"Stanno
suonando la nostra canzone" di Neil Simon
debuttò a Broadway nel 1979 e fu portato in Italia
per la prima volta dalla premiata coppia Gigi Proietti e Loretta
Goggi nel 1981.
Per l'edizione in scena a Roma
al Teatro Sistina (fino al 22 aprile) nei ruoli dei protagonisti
troviamo un ispiratissimo Giampiero Ingrassia (finalmente
all'altezza di un talento troppo spesso piegato a spettacoli
mediocri) e la rivelazione Simona Samarelli che con la sua
verve, il senso del ritmo, l'intonazione nel canto e la leggerezza
nella recitazione, costituisce il perno centrale dello spettacolo.
Così la storia d'amore tra
il musicista Vernon Ghersh - geniale, ansioso, in analisi
da una vita - e l'aspirante paroliera Sonia Walsk - passionale,
insicura, incapace di rispettare le regole e di infrangere
quelle altrui - si dipana tra screzi, incomprensioni, battute,
gag e momenti di magia musicale e sentimentale.Una commedia
che punta fortissimamente sui due protagonisti e su un mondo
reale evocato da un continuo fuoricampo prepotentemente in
scena e una dimensione psicologica-affettiva che si materializza
attraverso un corpo di ballo che, come il coro nella drammaturgia
greca, commenta, racconta e illustra le vicende.
Con le debite proporzioni, l'amalgama
tra la coppia ricorda quella tra Spencer Tracy e Katherine
Hepburn e la brillantezza degli scambi amorosi e scherzosi
costituiscono il plus di uno spettacolo che però nel
complesso, costruzione e svolgimento, risulta alquanto piatto
e monotono.
Salvato il testo (eccetto
le musiche poco incisive e ricordabili) e l'interpretazione
dei due protagonisti, è la regia affidata a Gianluca
Guidi ad essere sotto i riflettori critici. Ci sarebbe voluta
maggior creatività nell'accompagnare lo spettatore
all'interno degli scherzi amorosi di Vernon e Sonia, per creare
quel climax emotivo che impedisce a chi guarda un rapido appisolamento
sulla poltrona. Invece gli eventi si susseguono in maniera
troppo piatta e prevedibile e la storia dell'incontro-innamoramento-crisi-riconciliazione
si sviluppa per successione di scene che hanno l'immobilità
di quadri viventi, a cui contribuisce una scenografia che
gioca su moduli riciclabili nella prima parte e quinte illuminate
da giochi di luce nella seconda.
Rimane la sensazione
di uno spettacolo dalle potenzialità inespresse, di
un vorrei ma non posso, di un'occasione sprecata. Di un tiro
a porta vuota finito inaspettatamente a fondo campo.
[fabio melandri]