S.O.S. Dado


Anno
2013

Genere
monologo

In scena
fino al al 24 marzo 2013 al Teatro Golden | Roma

Autore
Mario Scaletta, Marco Terenzi e Dado con la collaborazione di Riccardo Graziosi e Gianluca Giugliarelli
Regia
Marco Terenzi
Musica
Dado
Interpreti
Dado

 

S.O.S. Dado”, ovvero S.O.S. Tata in versione paterna alle prese con i problemi dell’azienda di famiglia di ben tre figli, adolescente inclusa. Due grandi cuffie per Ipod campeggiano sulla scena, il totem della prole di oggi, espressione fisica di quel desiderio di non comunicare con i genitori per ucciderli metaforicamente e avventurarsi nel mondo con le proprie gambe. In altre parole per crescere. Dado canta le sue gesta di pater familias contemporaneo con la sua celeberrima chitarra, ma senza tirarsi su e giù le maniche: non c’è più tempo con tre figli a carico.

La figlia adolescente protagonista del monologo è Martina, agguerrita, organizzata in forma sindacale («li vedi che si mandano i messaggini sul telefonino tra loro, chissà che dice di me, nun me manda alla festa») e soprattutto una «consumatrice a tempo indeterminato», con le sue continue richieste dell’Ipod che ha smarrito due volte e la macchinina che costa diecimila euro. Lo sguardo di Dado verso i comportamenti filiali è prima di tutto divertito e amorevole: li osserva con la curiosità con cui studierebbe gli alieni, con il desiderio di capirli in tutte le loro stranezze, compreso quel look modaiolo un po’ improbabile delle mutande a vista, pantaloni calati e occhiali da sole bianchi. Quante cose strane bisogna fare per differenziarsi dai genitori. Tratteggia con sguardo benevolo le caratteristiche salienti dell’adolescenza, la simbiosi con l’amica del cuore («Martina fa tutto quello che fa l’amica. Una sera le ho dato uno schiaffo e le ho detto che lo aveva fatto anche il padre dell’amica»), il desiderio di omologazione, il bagno perennemente occupato, il cellulare sempre acceso…

Non sembra di essere tanto lontani dallo spirito del film “Il padre della sposa” con Spencer Tracy e Elisabeth Taylor, con quello stesso umorismo, quell’incredulità e al tempo stesso grande affetto del personaggio paterno del film americano. Le battute sono simpatiche, realistiche, mai volgari, con poche parolacce (cosa rara ultimamente), un uso intelligente delle metafore e senza nascondere le fatiche dell’avere tre figli (gli ultimi nati trovano dei genitori un po’ distratti e stanchi, quando il terzo figlio ha la febbre, lo guardi e «leggi le supposte e gli infili le istruzioni nel sedere»).

Spettacolo leggero, acuto: un ritratto autoironico delle famiglie di oggi.
[deborah ferrucci]