un interessante tentativo di
creare differenti possibilità di comunicazione tra
gli attori. La varietà cromatica delle luci che colorano
la scena dei riflessi dell’arcobaleno accompagna gli
stati d’animo dei personaggi e fa da contrappunto alla
tinta unita degli abiti.
[valerio refat]
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