Con questi due
atti unici “Sogno
(ma forse no) e “La
paura” che Luigi Pirandello
scrisse e poco rappresentò nel 1927, Marco
Grossi propone e svela due storie
astratte e razionali. Nella confusione del sogno,
la verità viene a galla come il corpo della
fanciulla dormiente su un sofà posto al centro
del palco. Dal buio della scena emergono inganni,
gelosie, amori non ricambiati e violenza. Queste le
tematiche del primo atto “Sogno (ma forse no)”:
una donna appariscente vestita di verde (Priscilla
Micol Marino) ne interpreta le sfumature. Forse è
ancora innamorata del suo uomo (Fabrizio Bordignon),
un signore distinto in frac, ma lo desidera a tratti,
a volte è caritatevole e troppo spesso ne disprezza
la vicinanza. Lui ha percepito il cambiamento, la
distanza e a fatica ne comprende il fallimento. La
non accettazione di non essere amato e la paura di
amare. Quest’ultima, “La paura”,
è la chiave di volta del secondo atto: qui
gli amanti sono dichiarati, i personaggi hanno un
nome e un’identità definita; la storia
ha un antefatto e un movente. Si vedono di nascosto,
si amano Lillina (Sarah Nicolucci) e Antonio (Andrea
Natalini) ma lui ha paura del marito di lei e crede
li abbia scoperti. Il problema questa volta è
nel volersi o meno nascondere. Ma la paura è
più forte: sale e scende le scale come Antonio
che tentenna tra addio e ritorno; Lillina dal balcone
fiorito gli rinfaccia la codardia e gli comanda di
andarsene. Una donna coraggiosa Lillina, una bugiarda
la donna in verde.
Il
fallimento domina le vicende. In un modo o nell’altro
i personaggi pirandelliani (ben definiti i secondi
e per niente dichiarati i primi), perdono la partita
con l’amore. Le scene si fondono e il ritmo
è dettato dalla parola. Un montaggio ben studiato
quello che Grossi ha alternato facendo delle due storie
un intreccio che funziona, una drammaturgia unica.
Un vortice che si aggira tra sogno e realtà
e dove tutto è simbolo: la collana di perle
della signora in verde del primo atto, oggetto del
tradimento che compare nel sogno e scompare nella
realtà; la scala che separa Antonio da Lillina,
le posizioni-opposizioni, lei in alto vigile, lui
in basso schiacciato dalla paura; i guanti bianchi
dell’uomo in frac usati per strangolare. Ma
è un sogno? Li indossa anche alla fine dello
spettacolo lasciando il pubblico in sospeso, dubbioso
se l’atto violento si compirà ancora.
Nel
linguaggio drammatico fedelmente seguito, la recitazione
della Marino ostenta una forzatura troppo accademica,
danneggiando la fluidità del racconto; contrariamente
Bordignon ben ammaestra il personaggio rendendolo
freddo, cinico e perentorio. Abile la Nicolucci a
seguire il ruolo con grande intensità, meno
Natalini che forse si lascia trascinare, sbagliando
completamente l’interpretazione.
Nonostante
la brevità dello spettacolo, per via di alcuni
dettagli poco approfonditi, la pièce merita
di essere conosciuta. E ai piccoli teatri come l’Accento,
va il merito di proporre con coraggio il “meno
noto”, le preziose rarità che, pur non
suscitando il clamore delle opere più blasonate,
rappresentano l’imprescindibile anello di congiunzione
tra il talento di un autore e i suoi capolavori.
[serena giorgi]