Al
Teatro dell'Orologio Valentino Orfeo è in scena
con Il sottosuolo, un
libero adattamento della novella Le memorie del sottosuolo,
di cui è anche regista ed unico attore. È
un suo cavallo di battaglia, che gli valse persino
l'invito a rappresentare la drammaturgia italiana
al festival di Omsk. Orfeo si muove su un palco dominato
da un letto-bara con grande capacità attoriale
in un'alternanza di brani malinconici, intime confessioni
sulla propria condizione misera e smorfie di una malignità
istrionica.
La piéce prende le mosse dall'opera di Dostoevskij
scritta nel mezzo del cammin della sua vita, quaranta
anni, periodo in cui aveva già abbandonato
la militanza socialista e ricevuto una condanna a
morte. Le memorie del sottosuolo prelude a quelli
che saranno i capolavori della maturità, emerge
in modo folgorante la presenza dell'incoscio, non
quindi una scoperta autografa, di Freud bensì
uno spunto a cui lo psicanalista austriaco attinse.
Nel sottosuolo il protagonista, ramingo e rinchiuso
in se stesso, vittima della sua stessa pigrizia, è
un reietto della società di cui finge di non
sentire la necesità. La sua esistenza si concretizza
nell'autoaffermazione della propria volontà
di rinunciare al mondo ed irriderlo, criticando tutti
coloro che ritiene inferiori. Come un topo emerge
dai bassifondi, si erge e si esprime riversando sugli
esseri più deboli tutta la sua acrimonia.
E' un grido di dolore nei confronti di un'esistenza
che rinuncia ad una felicità preordinata e
studiata a tavolino, quella felicità fittizia
perchè imposta da un'ideologia razionale.
Dostoevskij e con lui Orfeo rinunciano perciò
alle tentazioni giovanili dell'ideologia ordinatrice
di Fourier per concedersi il lusso dello svantaggio;
è un'elogio alla solitudine che strizza velatamente
l'occhio all'esigenza della fede. L'allestimento scenico,
fatto di pesanti quinte nere che bloccano l'orizzonte
in uno spazio soffocante – che in certo qual
modo rievoca la nobiltà morale della Morte
di Marat di Jacques Luois David -, echeggia la reificazione
dell'individuo e della sua amara condizione quasi
relegandola ad un'atmosfera metafisica in cui non
vi sono vie d'uscita.
[paola di felice]