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Anno
2013
Genere
monologo
In
scena
3 febbraio 2013
Casa delle Culture | Roma
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Autore |
Federica
Bern,
Francesco Villano |
Regia |
Francesco
Villano |
Scene |
Fiammetta
Mandich |
Costumi |
Rachele
Bartoli |
Luci |
Fulvio
Melli |
Interpreti |
Federica
Bern |
Produzione |
Inbalìa
Compagnia Instabile |
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Nello
spettacolo “Sonata per Ragazza
Sola” vita privata e suggestioni dei romanzi
che hanno reso celebre la scrittrice ucraina Irène Némirosky
ci sono tutti: il contrasto tra la madre (Fanny) e la figlia
(Antoinette), indagato in ogni sfumatura; la società
aristocratica e benestante degli anni ’20; le ipocrisie
della buona società («una donna deve sorridere
sempre»); la paura di invecchiare; il mito della gioventù
come terra delle promesse ma al tempo stesso delle rinunce.
Némirosky indaga l’animo femminile, ne vede le
ombre e le fatiche. Tutto è ben sintetizzato nel manichino
che resta sulla scena, senza vestiti: gabbia-contenitore di
un frutto e di lettere da scrivere, inviti da inviare al bel
mondo per avere l’illusione, danzando («dance, dance
otherwise we are lost» diceva la coreografa Pina Bausch),
che la vita possa prendersi una rivincita sul disincanto, sulle
speranze tradite e sull’amore tradito di Alfred (marito
neoarricchito di Fanny che pensa solo al lavoro, che non la
tocca da quindici anni). Ferisce la Némirosky, arriva
all’essenza dell’animo femminile e non lascia speranza.
La sua profondità e autenticità sono sofferenza
pura.
Federica Bern interpreta tutti
i personaggi femminili dello spettacolo: la madre Fanny, donna
che schiavizza la figlia a sua volta schiavizzata dalla vita;
la figlia Antoinette, costretta a seguire corsi di pianoforte
con l’odiata maestra Yvette, in una sorta di allenamento
alla sofferenza che verrà da adulta. La protagonista
è misurata, attenta, precisa, ora bambina-folletto
che cerca di sfuggire alle grinfie materne, ora donna posata
e vagamente crudele dell’alta società, schiava
delle sue perle, del suo status sociale. Balla, canta, allude,
sospira, gioca, interpreta il sentimento con la professionalità
e l’equilibrio che le consentono di comunicare con il
pubblico. Anche laddove le elucubrazioni aristocratiche di
Fanny sembrano infinite, ci si rende conto che il testo deve
avere certe lungaggini, altrimenti non si comprenderebbe la
dinamica interna del personaggio.
Nelle note di regia si
legge che questo è uno spettacolo sullo scontro madre-figlia,
ma alla fine si capisce che non vince nessuna: sono vittime
di una stessa cultura che le vuole sempre giovani, sorridenti,
eleganti. Scatta un’empatia, una comprensione, una sorellanza
proprio in quella crudeltà. Spettacolo forte, difficile,
coraggioso.
[deborah ferrucci]
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