“S.O.S.
Dado”, ovvero S.O.S. Tata in versione
paterna alle prese con i problemi dell’azienda di famiglia
di ben tre figli, adolescente inclusa. Due grandi cuffie per
Ipod campeggiano sulla scena, il totem della prole di oggi,
espressione fisica di quel desiderio di non comunicare con i
genitori per ucciderli metaforicamente e avventurarsi nel mondo
con le proprie gambe. In altre parole per crescere. Dado canta
le sue gesta di pater familias contemporaneo con la sua celeberrima
chitarra, ma senza tirarsi su e giù le maniche: non c’è
più tempo con tre figli a carico.
La figlia adolescente
protagonista del monologo è Martina, agguerrita, organizzata
in forma sindacale («li vedi che si mandano i messaggini
sul telefonino tra loro, chissà che dice di me, nun
me manda alla festa») e soprattutto una «consumatrice
a tempo indeterminato», con le sue continue richieste
dell’Ipod che ha smarrito due volte e la macchinina
che costa diecimila euro. Lo sguardo di Dado verso i comportamenti
filiali è prima di tutto divertito e amorevole: li
osserva con la curiosità con cui studierebbe gli alieni,
con il desiderio di capirli in tutte le loro stranezze, compreso
quel look modaiolo un po’ improbabile delle mutande
a vista, pantaloni calati e occhiali da sole bianchi. Quante
cose strane bisogna fare per differenziarsi dai genitori.
Tratteggia con sguardo benevolo le caratteristiche salienti
dell’adolescenza, la simbiosi con l’amica del
cuore («Martina fa tutto quello che fa l’amica.
Una sera le ho dato uno schiaffo e le ho detto che lo aveva
fatto anche il padre dell’amica»), il desiderio
di omologazione, il bagno perennemente occupato, il cellulare
sempre acceso…
Non sembra di essere tanto
lontani dallo spirito del film “Il padre della sposa”
con Spencer Tracy e Elisabeth Taylor, con quello stesso umorismo,
quell’incredulità e al tempo stesso grande affetto
del personaggio paterno del film americano. Le battute sono
simpatiche, realistiche, mai volgari, con poche parolacce
(cosa rara ultimamente), un uso intelligente delle metafore
e senza nascondere le fatiche dell’avere tre figli (gli
ultimi nati trovano dei genitori un po’ distratti e
stanchi, quando il terzo figlio ha la febbre, lo guardi e
«leggi le supposte e gli infili le istruzioni nel sedere»).
Spettacolo leggero, acuto:
un ritratto autoironico delle famiglie di oggi.
[deborah ferrucci]