«Aujourd'hui,
maman est morte. Ou peut-être hier, je ne sais
pas»
L'étranger
- Albert Camus
In
fondo allo spazio scenico, in una fascia di penombra
di una superficie indefinita, sette figure avanzano
a passo cadenzato. Non se ne vedono gli occhi, né
i visi: è permesso di scorgere solo il perimetro
dei loro corpi. Sono corpi a lutto, mescolati: vivi
e morti. Sono quelli delle sorelle Macaluso. Gina,
Cetty, Maria, Katia, Lia e Pinuccia, ricordano una
di loro, Antonella, morta qualche anno prima. Rievocano
una giornata al mare, parlottano, ridacchiano beffarde,
si rinfacciano, si perdono in un gioco di risate scroscianti.
Il
giorno in cui Antonella andò via, i vivi lottarono
contro i morti per tenerla tra loro, come in una battaglia
tra Pupi siciliani. Era la lotta, a suono alluminio,
tra l’illusione dell’immortalità
e l’inevitabile conclusione della vita. La stessa
lotta le sorelle la dovranno fronteggiare quando se
ne andrà il padre, raggiungendo la madre in
una dimensione di felice e costante abbraccio e il
nipote/figlio, uomo frustrato da una realizzazione
mai raggiunta. Ogni volta il distacco dell’anima
è doloroso e genera un nuovo rapporto con chi
se n’è andato, in una dimensione ambrata.
Emma
Dante regala la sua cruda poesia, vestendo il tetro
annuncio di morte di colori sgargianti. Mescola spiriti
e corpi, rivela una dimensione di interscambio che
è viva e vera: quella del rapporto con le anime.
Conferisce loro dei corpi, le rappresenta nel rapporto
continuo con i vivi. È una dimensione che appartiene
a tutti, che fa parte del presente in maniera evanescente.
Viene da chiedersi: «In definitiva io sugnu
viva o morta?». Proprio come fece la nonna di
un suo amico nel delirio della malattia, una notte:
«Avi ca sugnu morta e ‘un mi dicìti
niente p’un fàrimi scantàri»
(Io sono morta da un pezzo e voi non me lo dite per
non spaventarmi).
Nello
spazio scenico otto attrici e due attori danno vita
a una rappresentazione generosa, fisica ed emotiva,
eliminando qualsiasi sentimentalismo. Il lavoro instancabile
sui corpi richiama la ripetitività di Fabre
e il libero controllo di Pina Bauch. Rimane difficile
non farsi toccare l’anima, perché in
tutti brucia il dolore di chi si è perso per
sempre.
[giovanna
gentile]